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Anna Maria Curci, Come pagina bianca, letture, Pasquale Esposito, Porto Seguro Editore, recensioni, romanzi
Pasquale Esposito, Come pagina bianca, Porto Seguro Editore 2023
Ripubblicato dalla casa editrice Porto Seguro in versione aggiornata rispetto alla prima edizione (Aletti 2004), Come pagina bianca di Pasquale Esposito si presenta come romanzo epistolare, formato da ventuno lettere che seguono un Preludio. Scorrendole, scopriamo che colui che scrive, ricoverato in un ospedale psichiatrico, indirizza le sue missive a una destinataria di cui, come accade per il mittente, non conosciamo il nome. Altri nomi, non quelli di mittente e destinataria, assumeranno importanza nella narrazione.
Ciò che tuttavia viene messo immediatamente in rilievo è il carattere del contenuto delle lettere, vale a dire l’accesso al mondo interiore dell’io scrivente, la possibilità che le missive offrono di esplorarlo, di percorrere motivazioni, spinte profonde e scelte. Allo stesso tempo, sempre desta e viva è la questione relativa all’atto della scrittura, sia all’atto concreto di riempire righe su una «pagina bianca», sia a quello che comporta l’assunzione di responsabilità circa ogni parola che viene trasmessa, sia, ancora, a quello che illumina la peculiarità – e il suo distinguersi dagli altri – del compito di chi scrive.
Si legge infatti nel Preludio: «Quando ci si prefigge un compito importante c’è sempre il timore dell’attacco, come se si potesse poi giudicare tutto quello che seguirà. La prima nota, quella cellula primordiale, la prima frase come sintesi estrema di tutto ciò che vorrei dire.» (p. 7).
L’impegno dell’io scrivente nei confronti della destinataria è quello di raccontare ciò che pensa, ciò che è «senza alcuna remora, liberamente». D’altro canto, egli si augura che dalla sua attività di redazione delle lettere scaturisca per lui una liberazione dal fardello eccessivamente pesante delle proprie sensazioni, dei propri sentimenti, fardello non condiviso in epoca anteriore a queste lettere, giacché la solitudine è una costante della sua esistenza, anche prima dell’internamento (così viene definito anche nel libro) nella casa di cura.
Nelle ventuno lettere, scritte in altrettante notti che abbracciano l’arco di trentadue settimane, si delineano così motivi conduttori, traumi, passioni, gioie rare e frequenti sofferenze: in breve, la vita di colui che scrive.
Si tratta di una costellazione riccamente popolata, nella quale brillano corpi celesti (per esempio le Sefirot della Cabala, da p. 106 a p. 111, le lacrime trasfigurate, p. 119), vibra la «simpatia cosmica» (conosciuta, tra l’altro, attraverso la curiosità per l’alchimia e la frequentazione degli scritti di Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim e di Johann Tritheim, da p. 44 a p. 46), si spalancano i buchi neri del dolore (causato in gran parte dalla durezza e dalla disistima del padre, dalla sua rigida e coercitiva osservanza delle regole), risuona la ‘musica delle sfere’ nei temi tratti da sinfonie così come da ouverture e arie d’opera, con la terza lettera che si avvale del contrappunto alle annotazioni dell’io scrivente, costituito da citazioni dal Don Giovanni di Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte.
In tale costellazione i testi poetici inseriti in molte lettere irradiano luce propria; tramite questa essi additano ulteriori percorsi del pensiero e rafforzano una delle idee portanti dell’opera di Pasquale Esposito, l’idea che concerne la natura della parola e la condizione di diversità dei poeti: «Con le parole questo non accade. Le usiamo per esprimerci, non per diletto. Pochi di noi hanno la fortuna di percepire fino in fondo la loro musicalità. Forse solo i poeti. Essi sono il retaggio di uno stato evolutivo che non ha trovato sbocchi, una terra di mezzo tra gli oceani dell’evoluzione dell’uomo. Sono sopravvissuti.» (p. 12).
In una narrazione che mantiene un ritmo agile anche nel dispiegarsi delle digressioni, che si evolve verso un esito drammatico e che presenta, tra gli altri, un personaggio, chiamato Girolamo con evidente riferimento al santo, muto ma vivido nella sua descrizione e nel suo agire, emergono altri Leitmotive: il tempo e la memoria, la mnemotecnica, le arti figurative, il tema della marionetta che riporta all’universo di un grande narratore, Heinrich von Kleist.
Molto significativi, nel disegnare anch’essi un itinerario di lettura, sono gli appellativi con i quali il mittente si rivolge via via alla destinataria delle sue missive: «Mia dolce parola» (p. 16), «Parola mia diletta» (p. 27), «Parola cercata» (p. 32), «mia compagna» (p. 36), «Parola mia agognata» (p. 39), «idea figurata dal mio convincimento» (p. 41), «mia parola» (p. 42), «compagna fedele» (p. 53), «mio lapis» (p. 73), «mia immagine prossima» (p. 97), «Binah» (p. 108). La loro successione e il loro collegamento al contenuto delle lettere nella quale appaiono invitano a formulare ipotesi interpretative sul ruolo e sulla valenza della destinataria, oltre che sulla sua identità.
©Anna Maria Curci
Seconda notte della VII settimana
Parola mia agognata, ho dato sembianze al tuo nome e questa notte ho sognato di averti accanto, quale uomo comune che divide il letto con l’oggetto del suo amore. Un’immagine costruita a fatica e solo grazie ai ricordi che ho assemblato, come una casa di bambole, per avere una stanza normale. Un luogo usuale ai più, ma così privo di riferimenti ordinari per me, una scena dipinta su tela senza soggetto, alieno alla vista, lastra fotografica impressionata dal buio. Tutto per poter immaginare il momento del risveglio, il più bello del sonno, tanto quanto il peggiore è quello in cui ci si abbandona perdendo la coscienza di ciò che è intorno. Il risveglio arriva e ti ritrovo accanto. E sono di nuovo ricco. Potrai ancora posare i tuoi occhi su di me e ne riceverò vita. Fino a quel momento non c’è stata esistenza che fosse degna di essere tale, dal momento che ero privato di te. Così il sonno è ciò che separa due momenti di vita, una morte momentanea delle sensazioni, un distacco da ciò che ho di più caro, l’immagine di te, il tuo nome, il pensiero di te. Il sonno, dunque, mi è greve a meno che non giunga leggero un sogno con le tue fattezze. Si riaccende dunque lo spirito, sia pure pacato e immobile, accanto al corpo, potendo mantenere viva la ragione di sua vita. Essa scorre lì innanzi, a un passo, quasi da poterla toccare, eppure lontana da poterla invocare, così solo per diletto potendo contare sulla sua venuta. Anche nel sogno mi sento asservito al tuo nome, soggiogato dai tuoi occhi e non posso avere pensieri miei, non posso dedicare la mente ad alcunché, la tua presenza la aliena da tutto. È un senso di pienezza, pur nell’inutilità di questa vita aggettivata meno di un sasso. Così può trascorrere il tempo del sonno e mi sento meno privato. Quando poi matura il tempo, quasi gestante di un’idea cullata tutta una notte, posso lasciare che le mie cellule invochino tutte il tuo nome, un unisono di voci che promana da ogni parte di questo corpo martoriato.
Quanto dura una notte? Al pari del tempo scandito da un uomo che cada dall’alto, un tempo breve eppure così angosciante nella sua fissità di pensiero. Il sonno è suono di sette trombe prima della salvezza.
Apro gli occhi
E ti vedo.
Ruota la clessidra,
tutto ricomincia
insieme al mio respiro.
Di nuovo il chiarore,
di nuovo i colori.
La notte raccatta
le sue masserizie,
ritorna il tuo sguardo
padrone del giorno.
Il tempo si dipana nuovamente se posso scandire il ritmo incessante del tuo nome. La clessidra non smette di girare e di far fluire la sabbia, se posso vederti, idea figurata dal mio convincimento.
(pp. 39-41)
Pasquale Esposito è nato a Napoli e vive a Roma dal 1980. Coltiva, fin da ragazzo, la passione per la poesia e per la scrittura per ricercare libero sfogo alla sua forte creatività che difficilmente riesce ad emergere nella quotidiana attività professionale. È presente in varie antologie di poesie e racconti e ha pubblicato due libri: I pensieri degli altri (2001, L’Autore Libri) e Come pagina bianca (2023, Porto Seguro Editore, in precedenza pubblicato da Aletti)