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Tiziana Colusso, Lengua de striga. Teatro delle voci, Bertoni Editore 2024
Lengua de striga. Teatro delle voci di Tiziana Colusso raccoglie testi scritti e pensati per la drammaturgia, composti in un arco di anni molto ampio, a partire dalla fine degli anni Ottanta del Novecento fino al 2023. Con l’eccezione del primo testo proposto, Casa senza bambole (2023), che è anche l’unico monologo, finora inedito, i testi sono drammaturgie a più voci; alcuni di essi sono stati presentati, anche soltanto come lettura scenica, e in qualche caso hanno avuto più d’una messinscena. Il trittico rappresentato da Ars fulguratoria, Lengua de striga e Irina l’idiota, definito dall’autrice come «testo in cammino», presenta tre partiture diverse su uno stesso tema.
Riuniti ora in un volume dall’editore Bertoni (la prima edizione è di marzo 2024), i sette testi drammaturgici qui raccolti offrono a chi legge la possibilità di seguire, a ritroso e, ripercorrendoli, in avanti nel tempo (Casa senza bambole è del 2023, mentre la serie dei testi si chiude, prima del capitolo Infine. Un dramma in due battute e un assolo, con Leonora, atto quinto, del 1989), un percorso di composizione che intreccia in maniera efficace creazione e testimonianza, inventiva e documentazione.
Nella Nota dell’autrice, Tiziana Colusso ricorre alla definizione “drammaturgie poetiche” e riferisce dettagli importanti circa la propria scrittura, che raccoglie e accoglie narrativa, saggistica e poesia e che nella drammaturgia individua – così giunge alla mia percezione – punti di confluenza ai quali la mente, con il suo tesoro di immagini, percezioni e rappresentazioni, dà voce, articolandolo in una pluralità di voci. Sull’importanza della voce, Tiziana Colusso ebbe a dire qualche anno fa a Roma, in occasione della presentazione del progetto di Giovanna Iorio “Poetry Sound Library”:
Il lavoro con la voce, sulla voce, mi ha salvato la vita. Voglio iniziare da questo, perché bisogna superare la linea d’ombra che separa la cultura come decorazione o distintivo dalla cultura come pharmakon. Sappiamo che pharmakon, nella sua radice, racchiude insieme veleno e cura.
Fonti e spunti nel “teatro delle voci” del volume, teatro tanto più coinvolgente quanto più autentico e pervasivo è il coinvolgimento dell’autrice, il suo accogliere e affrontare il rischio di porgere l’orecchio anche all’inaudito, sono di provenienza diversa: verbali di processi, interviste, opere di narrativa e di teatro, opere liriche e di poesia, studi geologici ed archeologici, diventano l’humus di pièces che si distinguono per capacità visionaria e per una veridicità che si estende dalla testimonianza alla profezia, come dimostra, ad esempio, Il tempo del vaiolo, che dipinge un universo di contagi, esclusioni, chiusure causate da un’epidemia di vaiolo, e che risale al 2001, vale a dire a quasi venti anni prima di ciò che l’umanità ha vissuto nel 2020 con la pandemia causata dal virus Covid-19.
Le variazioni sui temi altamente drammatici dell’oltraggio, della violenza, della coercizione, del sentimento di estraneità, dell’esclusione e del dileggio del diverso, della manipolazione del vero, della chiusura a mo’ di clan o casta, della difesa dell’indifendibile, si manifestano, di volta in volta, partendo da un nucleo che può assumere carattere incandescente, se non addirittura perturbante, e che sempre ha il pregio di condensare in un determinato luogo-scenario – Casa senza bambole[1], Il Precipizio, la “circonvallazione est” in Mida alla circonvallazione est –, in un nome di persona che si è già affermato in precedenza come nome di personaggio – proveniente dalla letteratura, dalla Storia, dal mito, dalla librettistica d’opera, come avviene per Irina l’idiota, Mida alla circonvallazione est, Sparizione di Giovanna[2], Leonora, atto quinto[3] -, in un morbo – Il tempo del vaiolo -, in un termine dalla duplice accezione – Lengua de striga – il significato profondo e, insieme, il fondamento della pièce, ma anche le coordinate nell’universo mitopoietico di Tiziana Colusso, così come i suoi appigli e i suoi riferimenti a realtà che si sono manifestate nello spazio e nel tempo.
In tal senso, particolarmente toccante è la trama di battute e controrepliche in Il Precipizio. Teatro delle voci per Donatella e Rosaria. Donatella è Donatella Colasanti, Rosaria è Rosaria Lopez, le vittime, una sopravvissuta, l’altra uccisa, del massacro del Circeo.
L’irruzione dell’orrore nella quotidianità, la portata storica in termini di sconvolgente conoscenza dell’abisso del male, che il delitto del Circeo di fine settembre del 1975 presentò alla mia generazione e che continua a presentare, per chi ancora intende sottrarsi alla Grande Rimozione, alle generazioni successive, si palesa, nel testo drammaturgico di Tiziana Colusso, come polifonia, nella quale la Narratrice (la voce adolescente degli anni Settanta, la ‘testimone del tempo’), si alterna a quella di Donatella, sopravvissuta al massacro, a quella di Circe, che, dal Precipizio del Circeo, apostrofa le “puellae”, le fanciulle, le ragazze violate, ricordando loro come avesse tentato, proprio attraverso il crollo millenario del costone roccioso, di metterle in guardia, mentre gli Assassini fanno sentire la propria voce, così come fanno le loro madri-lupe, che difendono e coprono il loro crimine. Nella tessitura, il Coro è rappresentato da un’odiosa eppure persistente Vox populi (“le ragazze se la sono cercata”). A ricordare ulteriori frequentazioni contemporanee del sito intervengono, tra le voci, anche gli Scalatori, che ricordano pendenza e gradi di difficoltà di arrampicata del luogo. Una polifonia che affronta, in termini drammaturgicamente elevati, la complessità di rapporti tra bene, innocenza, banalità del male, male assoluto, esistenza e testimonianza sulla Terra e nella storia.
Anna Maria Curci
[1] In Casa senza bambole la suggestione si estende dal luogo-scenario al richiamo alla celebre opera teatrale di Henrik Ibsen, Casa di bambola.
[2] Per Sparizione di Giovanna, la provenienza è duplice: Giovanna d’Arco dalla Storia e Giovanna Dark da Santa Giovanna dei Macelli di Bertolt Brecht.
[3] Per la precisione, Leonora da La forza del destino, nota come Potenza del fato oppure “opera innominabile” di Giuseppe Verdi a causa di una misteriosa e puntuale serie di incidenti che hanno costellato le sue rappresentazioni.