• Anna Maria Curci
  • Il Network
  • Informativa

Lettere migranti

Lettere migranti

Archivi Mensili: marzo 2023

Maurizio Rossi, La ruota di Duchamp (nota di Anna Maria Curci)

16 giovedì Mar 2023

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, letture, Recensioni, Romanzi

≈ Lascia un commento

Tag

Anna Maria Curci, edizioni Cofine, La ruota di Duchamp, Maurizio Rossi, recensioni, romanzi, Sandro Montanari

Maurizio Rossi, La ruota di Duchamp. Prefazione di Sandro Montanari, Cofine Edizioni 2022

C’è un confine tra io e noi
una discreta linea d’orizzonte
quando per mare vai
e trascolora con la luce, a volte
si confonde, dispiegato e onde,
un fascio d’energia
nel prisma delle ore
a declinare voci della mente
e toni dell’anima.
Intanto ad Occidente vai
– solitudine e abbraccio –
vele tese sottovento
a precedere la notte.

Maurizio Rossi, La linea incerta

 

Come i versi posti in esergo, tratti dalla poesia La linea incerta, tutto il romanzo di Maurizio Rossi La ruota di Duchamp – il cui titolo fa riferimento, come osserva Sandro Montanari nella Prefazione, alla “stabile disarmonia”, al centro di quest’opera, così come lo è per Ruota di bicicletta di Marcel Duchamp – si muove tra poli che si contrappongono e che pure sono complementari, giacché è del loro coesistere che si nutrono le vicende umane.
La prima coppia è quella indicata dalla poesia menzionata: io e noi. Il cammino che separa «la linea incerta tra io e noi» passa per la riscoperta del sé, un sé che gradualmente, non senza soste, momenti di stallo e scossoni dolorosi, accoglie i propri limiti e, allo stesso tempo, impara ad apprezzare le proprie inclinazioni, i propri talenti sprofondati in precedenza nella disistima, nei “j’accuse” propri e altrui. È il cammino che percorrono i due protagonisti del romanzo, Umberto e Valeria, tanto che non è azzardato affermare che la storia del loro incontro si sviluppa includendo la storia della loro formazione e della loro trasformazione.
Un’altra coppia di ‘opposti complementari’ che riveste un ruolo centrale nel romanzo è quella della malattia e della guarigione. I due poli sono messi in evidenza sia dalla collocazione temporale delle vicende narrate, ambientate all’epoca dell’emergenza sanitaria per l’epidemia di Covid-19, sia dall’irrompere della malattia nelle biografie dei protagonisti. Un episodio, in particolare, segnerà il passaggio dalla prima alla seconda parte del romanzo.
Anche per la coppia malattia-guarigione va messa in evidenza la dinamicità del romanzo, che cresce e si evolve, trasformandosi in progressivo divenire, insieme ai suoi personaggi. La malattia comprende anche i traumi che hanno provocato profonde cesure nella vita di Umberto e di Valeria, in particolare nei rapporti con i partner precedenti. La guarigione passa per un altro nodo fondamentale, un nodo che va sciolto: è quello del perdono, del perdono di sé stessi e del perdono di chi ha inferto la ferita.
L’attesa, la riflessione, l’attenzione, il perdono, possono essere ricondotti alla parte femminile della psiche, che cerca e trova, almeno in questo romanzo, una riconciliazione con la parte maschile. Anche in questo caso il processo di incontro e coesistenza sempre più consapevole ne esalta la dinamicità. L’equilibrio non è acquisito una volta per tutte, ma si ricombina continuamente. Il processo è, inoltre, così come avviene per gli altri nuclei, sia interiore che esteriore, sia individuale che attento alle dimensioni collettive.
Non tanto in contrapposizione, quanto piuttosto in una complementarità che superi pregiudizi e posizioni secolari, è il concetto di paternità rispetto alla maternità. In tal senso la vicenda di Umberto è paradigmatica, giacché egli, provenendo dalla trascuratezza che gli viene rimproverata e che senz’altro paga anche duramente, se si pensa alla scelta di Cristina, sua moglie, e alle recriminazioni che per anni gli esprimono le figlie Francesca e Serena, giunge a una pienezza che abbraccia cura e sollecitudine.
Sono molte, del resto, le figure paterne che illuminano la storia, dal padre di Umberto, ricordato con devozione e riconoscenza, al professor Albergati, nel cui affetto paterno trova conforto Valeria.
Arte e scienza, e tra le scienze in particolare la medicina, vista la professione di Umberto, ora in pensione, sono un binomio che si confronta già nella stessa persona del protagonista maschile del romanzo, attratto dall’arte in senso lato, curioso e appassionato, e scienziato, sia pure di una scienza come la medicina, nella quale i dati empirici e le numerose variabili, esaltate e messe in primo piano dall’emergenza pandemica, non possono fare a meno, a rischio di un fallimento totale, di un’attenzione, continua e sollecita, all’aspetto squisitamente umano.
All’interno del vasto ambito dell’arte, inoltre, come già mostra l’incipit del romanzo, con la descrizione dettagliata dell’interno di San Lorenzo fuori le mura in attesa del concerto, la coppia degli ‘opposti complementari’ architettura e musica convive in maniera significativa non solo per ciò che concerne le predilezioni dei due protagonisti, di Valeria e di Umberto e in quest’ultimo in misura più evidente, ma anche per quanto riguarda le caratteristiche dello stile di Maurizio Rossi in questo romanzo. Si tratta infatti di uno stile che alla musicalità di una prosa, che ha fatto tesoro della consuetudine con il ritmo e la sonorità della poesia, unisce gli elementi architettonici della struttura rigorosa, che alterna i brani in tondo (lo svolgersi dei fatti) e in corsivo (il ricordo, gli antefatti, che nella seconda parte sono anch’essi riportati al tempo presente, in un continuum che mette in evidenza quanto, del passato, sia vivido e attuale e quanto, nella vita vissuta, sia importante il bagaglio di memorie che portiamo con noi).
Anche i luoghi che accolgono i tratti delle esistenze delle persone in questo romanzo si animano di vita fino a diventare realtà diverse, talora contrapposte, sempre complementari: sono i quartieri romani di Centocelle e San Lorenzo, sono Roma, la città, e il litorale di Santa Marinella per Umberto, sono Roma e Ancona, Ancona e Bologna per Valeria.
I sentimenti e gli stati d’animo in gioco sono anch’essi complementari e contrapposti: curiosità, slancio, diffidenza, timore, gioia, dolore, malinconia. Ciò che si attenua, nel volgersi del romanzo verso il futuro, come scoprono con riconoscente stupore i due protagonisti, è, finalmente, il rimpianto per le occasioni perdute.

©Anna Maria Curci Continua a leggere →

Simone Zafferani, L’ora delle verità (rec. di Giovanna Amato)

14 martedì Mar 2023

Posted by letteremigranti in Giovanna Amato, Poesia, Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

Giovanna Amato, L'ora delle verità, PeQuod, Poesia, recensioni, Simone Zafferano

Simone Zafferani, L’ora delle verità

Allora bisognò mettersi in ascolto,
trascrivere l’udibile in un gesto,
luminosamente fare

Leggo le poesie di Simone Zafferani con una sensazione di convivenza degli estremi. Ci sono versi che accecano, ma con maniere di gentilezza. Un senso di spalancamento, ma senza bufere, con un refolo di stampo educato. Provo un camminare quieto su un rivolo di sabbia ma con qualche improvviso strattone, come di vipera che si drizza dalle dune, tanto velenosa (e mai tossica) sa essere la bellezza dei suoi versi.
C’è un senso di nido che mi ha permesso di scivolare nelle poesie di Zafferani con confidenza nei loro smottamenti: in L’ora delle verità, edito da Pequod all’inizio di quest’anno, mi sembra di acciuffare l’eco tematica, ma anche ariosamente ritmica, di due poetesse da me molto amate, la Dickinson delle poesie più pacate (per quanto sempre in Dickinson si tratti di pacatezza che ribolle) e la Bre delle superne dolcezze di Le barricate misteriose. Immagino che questo sia perché, ancora convivenza degli estremi, la sua poesia sa essere estremamente naturale, pacata e aperta così come d’improvviso cosmica:

E dopo saremo anche noi
silenziosa matematica di luci
tutta fatta di segni e noi stessi segni di qualcosa
– diremo fulmine, pianoro, subsidenza
cambiando la causa con l’effetto.
Ci sopravvivrà la coscienza di quel sovvertimento
l’avere fatto a meno delle stelle
per orientarci nel buio del frattempo.
Saremo tutt’uno con la cosa precipitata
e adesso smetto di pensarlo,
lo so, non lo conosco.

La poesia è questione quasi sciamanica (Quel suono che ti inghiotte, / la musica dell’alba, / rifallo fino a che non ti sfinisce […] Ma tu resisti fino a dove / quel suono trova il nome che lo spezza / e senza compimento te lo rende) e sciamanici sono gli occhi con cui si osserva il mondo, e liturgico il modo (E tu stai lì in segreto a celebrare / l’ultima liturgia di questo mondo, / la sua più sostenibile finzione) di stare al suo interno, ma con un sacro che abbatte la separazione che ha in sé, finché l’osservare, il conoscere, il nominare, perfino il camminare sono l’operare con cui si abita e assieme si contribuisce all’esistere del mondo. E la metrica che non si concede mai bruschi strappi diventa ancora più dolce e più larga nella sezione Vite perpendicolari, sorta di Spoon River dei vivi: l’impiegato, il professore, il (se ho colto bene) prete, il contadino, il direttore d’orchestra che per accontentare un desiderio di sua madre intraprende il mestiere e si scopre “canale” attraverso il quale il molteplice si acquieta e permette “all’armonia di esistere trionfando”. E mentre questi ritratti hanno una loro narratività, è visione pura (anzi assoluta acustica) la successiva sezione, Piccola storia boschiva, nella torsione delle sue radici e nei fremiti delle piccole vite sconvolte da un suono. Se si può dire che ciò che è vita coincide con ciò che scambia informazioni in una comunità, questa sezione lo dice certamente come un piccolo capolavoro. Come piccoli capolavori sono alcune scelte di sintagmi (tra tutti, a Marilyn Monroe viene attribuita una “leggerezza esiziale”) e le cartoline da una Roma apocalittica e scura, dalle “albe lunari” e da un fiume “affatato” e dagli alberi caduti e dai passaggi segreti aperti a tutti che mutano chi li percorre dall’interno. Fino all’ultima sezione, Sul finire, un breve e malinconico canzoniere sulla fine e sulla permanenza di ciò che è stato.
Ho seguito il filo delle sezioni così come il suo autore le ha decise per conservare, da una certa distanza, quell’idea di respiro simile all’alternanza di concavi e convessi del Sant’Ivo alla Sapienza. Ho attraversato anch’io questo libro e “non sono uscito come ero entrato”. Come in un diorama, credo di aver pestato tante delle terre del mondo, e di averne avuto, assieme al poeta, cura.

Da questo pianto nasce il tuo futuro.
Lascialo andare ma tienilo con te.
Ti resti il distillato del dolore
per costruirci sopra un abitato.
Dei tuoi singhiozzi fai una collana.
Quello che ora ti appare irreparabile
visto da molto lontano nello spazio
è alchemicamente in sé perfetto.

Il tuo futuro qualcuno già lo vede
e mentre tu piangi lui stupisce.

 

©Giovanna Amato

Gianni Iasimone, “Invel – la Heimatlosigkeit, dallo spaesamento al dolore di Giovanni Nadiani”

07 martedì Mar 2023

Posted by letteremigranti in letture, Memoria, Poesia, Ricordi

≈ Lascia un commento

Tag

Gianni Iasimone, Giovanni Nadiani, Heimaten, Heimatlosigkeit, Invel, La pipa di Tucholsky, memoria, Poesia, poesia nei dialetti d'Italia, ricordo, traduzione


Invel – la Heimatlosigkeit, dallo spaesamento al dolore di Giovanni Nadiani
un ricordo

di Gianni Iasimone

Giovanni Nadiani, è stato – è – poeta, scrittore, traduttore, linguista. È stato anche docente universitario, germanista e editore, ma soprattutto cantore e fine osservatore del dialetto romagnolo, e molto altro. Il prossimo 11 marzo compirebbe 69 anni, quindi ne aveva poco più di 62 quando se n’è andato per sempre il 27 luglio del 2016, dopo una implacabile, dolorosa malattia. La sua prematura scomparsa ha lasciato un grande vuoto, non solo di affetti, nella sua Birandola di Reda, dove viveva, piccolo centro a “ridosso dell’A14” tra Cassanigo di Cotignola, in provincia di Ravenna, dov’era nato l’11 marzo del ‘54, e Faenza, dove nel 1985 fu tra i fondatori della rivista Tratti insieme al compianto amico scrittore e editore Guido Leotta e della successiva rinomata casa editrice Mobydick; a Forlì, dove era docente presso il Dipartimento di Interpretazione e Traduzione (Sitlec) dell’Università di Bologna; nei tanti amici e studiosi italiani e di “ altre lingue” che molto debbono alla sua vita e alla sua opera; e soprattutto nella sua Romagna che tanto efficacemente ha cantato in versi. Versi ora aspri e ironici ora lirici, nella sua lingua “bastarda” – sempre attento a rimanere lontano dalla retorica e dal folklorico – lingua, “inter-lingua”, dell’alterità e di una geografia ormai distrutta, degradata, “mutata” in un non luogo, nessun altrove, invel, appunto…
Muovendoci da subito in questa prospettiva, a proposito della poesia di Pascoli delle origini – Myricae, per intenderci – infatti, a un certo punto della sua vita umana e artistica (è il 2013) un quasi sessantenne Giovanni Nadiani “confessa” e dice di se stesso: “Non si tratta di meri versi descrittivi o evocativi: lui, ragazzino dell’ancora immota campagna faentina, l’ha sentito davvero lo scampanellare tremulo di cicale, lui s’è perso coi pantaloni corti tra le siepi di melograno e biancospino e tamerici; e il palpito delle trebbiatrici sollevanti nugoli di pula l’ha ancora negli occhi, e negli orecchi l’angelus argentino. Lui sente ancora nei peli grigi del naso l’odore inconfondibile dei fieni allor allor falciati in cui si rotolava scoprendo qualcosa di simile al sesso mentre si beava dei trilli dei grilli, dell’inesausto poetare delle ranocchie, girini sfuggiti alla sua caccia (…), dell’interminato brusio tentennante, inquietante dei pioppi annuncianti un temporale (…). Sì, non erano semplice letteratura quei versi (…) erano la sua vita, erano i suoi giorni, erano il suo posto, la sua casa, la sua melodia diurna e notturna (da Giovanni Nadiani, La pipa di Tucholsky, Homeless Book 2015).
Ecco, Giovanni, Zvan, tutte queste cose le ha sentite, vissute, in pieno boom economico, e di lì a poco – sotto i suoi occhi – tutte quelle cose, insieme alle lucciole, scompariranno dalla sua campagna e non solo. Ma lui le fa diventare lingua, in trasformazione, sì, e anche alter-ego della sua scrittura, della sua poesia. O forse, è lui l’alter-ego della sua attenta sensibile scrittura. Senza scomodare categorie psicoanalitiche potremmo dire – ora che “la morte rende totalità” – che Giovanni ha vissuto una vita di inter-relazione linguistica, e al contempo di relazione con il dolore. Si è fatto – si fa – “tramite della relazione critica (contradditoria) tra il soggetto e il mondo”. Con il suo dolore, autentico, “fino a farlo passare per il corpo, rimuginarlo e restituirlo in forma di poesia, la somma di voce e linguaggio, linguaggio e voce” (Simone Giusti, dalla prefazione a G.N., Il brusio delle cose, Mobydick 2014). Fino a “diventare la lingua che ancora non sa perché ancora non si sa”.
Senza considerare che non è “possibile comprendere veramente la poesia di Nadiani se non si è sensibili allo sforzo doloroso con cui il poeta, per poter scrivere in una lingua determinata, si è dovuto liberare della naturale appartenenza a quella lingua” (Rocco Ronchi, dalla prefazione a G.N., Sens, Pazzini 2000).
È ancora Giovanni che parla di sé: “quei versi potrebbero costituire – e forse costituiscono – il primo manifesto della Heimatlosigkeit, dello spaesamento interiore, linguistico e culturale, ma potrebbero essere – e forse lo sono – anche puro dolore fisico, in cui da lì a poco sarebbe stato sbattuto dal vortice della Grande Trasformazione (…) ancora perdurante, quando avrebbe iniziato ad abbozzare qualche verso sbilenco in lingua sconfitta”. Tutte le parole, le immagini della scrittura di Nadiani, i primi poemetti e poi quelle dell’ultimo doloroso periodo della sua breve e intensa vita, sempre ci riportano allo spaesamento quotidiano, personale e globale: “Era già tutto lì: il suo esser forestiero a casa sua; il suo destino di dover vagare per un mondo altro; il suo certo sapere di un scorpione sotto ogni sasso: la precarietà, l’insufficienza e la fugacità dell’esistenza. Tutto in quella domanda, che resta ancora e sempre senza risposta: dov’ero?” (G.N., La pipa di Tucholsky, Homeless Book 2015).
In una campagna ormai smembrata, “trafitta da viadotti e palafitte industriali”, compaiono relitti di ogni genere, fino al “vecchio aratro-reperto abbandonato dai buoi districarsi come un lombrico nella gleba rinsecchita della tradizione – e’ nostar scorar l’è e’ ritrat de’ / nostar ste un bigat pers trama al terb / sfrisedi avalnedi da no i su padron un / caraton d’pisgh scvadré tra di cùdal sech (il nostro dire è il ritratto del / nostro stare un verme smarrito / tra i campi / sfregiati avvelenati da noi / loro padroni uno / scheletro di filari squadrati tra zolle secche (“Dmenga” da Feriae, Marsilio 1999) e rompere (quindi) con la tradizione regionale, farsi lingua nuova, la lingua che più non si sa, per afferrare e affermare in qualche modo lo sfregio, la lacerazione, la frammentazione inferti (…) alla Terra e all’Umano”.
Ecco, Govanni Nadiani, senza timore di essere smentiti, per questi e altri temi non secondari, per lo sfolgorante significato complessivo del suo discorso poetico, ha lasciato un grande vuoto nel mondo culturale italico sempre più distratto e “coatto”, parafrasando non a caso Pier Paolo Pasolini, a fronte di un potere dei consumi che ricrea e deforma la coscienza del popolo, “fino a una irreversibile degradazione”. E, perciò, per la sua “irredimibile” mancanza, credo sia giusto riproporre la sua opera – che pure viene fatto nella sua Romagna –, ricordare la sua figura. Basterebbe soffermarsi, appunto, sul tema di invel, filo conduttore della poetica e dell’esistenza di Giovanni Nadiani, non solo con una riflessione critica. Forse con una meditazione, o una conversazione a più voci. Con le sue parole dure e struggenti, lucide e folgoranti, i suoi versi in stile “cabaret”, la sua stessa voce tratta dalle tante sue serate in zir par la Romagna alle quali Giovanni aderiva con entusiasmo e disponibilità, una “disposizione” autentica che non gli ha allungato la vita ma per la quale chiunque l’abbia conosciuto lo ricorderà per sempre.

©Gianni Iasimone

Giovanni Nadiani
Da: ANMARCURD, L’arcolaio, 2015

NÓ

nó ch’a fasen i cvel
sèmpar in freza
pinsènd ch’e’vnirà e’ su dè
ch’a putren lavuré
cum ch’u s’dév
cun tota la chèlma ch’u i vô
par fȅ i cvel fȅt ben…
nó a n‘s ‘n ‘adasen brisa
che chi cvel ch’ a lè
fȅt in prisia e furia
l’era e’ masum
ch’a putegna fȅ
adȅs ch’u s’è fat têrd
l’è bur
e a ngn’ ariven pio dri
nè cun la fôrza
ch’a j aven pèrs
e gnânch cun i dè
ch’a j aven finì
par nȍ scòrar de’ sens
d’fȅ chi cvel
ch’a n’l avden piò invel…

noi che facciamo le cose / sempre in fretta / pensando che verrà il giorno / in cui potremo lavorare come si deve / con tutta la calma che ci vuole / per fare le cose fatte bene / noi non ci accorgiamo / che quelle cose lì / fatte in fretta e furia / erano il massimo / che potevamo fare / ora che si è fatto tardi / è buio / e non ci arriviamo più / né con la forza / che abbiamo perso / e nemmeno coi giorni / che abbiamo finito / per non parlare del senso / di fare quelle cose / che non lo vediamo più da nessuna parte…

Migrazioni

  • Anna Maria Curci
  • Il Network
  • Informativa

Categorie

  • Anna Maria Curci
  • anniversari
  • Arte
  • Brunella Bassetti
  • Cinema
  • Cristina Bove
  • cronache
  • Disegni
  • Gialli
  • Giovanna Amato
  • interviste
  • la domenica pensavo a Dio/sonntags dachte ich an Gott
  • Laura Vazzana
  • Lettere migranti
  • letture
  • Letture a due voci
  • Lutz Seiler
  • Memoria
  • Migranti
  • Musica
  • Narrativa
  • Per le strade di Roma
  • Pittura
  • Poesia
  • Poesia in due lingue
  • Prosa
  • Racconti
  • Recensioni
  • Reiner Kunze
  • reportage
  • Ricordi
  • Romanzi
  • Rubriche
  • Sandra L. Rebecchi
  • Scuola
  • Simonetta Bumbi
  • Storia
  • Teatro
  • Traduzioni
  • Uncategorized

Ultime Migrazioni

  • Rosaria Di Donato, nota di lettura a “Per le stagioni con ali di velluto” di Antonietta Tiberia
  • Sonia Giovannetti legge “Luoghi sospesi” di Annamaria Ferramosca
  • Maurizio Rossi, La ruota di Duchamp (nota di Anna Maria Curci)

Archivi

  • giugno 2023
  • Maggio 2023
  • marzo 2023
  • febbraio 2023
  • dicembre 2022
  • ottobre 2022
  • agosto 2022
  • luglio 2022
  • giugno 2022
  • aprile 2022
  • febbraio 2022
  • gennaio 2022
  • febbraio 2021
  • agosto 2020
  • luglio 2020
  • marzo 2020
  • gennaio 2020
  • gennaio 2019
  • agosto 2018
  • gennaio 2018
  • ottobre 2017
  • settembre 2017
  • gennaio 2017
  • ottobre 2016
  • settembre 2016
  • agosto 2016
  • luglio 2016
  • giugno 2016
  • Maggio 2016
  • marzo 2016
  • febbraio 2016
  • gennaio 2016
  • novembre 2015
  • ottobre 2015
  • settembre 2015
  • agosto 2015
  • marzo 2015
  • gennaio 2015
  • dicembre 2014
  • ottobre 2014
  • settembre 2014
  • luglio 2014
  • giugno 2014
  • Maggio 2014
  • aprile 2014
  • marzo 2014
  • febbraio 2014
  • gennaio 2014
  • dicembre 2013
  • novembre 2013
  • ottobre 2013
  • settembre 2013
  • agosto 2013
  • settembre 2012
  • agosto 2012

lettere migranti allinfo.it bumbimediapress.com l’ideale network di allinfo anna maria curci

  • Registrati
  • Accedi
  • Flusso di pubblicazione
  • Feed dei commenti
  • WordPress.com

RSS Allinfo.it

  • Si è verificato un errore; probabilmente il feed non è attivo. Riprovare più tardi.

RSS L’Ideale

  • Qual è la quantità consigliata di merluzzo da consumare settimanalmente? La verità - Wineandfoodtour
  • Cinque tagli di capelli medi, comodi e pratici a prova di caldo - Io Donna
  • Mattarella a Parigi: l’Europa è un luogo ideale fatto di valori e sogni. Italia e Francia unite da legami... - Corriere della Sera
  • Einstein Telescope. Cos’è il progetto che l’Italia vuole portare in Sardegna - La Stampa
  • Image Skincare arruola Sennen Pamich nel ruolo di CEO - Beauty ... - Pambianco Beauty
  • Kiev, 'due morti e 23 feriti per l'attacco alla clinica di Dnipro' - Agenzia ANSA
  • Le celebrity make-up artist del momento - Vanity Fair Italia
  • Moda estate: la minigonna di Chiara Ferragni è elegante e glam - Cosmopolitan
  • Stella McCartney realizza la prima borsa derivante da piante di ... - FashionNetwork.com IT
  • I magici castelli della Loira: sono oltre trecento. A Chambord c'è la scala a doppia elica di Leonardo Da Vinc - corriereadriatico.it

RSS esti kolovani

  • Che succede a Lampedusa? Fuochi razzisti, l’ennesima orribile pagina di violenza e intolleranza verso il migrante.
  • Oggi 26 settembre si festeggia la Giornata Europea delle Lingue (European Day of Languages – EDL)
  • How is Italian journalism seen abroad?
  • Come viene visto il giornalismo italiano all’estero?
  • Hello world!

RSS il blogascolto

  • BOB DYLAN, Shadows in the Night (2015)
  • OASIS, Familiar To Millions (2000)
  • NEIL YOUNG + PROMISE OF THE REAL, The Monsanto Years (2015)
  • CHET ATKINS AND MARK KNOPFLER, Neck and Neck (1990)
  • LED ZEPPELIN, Houses of the Holy (1973)
  • THE NOTTING HILLBILLIES – Missing… Presumed Having A Good Time (1990)
  • ERIC CLAPTON, Unplugged (1992)
  • R.E.M., Up (1998)
  • R.E.M., New Adventures in Hi-Fi (1996)
  • LED ZEPPELIN, Led Zeppelin IV (1971)

RSS il blogfolk

  • Giulio Nerini – Il volo della Crisalide
  • OLTRE LA COLLINA – MIA MARTINI – Padre davvero
  • Pistoia Blues Festival dal 5 al 12 luglio 2023
  • Gordon Lightfoot, icona della musica folk canadese
  • Il sole lassù – Racconti e Poesie – Gloria Berloso
  • Allen Collins, il magico chitarrista Southern Rock dei Lynyrd Skynyrd
  • Ricky Mantoan – “LEGEND” –
  • “Madame Guitar” Festival internazionale di chitarra acustica dal 22 settembre al 25 settembre 2022
  • ilblogfolk compie 10 anni
  • Jerry Garcia – Credo che la musica sia molto più grande di me, e spero che sopravviva

RSS bumbimediapress

  • Si è verificato un errore; probabilmente il feed non è attivo. Riprovare più tardi.

Lettere Migranti

Lettere Migranti

Le ultime migrazioni

  • Rosaria Di Donato, nota di lettura a “Per le stagioni con ali di velluto” di Antonietta Tiberia
  • Sonia Giovannetti legge “Luoghi sospesi” di Annamaria Ferramosca
  • Maurizio Rossi, La ruota di Duchamp (nota di Anna Maria Curci)
  • Simone Zafferani, L’ora delle verità (rec. di Giovanna Amato)
  • Gianni Iasimone, “Invel – la Heimatlosigkeit, dallo spaesamento al dolore di Giovanni Nadiani”

Crea un sito o un blog gratuito su WordPress.com.

Privacy e cookie: Questo sito utilizza cookie. Continuando a utilizzare questo sito web, si accetta l’utilizzo dei cookie.
Per ulteriori informazioni, anche sul controllo dei cookie, leggi qui: Informativa sui cookie
  • Segui Siti che segui
    • Lettere migranti
    • Segui assieme ad altri 84 follower
    • Hai già un account WordPress.com? Accedi ora.
    • Lettere migranti
    • Personalizza
    • Segui Siti che segui
    • Registrati
    • Accedi
    • Segnala questo contenuto
    • Visualizza il sito nel Reader
    • Gestisci gli abbonamenti
    • Riduci la barra
 

Caricamento commenti...