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Diego Zandel, Eredità colpevole, Voland 2023

 Il protagonista di Eredità colpevole, Guido Lednaz, i cui tratti autobiografici sono palesi fin dal cognome, quello dell’autore, Zandel, rovesciato, è alle prese con un mistero del quale intende venire a capo. Si tratta dell’omicidio del giudice La Spina, rivendicato da un fantomatico gruppo, che si presenta come “Falange Nera” in un comunicato inviato al quotidiano romano “La Repubblica”.
Luigi La Spina, Gigi per gli amici, è vittima di un agguato. L’omicida, con il volto coperto da un casco integrale, lo fredda dinanzi al portone di casa, a via Meropia nel quartiere Aventino, e riparte poi in sella a una moto da cross.
La Spina era stato – così la trama – giudice al processo all’infoibatore Josip Strčič, che si era concluso con una sentenza di assoluzione per «difetto di giurisdizione». Il processo era stato accompagnato da manifestazioni di gruppi di estrema destra, alle quali Lednaz, figlio di profughi fiumani, aveva assistito sdegnato. Lednaz è convinto infatti che l’estremizzazione delle posizioni abbia dato e continui a dare adito alla versione, falsa e pericolosa, di un esodo di fascisti da un regime comunista.
L’esodo non è stato una scelta ideologica, ma è stato imposto da vessazioni continue di ogni tipo e da veri e propri crimini. Da quel processo, che vedeva Josip Strčič imputato, Guido Lednaz aveva auspicato l’accendersi di una luce di verità su drammi ed eventi tragici dimenticati. Di questo aveva parlato proprio con il giudice La Spina, il suo amico Gigi, in particolare dopo l’estromissione dal processo del pm Lucitti, per «interesse in causa», come richiesto dall’avvocato difensore di Strčič, Gaspare Poltronieri.
Già nel secondo dei trentasei capitoli che compongono il romanzo, Lednaz fa un passo indietro rispetto al presente narrato per rievocare l’incontro a Roma con il giudice La Spina. Le ricostruzioni ricorrono nel libro e si inseriscono nella trama sempre a ragion veduta: è della Storia che si parla, di una eredità di memoria che va affrontata, con viva partecipazione e, nel caso degli esuli e dei figli degli esuli (come Lednaz), con la ferma intenzione e l’operosa ricerca, pur nel dolore. La ferma intenzione riguarda il non lasciarsi né manipolare né strumentalizzare e rappresenta un impegno a dar voce a chi non l’ha mai avuto o non l’ha più; l’operosa ricerca è rivolta alla precisa individuazione di responsabilità.
A un’indagine condotta (e narrata) secondo criteri di limpidezza e di rispetto, ma, nell’evolversi della vicenda, tutt’altro priva di rischi per l’incolumità di chi la conduce, si affianca un viaggio nel passato per molte delle persone coinvolte, anche per Guido Lednaz, dunque, che riflette sulle vicende della propria famiglia, sul proprio rapporto con la figura materna, sulle ragioni biografiche di entrambi, madre e figlio, che li hanno condotti ad avere un rapporto problematico.
Un ritmo narrativo, che non perde colpi e che avvince, con corse, inseguimenti, colpi di scena, riconoscimenti, accompagna le azioni dei personaggi, dei ‘ricercatori’ e dei loro ‘aiutanti’, di vittime e carnefici, di complici con i loro silenzi e di benefici coadiutori negli smascheramenti. Se ci si fermasse solo a questa affermazione, senza menzionare ulteriori qualità, Eredità colpevole sarebbe semplicemente un riuscito giallo «con tinte noir» ambientato tra Roma e Trieste. Ciò che lo rende un romanzo ricco di umanità, che oltrepassa la mera classificazione di genere, è la capacità dello scrittore Diego Zandel di affrontare, con pari lucidità ed empatia, ampiezza informativa e ‘coraggio della mitezza’, la materia incandescente, con il suo carico di eventi sanguinosi e di distacchi strazianti, della Storia, qui della realtà storica, vicina nello spazio e nel tempo eppure da troppi ancora ignorata, dalla Seconda Guerra Mondiale all’immediato dopoguerra e, per le conseguenze, ben oltre, al confine orientale d’Italia. È una storia che riguarda tutti noi, che deve diventare ‘eredità consapevole’.

Anna Maria Curci