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Archivi Mensili: agosto 2015

Wolfdietrich Schnurre, Lirica

22 sabato Ago 2015

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Poesia, Traduzioni

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Anna Maria Curci, Poesia, traduzioni, Wolfdietrich Schnurre

 

Wolfdietrich Schnurre nel 1970, da qui

LYRIK

Henker, wie schön
sind dir
in deinem Vers
gestern nachmittag
die Abendwolken geraten.

Mögest du bald
wieder dienstfrei haben,
um nun auch
über den Bambuswäldern
den Mond
aufsteigen zu lassen.

LIRICA

Boia, come ti sono
venute bene
nel tuo verso
ieri pomeriggio
le nubi della sera.

Possa tu presto
essere di nuovo libero dal servizio,
per poter anche
far sorgere
la luna
sui boschi di bambù.

Wolfdietrich Schnurre
(traduzione di Anna Maria Curci)

Ottavio Olita, Anime rubate

05 mercoledì Ago 2015

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Lettere migranti, Narrativa, Recensioni, Romanzi

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Anna Maria Curci, anonima sarda, Città del Sole edizioni, Costantino Nivola, Dante Maffia, giornalismo, Novità editoriali, Ottavio Olita, Poetarum Silva, recensione, recensioni, romanzo, romanzo and tagged Anna Maria Curci, Sardegna, sequestri

In questo mese di agosto 2015 i lettori di “Lettere migranti” troveranno qui una scelta di “inviti alla lettura”.  Il terzo appuntamento è con Anime rubate, il nuovo romanzo di Ottavio Olita.

copertina_anime_rubate

Ottavio Olita, Anime rubate, Città del sole edizioni 2015. Prefazione di Dante Maffia

“Al di là di colpa ed espiazione” è la traduzione letterale del titolo di un libro di Jean Améry (pseudonimo di Hans Mayer), che in Italia è stato tradotto come Intellettuale ad Auschwitz.
Anime rubate, il romanzo più recente di Ottavio Olita, narra di colpa, di espiazione e di ciò che si trova al di là della colpa e dell’espiazione, oltre e accanto, ciò su cui solitamente preferiamo calare il velo della dimenticanza. Non sembri azzardato affiancare la devastazione provocata sui sopravvissuti ai campi di sterminio quella sofferta dai sopravvissuti ai sequestri di persona (questo è infatti, tra i temi affrontati in Anime rubate, quello dominante). A confermare il collegamento proposto c’è uno scambio di battute tra due personaggi femminili, di grande rilevanza nel romanzo: Maddalena Calvi, avvocato, e la sua assistita Alice Maltese, insegnante, già vittima, poco più che ventenne, di un rapimento che squassa la sua esistenza per sempre. Ebbene, questo passaggio mi sembra centrale e niente affatto trascinato per il verso dell’esagerazione:

”L’altra cosa importante è che è la prima volta che questo magistrato si occupa di un sequestro di persona, quindi è bene che lei gli racconti anche le angosce, le paure, la violenza di un reato di cui nessuno parla più e che è stata una vera piaga sociale ed economica per tutta l’isola”.

“Beh, allora avrà modo di fare un rapido apprendistato sulla capacità che ha l’uomo di diventare peggio delle bestie quando mette via umanità e sensibilità per farsi rubare l’anima dal richiamo del denaro, anche di quello sporco di fango e sangue”.

In una narrazione che prende lo spunto da una storia vera, così come è avvenuto per i romanzi precedenti, e che menziona un fatto di cronaca del 2013, il ritrovamento in un muretto a secco delle sculture dell’artista Costantino Nivola, rubate nel 1999 dal museo di Orani, chi legge ha modo di seguire diversi percorsi, di colpa e di espiazione, appunto, di confessioni (dalle ‘confessioni di un ottuagenario’, nel caso narrato dalle confessioni di Antonio Peddis alla nipote Elisabetta, che delle ultime volontà del nonno e del suo desiderio di espiazione si farà poi paladina, partono tutti i fili, numerosi, della vicenda), di miti e coscienza di quella che una volta veniva chiamata “anonima sarda” (Giorgio Mulas, il nipote adolescente di uno dei tre ‘moschettieri’ che animano le inchieste narrative di Olita, Gino Murgia, vede inizialmente negli autori dei sequestri quasi degli eroici Robin Hood, addirittura un’affascinante versione dellabalentìa; lo zio, con dolce determinazione e con l’aiuto del giovane Ignazio, ospite della comunità di don Achille, e di altri testimoni, favorirà un processo di progressiva chiarificazione), di svelamento di verità, di indagini condotte pur nella consapevolezza del pericolo pianificato nel dettaglio da reti complesse del crimine organizzato, con basisti, talpe, killer e colletti bianchi, di lenta e meditata riappropriazione di luoghi (in Sardegna, soprattutto) e di sentimenti. Chi legge, segue con coinvolgimento e convinzione il ritmo e il cambio di passo delle indagini e prova riconoscenza per una via, costruita con concretezza e lastricata di risposte all’interrogativo che mai si dovrebbe mettere a tacere: a che cosa serve la memoria? In tal senso, la vicenda di Giorgio, romanzo nel romanzo, è esemplare e consolida la fiducia, davvero maltrattata in questi tempi di serie televisive e ricostruzioni lacunose, fallaci e manipolate, che lo studio della nostra storia recente, così come lo studio della storia tout court, possa farsi elemento fondamentale della formazione umana. In tutto questo sta, e non è poco, l’andare “al di là di colpa ed espiazione”, senza dimenticare il crimine, senza vanificare, con cancellazioni e prescrizioni, il significato della parola “giustizia”.

© Anna Maria Curci

La nota di lettura è stata pubblicata il 18 luglio 2015 su Poetarum Silva, qui

Giovanni Ricciardi, La canzone del sangue

03 lunedì Ago 2015

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Gialli, Lettere migranti, Narrativa, Recensioni, Romanzi

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Tag

Anna Maria Curci, Arthur Schnitzler, autori siciliani, Doppio sogno, fazi editore, Gialli, Giovanni Ricciardi, letture, musica, Poetarum Silva, recensioni, romanzo and tagged Anna Maria Curci, Vitti na crozza

In questo mese di agosto 2015 i lettori di “Lettere migranti” troveranno qui una scelta di “inviti alla lettura”.  Il secondo appuntamento è con La canzone del sangue di Giovanni Ricciardi.

ricciardi_la_canzone_del_sangue

Giovanni Ricciardi, La canzone del sangue, Fazi editore 2015
Nota di lettura di Anna Maria Curci

Quanto è vera la vita di carta? Quanto dolore deborda dalle righe di un pentagramma, magari oltre le intenzioni di chi ha trascritto, trasposto e consegnato all’interprete, al lettore, all’ascoltatore, all’esecutore? Quanti significati, ancora, serba, nasconde e svela ai cercatori, aruspici e minatori, il  verbo latino tradere?
Sono domande, queste, che Giovanni Ricciardi sa far emergere, istigando la ricerca di risposte, nella sesta indagine del commissario Ottavio Ponzetti, La canzone del sangue. Punto di partenza sono testo e melodia di una canzone, le cui strofe dell’originale sono riportate nell’esergo della prima parte, e che è nota come canzone popolare siciliana per eccellenza: Vitti na crozza. Ottavio Ponzetti si trova a fronteggiare richieste di aiuto, segreti, antiche e nuove storie, enigmi e rancori, quasi suo malgrado, perché in Sicilia, teatro delle vicende, si trova in ferie con la famiglia al completo. Allora, si chiederanno i lettori affezionati a Ponzetti, dove è finita Roma, dove le sue vie e i suoi colori, la sua afa e il caldo umido? Roma ci sarà, in un ponte reale e ideale, ci saranno perfino l’avvocato Galloni e il suo cane Socrate. Ci sarà, eccome, il fido Iannotta, con il suo romanesco misto di saggezza e di ovvietà; interverrà perfino, come scopriranno i lettori, il commissario Montalbano.
Il mondo plurale, di lingue, idioletti, etnie, radici, gerghi e strati sociali, al quale Giovanni Ricciardi ci ha introdotto, si arricchisce qui ulteriormente, e lascia prevedere sviluppi futuri, nuovi ingressi nel mondo degli affetti.
Torna a schiudere l’accesso ai suoi misteri il potere della musica; il basso continuo della poesia si manifesta con voci che spaziano da Omero ai cantautori italiani, passando per Dante e Dylan Thomas.
Terminata la lettura del libro, dal quale, anche stavolta, non ci si stacca, dopo aver mollato gli ormeggi, se non quando si approda alla meta stabilita dall’autore-nocchiero, torna la domanda sostanziale, che Ottavio Ponzetti e Mario Iannotta ‘fomentano’ tra il serio e il faceto nel corso del romanzo: quanto è vera la vita di carta? E, ancora, quanto è vera la vita del sogno? A questa domanda ha dato risposta, nella letteratura, un altro ‘personaggio di carta’, Albertine di Doppio sogno di Arthur Schnitzler. Un’altra significativa risposta, insieme a un tascapane con ulteriori domande, si trova ne La canzone del sangue di Giovanni Ricciardi. Dunque, con la “bisaccia del cercatore”, buon viaggio e buona lettura.

Anna Maria Curci

La nota di lettura è stata pubblicata il 16 luglio 2015 su Poetarum Silva, qui

2 agosto 1980 – 2 agosto 2015

02 domenica Ago 2015

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Poesia, Storia

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2 agosto 1980, Anna Maria Curci, Bologna, orologio, Poesia, stazione, storia, strage di Bologna, Vittorio Bodini

strage_bologna_orologio

2 agosto 2015

E oggi e sempre ero lì, nello spazio abolito
di fronte all’orologio, all’ora fissa,
domenica d’agosto, ma era sabato
allora, nel millenovecentottanta.

La sera, gola polvere macerie,
non ho detto a mio zio, sì, il ferroviere:
ricordo la paura e gli anni, trentacinque.

Viaggiavi al tempo lungo quel percorso
e mi portavi i rotocalchi sparsi
dai turisti tedeschi sui sedili.

Non gli ho detto: l’angoscia
per te, per gli altri, mi è compagna
(“tu non conosci il sud” mi nutrì
e il dannato ritegno all’espansione).

Anna Maria Curci

Patrizia Rinaldi, Ma già prima di giugno

01 sabato Ago 2015

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Lettere migranti, Narrativa, Recensioni, Romanzi

≈ 1 Commento

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Anna Maria, Curci, edizioni e/o, Elio Pagliarani, foibe, Napoli, Nisida, Patrizia Rinaldi, Poetarum Silva, recensioni, romanzo, Spalato, storia, Villaggio Cultura - Pentatonic, Villaggio Giuliano-Dalmata

In questo mese di agosto 2015 i lettori di “Lettere migranti” troveranno qui una scelta di “inviti alla lettura”. Il primo appuntamento è con il romanzo di Patrizia Rinaldi, Ma già prima di giugno.

Rinaldi_Prima_di_giugno

 

Patrizia Rinaldi, Ma già prima di giugno, edizioni e/o 2015

Inventario di un incontro
di Anna Maria Curci

«Ma già prima del termine di giugno/ la mia palinodia divenne sorte:/ nessun antagonista alla mia morte» (Elio Pagliarani, da Inventario privato; versi riportati in esergo da Patrizia Rinaldi). Al termine del nostro incontro nel settembre scorso ho ricevuto da Patrizia Rinaldi una promessa. O meglio, con l’orgoglio pudico di chi legge e, lontano dalla vista altrui, pensa che tutto ciò che è scritto sia rivolto a lei,  a lui, ho accolto quell’annuncio – ché annuncio era – come una promessa. A fine settembre 2014, dunque, alla domanda circa i suoi progetti futuri che le ho rivolto mentre eravamo al Villaggio Giuliano-Dalmata, Patrizia Rinaldi ha risposto che le vicende narrate avrebbero menzionato anche una sorte non dissimile da quella toccata a molti dei primi abitanti del quartiere romano nel quale ci trovavamo a parlare. Un sobbalzo, difficile da spiegare con meri dati autobiografici, ha inaugurato allora la mia attesa, che si è conclusa «prima del termine di giugno», allorché il libro è stato pubblicato. Un’attesa che è stata premiata, perché, sì, confesso di aver provato amore per gli scontri, fieri e dignitosissimi, con gli «scostumatelli dal falso sdegno» di Maria Antonia, la madre, narrata da giovane, e di Ena, la sua terzogenita, da vecchia, che a quella narrazione alterna il racconto in prima persona. Ho indugiato, con lo sguardo che riconosce parenti molto più stretti dei consanguinei, su gonne plissettate, su stoffe da arredi sacri, «cascioni» e ricicli vari, su guanti, sottovesti, pois e cappellini, su scarpe amorevolmente curate e, di necessità,  virtuosamente «pittate».

Mi guardo le mani.
«Se vorrai mentire sull’età, non dimenticare di metterti i guanti» mi diceva mia madre, dimenticando che l’era dei guanti fosse già finita da un pezzo.
Nel reparto laterale dell’armadio riposano in pace guanti di filo, di lana, di pelle. Quelli di pelle avrebbero dovuto essere conservati meglio, magari con della carta all’interno, invece l’incuria li ha costretti in un ammasso di dita e di polsi.
Il loculo dei guanti è un solido geometrico con l’odore di mia madre. Un misto di lavanda immortale, di retrogusto di tuberose, olezzo di rossetto stantio. (p. 39)

Ho attraversato l’odore acre della fuga per la sopravvivenza,  il pozzo della fame che nasconde il fondo e tende nicchie come trappole, “il sole nero della malinconia” compagna e musa, perfino l’Agro Pontino, la terra piatta e la malaria fatale dei racconti che qui dove vivo ho ascoltato da più voci.

Sono tornata a fissare l’occhio sulla sagoma di Nisida: anche quella non manca mai di far spiccare balzi al cuore e accennare piroette alla testa, perché ci sono orizzonti che si abbracciano come propri, anche quando non si sono ‘realmente’ palesati nella nostra infanzia.
Ho tuffato il naso nel glicine, ho percorso su e giù lo scalone della «villa a mare», ho abitato «la casa vicino ai binari del tram», ho ascoltato quieta e ho studiato con Lucia, la primogenita di Maria Antonia, ho cucinato la pizza di zucchine con Giuseppina, l’amica di Ena, ho tremato a Dachau con i fratelli di Maria Antonia, Renato, Tore e Arturo, ho scoperto la fatica paziente e buona del riaggiustare.

Renato e Tore furono assegnati alla pressa e alla pazzia.
Arturo fu impiegato per la riparazione delle macchine. L’ebete fissazione per Zoccolì lo conservò quasi indenne.
Aveva una capacità rara di stare al pezzo per ore e ore, non mollava un ingranaggio finché non l’aveva riparato. Ricostruiva parti mancanti o lesionate con ogni genere d’invenzioni meccaniche.
Le sue mani avevano l’intelligenza che a lui mancava.
Per questo prigionieri e sorveglianti gli permettevano di restare da solo; presto diventò per tutti una macchina che aggiustava macchine. E basta. (pp. 69-70)

Per colpa della guerra, dopo la guerra e nella guerra perpetua che si dilata, serpe smisurata, nella Storia: non è litania blasfema o «arrovogliata», è filo conduttore, è legenda della mappa di questo libro e dell’esistenza, della danza, con le scarpe pittate, i piedi scalzi o l’acetabolo rotto, con la signora che ha tra le braccia un fascio di spighe e miete, miete, senza alcun antagonista.

© Anna Maria Curci

La nota di lettura è apparsa il 13 luglio 2015 su Poetarum Silva, qui

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