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Alev Tekinay, Anna Maria Curci, Dazwischen, Dude Magazine, matria, Nel mezzo, Poesia, premio Adelbert von Chamisso, traduzione
La lettura della bella presentazione di Simone Di Brango, su Dudemagazine, di Dismatria di Igiaba Scego, mi ha riportato alla mente i versi di Alev Tekinay, da me tradotti, in due versioni diverse, nel 2002 e nel 2008. Alev Tekinay è nata nel 1951 a Izmir, in Turchia. Vive da anni in Germania, paese nel quale ha conseguito la maturità e, dopo aver studiato lingua e letteratura tedesca, il titolo di dottore in filologia. Si è occupata, tra l’altro, di comparatistica, come docente alla Facoltà storico-filologica all’Università di Augusta. Nel 1990 le è stato assegnato il premio Adelbert von Chamisso, che la Fondazione Robert Bosch riserva alle nuove voci della letteratura in lingua tedesca, che, come nell’Ottocento lo scrittore Chamisso, hanno una lingua materna diversa.
I versi di Alev Tekinay, Dazwischen (“Nel mezzo”) si trovano in una raccolta di racconti, Die Deutschprüfung , preceduti da un testo che presento qui nella mia traduzione.
Tu parli, pensi e sogni in due lingue, ma in nessuna sei a casa. Due lingue matrigne, dunque, nel testa a testa, due madri snaturate, maledizione. Parlare, forse, non è mai stato il mio forte «Il silenzio è d’oro, la parola è d’argento». E questo silenzio racchiude per esempio pensare, sognare e scrivere. Consideravo la lingua, ora, non più come madre e cercavo nuove definizioni:
… la mia preferita: un treno espresso dal Bosforo alle Alpi, sempre in viaggio;
Avanti e indietro, avanti e indietro, con lo sferragliare uniforme delle ruote
… un paesaggio verde nella steppa, con le strade pulite e una cordialità calorosa e senso dell’ospitalità. Ma esiste veramente? Non appena le strade sono pulite – come in una clinica – vengono meno cordialità e ospitalità.
La realtà. Non c’è una steppa verde.
Un giorno, all’improvviso, seppi che cos’era: la lingua era una casa, nella quale si erano fuse le due patrie. (*)
Scrivere – un impeto in me. La penna si ribella al silenzio d’oro e mi aiuta a costruire la mia casa.
La casa aveva un giardino con fiori in tanti colori, ogni fiore aveva una parola tedesca o una parola turca, una parola magica.
Il gorgoglio sommesso della fontana era un canto turco-tedesco. La casa aveva molte stanze, le cui porte non erano serrate. Ogni stanza era un capitolo della grammatica turca o della grammatica tedesca. Tutta la casa era bella come una poesia turco-tedesca, più bella e più salda del castello e la figlia del castellano non era più la figlia del castellano, ma la padrona di casa. Aveva impiegato anni a costruire questa casa pietra su pietra.
Nel mezzo
Ogni giorno faccio la valigia
e poi la ridisfo.
Al mattino, quando mi sveglio,
progetto il ritorno,
ma per mezzogiorno mi abituo di più
alla Germania.
Cambio
eppure resto uguale
e non so più
chi sono.
Ogni giorno la nostalgia di casa
è più irresistibile
ma la nuova patria mi trattiene
giorno dopo giorno ancor più forte.
E ogni giorno percorro
duemila chilometri
in un treno immaginario
su e giù,
indecisa tra
l’armadio
e la valigia
e nel mezzo c’è il mio mondo.
Alev Tekinay
(traduzione di Anna Maria Curci)
Du redest, denkst und träumst in zwei Sprachen, aber in keiner bist du zuhause. Zwei Stiefmuttersprachen also, im Kopf-an-Kopf-Rennen, zwei Rabenmütter, verflucht nochmal. Reden ist vielleicht immer schon nicht meine Stärke gewesen. »Reden ist Silber, Schweigen ist Gold.« Und dieses Schweigen beinhaltet vieles, z.B. Denken, Träumen und – Schreiben. Ich sah die Sprache nun nicht mehr als Mutter und suchte nach neuen Definitionen:
… am liebsten ein Zug, ein Bosporus-Alpen-Expreß, ständig unterwegs:
Hin und her, hin und her, das gleichmäßige Donnern der Räder.
… eine grüne Steppenlandschaft mit sauberen Straßen und einer warmen Herzlichkeit und Gastfreundschaft. Gibt es das überhaupt? Sobald die Straßen sauber sind – wie in einer Klinik – mangelt es an Herzlichkeit und Gastfreundschaft. Die Realität: Es gibt keine grüne Steppe.
Eines Tages wußte ich plötzlich: die Sprache war ein Haus, in dem die beiden Heimatländer zusammengeschmolzen waren.
Schreiben – ein Drang in mir. Die Feder ist der Rebell des goldenen Schweigens und hilft mir beim Bauen meines Hauses.
Das Haus hatte einen Garten mit bunten Blumen, jede Blume war ein deutsches oder türkisches Wort, ein Zauberwort. Das leise Plätschern des Springbrunnens war ein deutsch-türkisches Lied. Das Haus hatte viele Zimmer, deren Türen nicht verschlossen waren. Jedes Zimmer war ein Kapitel aus der deutschen oder türkischen Grammatik. Das ganze Haus war so schön, wie ein deutsch-türkisches Gedicht, schöner und stabiler als die Burg, und das Burgfräulein war kein Burgfräulein mehr, sondern die Hausherrin. Es hatte sie Jahre gekostet, bis sie dieses Haus Stein für Stein gebaut hatte.
Dazwischen
Jeden Tag packe ich den Koffer
ein und dann wieder aus.
Morgens, wenn ich aufwache,
plane ich die Rückkehr,
aber bis Mittag gewöhne ich mich mehr
an Deutschland.
Ich ändere mich
und bleibe doch gleich
und weiß nicht mehr,
wer ich bin.
Jeden Tag ist das Heimweh
unwiderstehlicher,
aber die neue Heimat hält mich fest
Tag für Tag noch stärker.
Und jeden Tag fahre ich
zweitausend Kilometer
in einem imaginären Zug
hin und her,
unentschlossen zwischen
dem Kleiderschrank
und dem Koffer,
und dazwischen ist meine Welt.
Alev Teikinay,
(da: Die Deutschprüfung. Erzählungen, 1989)
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(*) Tiziana Colusso propone di affiancare al concetto di ‘patria’ quello di ‘matria’.