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Archivi Mensili: settembre 2012

Alev Tekinay, Nel mezzo

13 giovedì Set 2012

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Tag

Alev Tekinay, Anna Maria Curci, Dazwischen, Dude Magazine, matria, Nel mezzo, Poesia, premio Adelbert von Chamisso, traduzione

La lettura della bella presentazione di Simone Di Brango, su Dudemagazine, di Dismatria di Igiaba Scego, mi ha riportato alla mente i versi di Alev Tekinay, da me tradotti, in due versioni diverse, nel 2002 e nel 2008. Alev Tekinay è nata nel 1951 a Izmir, in Turchia. Vive da anni in Germania, paese nel quale ha conseguito la maturità e, dopo aver studiato lingua e letteratura tedesca, il titolo di dottore in filologia. Si è occupata, tra l’altro, di comparatistica, come docente alla Facoltà storico-filologica all’Università di Augusta. Nel 1990 le è stato assegnato il premio Adelbert von Chamisso, che la Fondazione Robert Bosch riserva alle nuove voci della letteratura in lingua tedesca, che, come nell’Ottocento lo scrittore Chamisso, hanno una lingua materna diversa.

I versi di Alev Tekinay, Dazwischen (“Nel mezzo”) si trovano in una raccolta di racconti, Die Deutschprüfung , preceduti da un testo che presento qui nella mia traduzione.

Tu parli, pensi e sogni in due lingue, ma in nessuna sei a casa. Due lingue matrigne, dunque, nel testa a testa, due madri snaturate, maledizione. Parlare, forse, non è mai stato il mio forte «Il silenzio è d’oro, la parola è d’argento». E questo silenzio racchiude per esempio pensare, sognare e scrivere. Consideravo la lingua, ora, non più come madre e cercavo nuove definizioni:
… la mia preferita: un treno espresso dal Bosforo alle Alpi, sempre in viaggio;
Avanti e indietro, avanti e indietro, con lo sferragliare uniforme delle ruote
… un paesaggio verde nella steppa, con le strade pulite e una cordialità calorosa e senso dell’ospitalità. Ma esiste veramente? Non appena le strade sono pulite – come in una clinica – vengono meno cordialità e ospitalità.
La realtà. Non c’è una steppa verde.
Un giorno, all’improvviso, seppi che cos’era: la lingua era una casa, nella quale si erano fuse le due patrie. (*)
Scrivere – un impeto in me. La penna si ribella al silenzio d’oro e mi aiuta a costruire la mia casa.
La casa aveva un giardino con fiori in tanti colori, ogni fiore aveva una parola tedesca o una parola turca, una parola magica.
Il gorgoglio sommesso della fontana era un canto turco-tedesco. La casa aveva molte stanze, le cui porte non erano serrate. Ogni stanza era un capitolo della grammatica turca o della grammatica tedesca. Tutta la casa era bella come una poesia turco-tedesca, più bella e più salda del castello e la figlia del castellano non era più la figlia del castellano, ma la padrona di casa. Aveva impiegato anni a costruire questa casa pietra su pietra.

Nel mezzo

Ogni giorno faccio la valigia
e poi la ridisfo.

Al mattino, quando mi sveglio,
progetto il ritorno,
ma per mezzogiorno mi abituo di più
alla Germania.

Cambio
eppure resto uguale
e non so più
chi sono.

Ogni giorno la nostalgia di casa
è più irresistibile
ma la nuova patria mi trattiene
giorno dopo giorno ancor più forte.

E ogni giorno percorro
duemila chilometri
in un treno immaginario
su e giù,
indecisa tra
l’armadio
e la valigia
e nel mezzo c’è il mio mondo.

Alev Tekinay
(traduzione di Anna Maria Curci)

Du redest, denkst und träumst in zwei Sprachen, aber in keiner bist du zuhause. Zwei Stiefmuttersprachen also, im Kopf-an-Kopf-Rennen, zwei Rabenmütter, verflucht nochmal. Reden ist vielleicht immer schon nicht meine Stärke gewesen. »Reden ist Silber, Schweigen ist Gold.« Und dieses Schweigen beinhaltet vieles, z.B. Denken, Träumen und – Schreiben. Ich sah die Sprache nun nicht mehr als Mutter und suchte nach neuen Definitionen:
… am liebsten ein Zug, ein Bosporus-Alpen-Expreß, ständig unterwegs:
Hin und her, hin und her, das gleichmäßige Donnern der Räder.
… eine grüne Steppenlandschaft mit sauberen Straßen und einer warmen Herzlichkeit und Gastfreundschaft. Gibt es das überhaupt? Sobald die Straßen sauber sind – wie in einer Klinik – mangelt es an Herzlichkeit und Gastfreundschaft. Die Realität: Es gibt keine grüne Steppe.
Eines Tages wußte ich plötzlich: die Sprache war ein Haus, in dem die beiden Heimatländer zusammengeschmolzen waren.
Schreiben – ein Drang in mir. Die Feder ist der Rebell des goldenen Schweigens und hilft mir beim Bauen meines Hauses.
Das Haus hatte einen Garten mit bunten Blumen, jede Blume war ein deutsches oder türkisches Wort, ein Zauberwort. Das leise Plätschern des Springbrunnens war ein deutsch-türkisches Lied. Das Haus hatte viele Zimmer, deren Türen nicht verschlossen waren. Jedes Zimmer war ein Kapitel aus der deutschen oder türkischen Grammatik. Das ganze Haus war so schön, wie ein deutsch-türkisches Gedicht, schöner und stabiler als die Burg, und das Burgfräulein war kein Burgfräulein mehr, sondern die Hausherrin. Es hatte sie Jahre gekostet, bis sie dieses Haus Stein für Stein gebaut hatte.

Dazwischen

Jeden Tag packe ich den Koffer
ein und dann wieder aus.

Morgens, wenn ich aufwache,
plane ich die Rückkehr,
aber bis Mittag gewöhne ich mich mehr
an Deutschland.

Ich ändere mich
und bleibe doch gleich
und weiß nicht mehr,
wer ich bin.

Jeden Tag ist das Heimweh
unwiderstehlicher,
aber die neue Heimat hält mich fest
Tag für Tag noch stärker.

Und jeden Tag fahre ich
zweitausend Kilometer
in einem imaginären Zug
hin und her,
unentschlossen zwischen
dem Kleiderschrank
und dem Koffer,
und dazwischen ist meine Welt.

Alev Teikinay,
(da: Die Deutschprüfung. Erzählungen, 1989)
_________________________________________________________________
(*) Tiziana Colusso propone di affiancare al concetto di ‘patria’ quello di ‘matria’.

Lutz Seiler, La domenica pensavo a Dio

03 lunedì Set 2012

Posted by letteremigranti in Poesia

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Tag

Anna Maria Curci, Del Vecchio editore, Federico Italiano, Gio Batta Bucciol, Lutz Seiler, Milo De Angelis, Paola Del Zoppo, Poesia, Silvia Ulrich, Theresia Prammer, traduzione

Lutz Seiler

LA DOMENICA PENSAVO A DIO

Traduzioni di

  

Gio Batta Bucciol

Anna Maria Curci

Milo De Angelis

Paola Del Zoppo

Federico Italiano

Theresia Prammer

Silvia Ulrich

prima della demolizione

prima della demolizione arriva l’arresto

di tutto, la piazza pulita, il

parlato si allontana &

ammutolisce, un piccolo

secco sentore umano

affiora, staccato dalla casa

batte il bastone sulle frasche.

carta di baro truccata dal riso

è il suo abbeveratoio, leggermente

infiammabili sono le circo–

stanze oculari – il

tremito delle mani

al di sopra del terreno, il loro rintoccare

nell’aria: un andare andare

nel maldestro

(Trad. di Anna Maria Curci)

vor dem abriß

vor dem abriß kommt die rast

von allem, die bereinigung. das

gesprochene entfernt sich &

verstummt. ein kleiner

trocken mensch geruch

taucht auf, gelöst vom haus

schlägt er den stock ins laub.

vom lachen gezinkt

ist seine tränke, leicht

entzündlich sind die augen–

umstände – das

anzucken der hände

über dem boden, ihr läuten

in der luft; ein gehen gehen

ins ungelenke

(208 – 209)

stai attento

da bambini volevamo sempre

marciare in altri

paesi, ma

ai confini del bosco eravamo vecchi

& dovevamo tornare indietro.

una pupilla la madre, una

pupilla il padre;

& se di sera dovevamo essere per tempo

a casa, con le loro

capriole ci indicavano la strada

(Trad. di Milo De Angelis e Theresia Prammer)

hüte dich

als kinder wollten wir immer

in andere länder

marschieren, aber

am waldrand waren wir alt

& mußten zurück.

ein augapfel die mutter, ein

augapfel der vater;

& mußten wir abends zur zeit

nach haus, so

rollten uns beide voraus

(230-231)

all’est dei länder

il vento si alzava

al confine sui cani che salivano

gli scheletri ramificati

fischiava un’assordante sciocca

canzone di montagna. venne la neve

& strappò la tenda

di ferro dai loro occhi quello

sguardo spento nell’hinterland

era il nostro accontentarci. sì

saremmo se avessimo potuto

andare via sempre

rimasti da noi

(Trad. di Paola Del Zoppo)

im osten der länder

wind kam auf die grenzland

hunde stiegen an

ihren zart verästelten gerippen

pfiff ein betörend töricht

wanderlied. schnee kam auf

& riss der eisen

vorhang ihrer augen jener

stumpfe blick ins hinterland

zeigte dass wir uns beschieden. ja

wir wären wenn wir hätten

gehen können immer fort

bei uns geblieben

(72-73)

prima dell’era volgare

buca delle lettere notturna, colpo d’ombra

della portiera nell’ingresso di casa

battibecco, dal–

l’acqua sollevato & ammutolito

nelle cerchie annuali. All’improvviso

vecchi gli appunti

tra respiri &

ciò che segue, alle spalle, a tavola, ciò

che di notte le vertebre

sfalda nella tua flessione – come

intende la scia lasciata dalla lumaca tutto tempo

tu respiri piano, battendo attraverso

le branchie di questa oscurità

(Trad. di Silvia Ulrich)

vor der zeitrechnung

nachtbriefkasten, schattenschlag

der fahrertür im hauseingang;

wortwechsel, aus

dem wasser gehoben & verstummt

in jahresringen. plötzlich

alt die notizen

zwischen atemzügen &

was nachkommt, im rücken, am tisch, was

nachts die wirbel aus–

einanderzieht in deiner beuge – wie

die verlassne spur es meint der schnecke alles zeit

atmest du langsam, schlagend durch

die kiemen dieser dunkelheit

(116-117)

alla ferrovia

passo a passo, per rallentare

negli occhi: questa

era la tua via di casa. vedevo

lanterne affondare, disseminate

consuete come tombe, brevi

treni, la sera alla ferrovia quando

lente le solette di questo marciapiede

si rizzano & la luce

nei vagoni è

come luce da bei soggiorni, buona gente che

in posizione seduta passa; io

percepii pelle: i colori

di lampade da tavolo, più belle, nel vagone–ristorante &

un bicchiere tra due tali divenne

lento, in alto

agitato a sangue. fermo & appesovi,

fino a che il tempo mi dislocò, rimasi

per Nadja

(Trad. di Federico Italiano)

an der bahn

 

schritt für schritt, um nachzulassen

in den augen: das

war dein nach–hause–weg. ich sah

laternen untergehn, verstreut

vertraut wie gräber, kurze

züge, abends an der bahn wenn

platten dieses gehsteigs locker

hochstehn & das licht

in den waggonen ist

wie licht aus guten stuben, guten menschen die

in sitzhaltung vorüberfahrn; ich

spürte haut: die farben

schöner tischlampen im speisewagen &

ein glas zwischen zwei beiden wurde

langsam, hoch

aufs blut geschwenkt. ich stand & war

bis mich die zeit verschob: daran gehängt

 für Nadja

(136-137)

Lutz Seiler, La domenica pensavo a Dio. A cura di Paola Del Zoppo. Del Vecchio editore, 2012

« Di Lutz Seiler si racconta molto spesso innanzitutto la biografia: nato a Gera, in Turingia, in un Paese cancellato dalla cartina geografica, ha vissuto l’infanzia e la giovinezza nella profonda DDR, è stato falegname e muratore e “a un certo punto” ha cominciato a scrivere.

Si è affermato come poeta, poi ha sviluppato alcune immagini del suo passato anche in una raccolta di racconti (Die Zeitwaage) per poi tornare di nuovo alla lirica con la raccolta im felderlatein. Vive a Wilhelmshorst, nei pressi di Berlino, dove cura la casa/ museo del poeta Peter Huchel. È importante, la biografia di Lutz Seiler, perché nei due decenni trascorsi, si era affacciato sulla scena poetica tedesca in particolare come cronista del passato più recente che, con mirabile sintesi espressiva, rielabora in tutte le sue raccolte poetiche e in prosa finora pubblicate». (da: Paola Del Zoppo, Odore di poesia, in: La domenica pensavo a Dio, p. 261)

Lutz Seiler all’Associazione “Villaggio Cultura”, Roma, 16 novembre 2011. Foto di Spartaco Coletta

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