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Lettere migranti

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Finale da “Santa Giovanna dei Macelli” di Bertolt Brecht

18 martedì Ago 2020

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Anna Maria Curci, Bertolt Brecht, Johanna, Santa Giovanna dei Macelli, storia, Teatro, traduzione

Carola Neher in Die heilige Johanna der Schlachthöfe di Brecht. Foto di Karl Schrecker, 1930

Con Brecht, Santa Giovanna dei Macelli,
pensavo al mattatoio di Testaccio.
Anna Maria Curci

TUTTI
Due anime ti abitano, umano,
Nel cuore!
Sceglierne una è vano
Ché entrambe devi avere.
Resta sempre in conflitto con te stesso!
Resta l’Uno, resta sempre Scisso!
Tieni l’anima nobile, tieni la plebea
Tieni la grezza, tieni la filistea
Tienile entrambe appresso!

Bertolt Brecht, Santa Giovanna dei Macelli
(traduzione di Anna Maria Curci)

 

 

ALLE
Mensch, es wohnen dir zwei Seelen
in der Brust!
Such nicht eine auszuwählen
Da du beide haben mußt.
Bleibe stets mit dir im Streite!
Bleib der Eine, stets Entzweite!
Halte die hohe, halte die niedere
Halte die rohe, halte die biedere
Halte sie beide!

Bertolt Brecht, Die heilige Johanna der Schlachthöfe
(1929-1930)

Eva Strittmatter, Profitto e perdita

03 martedì Gen 2017

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, anniversari, Poesia, Traduzioni

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Anna Maria Curci, Aufbau Verlag, Eva Strittmatter, Poesia, traduzione, Wildbirnenbaum

ARCHIV - Die Dichterin Eva Strittmatter, aufgenommen am 12.08.1997 in Berlin. Eva Strittmatter ist tot. Im Alter von 80 Jahren starb sie am Dienstag (04.01.2011) in Berlin. Das teilte der Verlag Das Neue Berlin der Nachrichtenagentur dpa mit. Neben ihren Gedichtveröffentlichungen schrieb Eva Strittmatter auch Prosa für Erwachsene und Kinder. Foto: Paulus Ponizak dpa/lbn +++(c) dpa - Bildfunk+++

Eva Strittmatter il 12 agosto 1997 a Berlino. Foto: Paulus Ponizak dpa/lbn +++(c) dpa – Bildfunk+++

Sei anni fa, il 3 gennaio 2011, moriva a Berlino Eva Strittmatter, autrice di numerosi volumi di poesie, di prosa e di romanzi per ragazzi. Nata Braun, aveva preso il cognome del marito, lo scrittore Erwin Strittmatter. La ricordo oggi con la mia traduzione della sua poesia, a me molto cara, Gewinn und Verlust, tratta dalla raccolta Wildbirnenbaum (“Pero selvatico”), che apparve nel 2009. (Anna Maria Curci)

 

PROFITTO E PERDITA

Profitto e perdita vanno sempre a braccetto:
Perdo fiducia cieca e sventatezza.
E acquisto un po’ di giudizio e di concetto
E a guardare imparo con più accortezza
A ciò che non mi tocca di persona.
Ciò che da me niente si aspetta
E ciò che promessa d’amore non menziona.
Scrivo sopra una pagina più netta.
Le parole mi si fanno più pesanti che allora.
Si arresta ormai di gioventù lo slancio.
L’intimo mio più non rivolto in fuori.
E in silenzio procedo al mio fianco.

Eva Strittmatter (da: Wildbirnenbaum, 2009)
(traduzione di Anna Maria Curci)

GEWINN UND VERLUST

Gewinn und Verlust sind immer zusammen:
Ich verliere an Leichtsinn und blindem Vertraun.
Und gewinne ein wenig an Einsicht und Wissen
Und lerne gründlicher hinzuschaun
Auf das, was mich nicht persönlich betrifft.
Was an mich keine Erwartungen hat
Und was mir keine Liebe verspricht.
Ich schreibe auf einem reineren Blatt.
Die Worte werden mir schwerer als früher.
Der Aufschwung der Jugend gelingt mir nicht mehr.
Ich kehre mein Innres nicht mehr nach außen.
Und schweigend gehe ich neben mir her.

Eva Strittmatter

Davide Cortese, A Pier Paolo Pasolini

05 sabato Mar 2016

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Poesia, Traduzioni

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Davide Cortese, Pier Paolo Pasolini, Poesia, traduzione

Pier Paolo Pasolini in una foto giovanile, da qui

Pier Paolo Pasolini in una foto giovanile, da qui

 

 

A Pier Paolo Pasolini

 

Nell’iride tua

è un dio ragazzo

che bacia nel buio dei cinema

e ruba ai morti

il fiore per l’amata viva.

Nell’iride tua

freme una notte di borgata

in cui angeli si sporcano

seppellendo un peccato.

Esulta nell’iride tua

una rondine sottratta alla morte.

È salva, ti vola e splende.

 

 

An Pier Paolo Pasolini

 

In deiner Iris

ist ein Knaben-Gott,

der in der Dunkelheit der Kinosäle küsst

und den Toten die Blume

für die lebende Geliebte stiehlt.

In deiner Iris

bebt eine Vorstadtnacht,

in der sich Engel beim Begraben

einer Sünde schmutzig machen.

Es jubelt in deiner Iris

eine dem Tod entrissene Schwalbe.

Sie ist gerettet, fliegt dich und glänzt.

 

Davide Cortese

(traduzione in tedesco di Anna Maria Curci)

 

Nelly Sachs, Coro dei salvati

27 mercoledì Gen 2016

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Memoria, Poesia, Storia, Traduzioni

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Anna Maria Curci, memoria, Nelly Sachs, Poesia, traduzione

Nelly_Sachs

Scrivevo tre anni fa, e riconfermo ogni parola:

«Per questa Giornata della Memoria, 27 gennaio 2013, ho scelto di tradurre Chor der Geretteten, che Nelly Sachs, premio Nobel per la letteratura, scrisse nel 1946. La poesia fu pubblicata l’anno successivo, nel ciclo di poesie Aus den Wohnungen des Todes (Dalle dimore della morte).
Mentre leggo e scrivo, rivedo i volti di Andra e Tatiana Bucci, di Sami Modiano, riascolto le loro voci, sento Piero Terracina che dice “Noi stiamo lottando perché il male assoluto diventi bene assoluto”, torno con il pensiero al momento in cui in classe abbiamo percorso i versi della poesia, alle reazioni degli studenti, a questa poesia e aTodesfuge di Paul Celan, alle pagine da I sommersi e i salvati di Primo Levi, da Intellettuale ad Auschwitz di Jean Améry, da Sonderkommando Auschwitz di Shlomo Venezia.Penso alla testimonianza che le studentesse che hanno preso parte al Viaggio della Memoria nell’ottobre 2012 hanno preparato per l’incontro di questa mattina a scuola e mi dico che tutto ciò è, come scrive Nelly Sachs, “a voce bassa”, ma è una risposta continua, ferma, ai latrati della morte e della negazione che rimbombano e provano, ancora oggi, ogni giorno, a far brandelli della memoria». (Anna Maria Curci)


Chor der Geretteten

Wir Geretteten,
Aus deren hohlem Gebein der Tod schon seine Flöten schnitt,
An deren Sehnen der Tod schon seine Bogen strich –
Unsere Leiber klagen noch nach
Mit ihrer verstümmelten Musik.
Wir Geretteten,
Immer noch hängen die Schlingen für unsere Hälse gedreht
Vor uns in der blauen Luft –
Immer noch füllen sich die Stundenuhren mit unserem tropfenden Blut.

Wir Geretteten,
Immer noch essen an uns die Würmer der Angst.
Unser Gestirn ist vergraben im Staub.
Wir Geretteten
Bitten euch:
Zeigt uns langsam eure Sonne.
Führt uns von Stern zu Stern im Schritt.
Laßt uns das Leben leise wieder lernen.
Es könnte sonst eines Vogels Lied,
Das Füllen des Eimers am Brunnen
Unseren schlecht versiegelten Schmerz aufbrechen lassen
Und uns wegschäumen –

Wir bitten euch:
Zeigt uns noch nicht einen beißenden Hund –
Es könnte sein, es könnte sein
Dass wir zu Staub zerfallen –
Vor euren Augen zerfallen in Staub.
Was hält denn unsere Webe zusammen?
Wir odemlos gewordene,
Deren Seele zu Ihm floh aus der Mitternacht
Lange bevor man unseren Leib rettete
In die Arche des Augenblicks.
Wir Geretteten,
Wir drücken eure Hand,
Wir erkennen euer Auge –
Aber zusammen hält uns nur noch der Abschied,
Der Abschied im Staub
Hält uns mit euch zusammen.

Nelly Sachs
Dal ciclo di poesie In den Wohnungen des Todes (Nelle dimore della morte), Aufbau Verlag, Berlin1947.

Coro dei salvati

Noi salvati,
Dalle cui ossa cave la morte ha già intagliato i suoi flauti,
Sui cui tendini la morte ha già fatto scorrere i suoi archetti –
Risuona ancora il lamento dei nostri corpi
Con la loro musica mutilata.
Noi salvati,
Pendono ancora i cappi ritorti per le nostre gole
Dinanzi a noi nell’aria azzurra –
Ancora le clessidre si riempiono del nostro sangue stillante.

Noi salvati
Ancora si cibano di noi i vermi dell’angoscia
La nostra stella è sepolta nella polvere.
Noi salvati
Vi chiediamo:
Mostrateci pian piano il vostro sole.
Di stella in stella riportateci al passo
Fateci apprendere di nuovo, a voce bassa, la vita.
Potrebbe darsi, altrimenti, che il canto di un uccello,
Il secchio che al pozzo si riempie
Forzino il nostro dolore sigillato malamente
E come schiuma ci spazzino via-

Vi chiediamo:
Non ci mostrate ancora un cane che morde –
Potrebbe darsi, potrebbe darsi
Che polvere diventiamo –
Dinanzi ai vostri occhi ci disfiamo in polvere.
Che cosa tiene insieme la nostra tela?
Noi divenuti senza respiro,
La cui anima volò a Lui dalla mezzanotte
Molto tempo prima che portassero in salvo il nostro corpo
Nell’arca dell’attimo.
Noi salvati
Vi stringiamo la mano,
Riconosciamo il vostro occhio –
Ma insieme ci tiene ancora soltanto il distacco,
Il distacco nella polvere
Ci tiene uniti a voi.

Nelly Sachs
(traduzione di Anna Maria Curci)

Verrai a prendermi un giorno – Vei veni să mă iei într-o zi

27 martedì Ott 2015

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Lettere migranti, Poesia, Poesia in due lingue

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italiano, L'Arcolaio, Luigi Simonetta, Nuove nomenclature e altre poesie, Poesia, romeno, Tatiana Ciobanu, traduzione

Luigi Simonetta, Matriarca blu

Luigi Simonetta, Matriarca blu

Verrai a prendermi un giorno

I

Verrai a prendermi un giorno,
avrò il vestito sognato,
bianco coi fiori azzurri
sui fianchi troppo larghi.

II

Verrai a prendermi un giorno,
tra canti e contraddanze,
ai miei, di calembour,
additerai i difetti.

III

Verrai a prendermi un giorno,
e sarà gioia piena.
Se mia o degli ostili,
altri lo narreranno.

 

 

Vei veni să mă iei într-o zi

I

Vei veni să mă iei într-o zi,
voi avea rochia visată,
albă cu flori azurii
pe șoldurile mele prea largi.

II

Vei veni să mă iei într-o zi,
între cântece și contredanses
la ai mei, de calembour,
le vei indica defectele.

III

Vei veni să mă iei într-o zi
Si va fi bucurie deplină
A mea sau a celor ostili
Alții o vor povesti.

 

Anna Maria Curci, da Nuove nomenclature e altre poesie, L’Arcolaio 2015
Traduzione in romeno di Tatiana Ciobanu

Thomas Bernhard, 25 anni dopo

12 mercoledì Feb 2014

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Lettere migranti, Poesia, Traduzioni

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Aldo Giorgio Gargani, Anna Maria Curci, Auf der Erde und in der Hölle, Il pensiero raccontato, Korrektur, Poesia, Poetarum Silva, Selbstwatschen, Thomas Bernhard, traduzione

Soliman rovescio
La scrittura è uno schiaffo
che sonoro ci inchioda
solenne rifiliamo
ad altri e a noi stessi.

Surroga d’omicidio
rinfranca e rintrona se
è lastra che denuda
mai pozza a rimirarsi.

Anna Maria Curci
24 luglio 2010

25 anni fa, il 12 febbraio 1989, moriva Thomas Bernhard. Nell’intervista del 1978 a Krista Fleischmann, riproposta in apertura, Bernhard definiva la scrittura come “Selbstwatschen”, “autoceffone”, un sonoro manrovescio, esercizio quotidiano di pensiero e di linguaggio che ricorda a chi scrive che non gli è dato conoscere “den richtigen Zeitpunkt”, il momento esatto in cui oltrepassiamo il limite tra dicibile e indicibile:  ‹Un giorno, in un solo istante, sfondiamo il limite estremo. […] Noi conosciamo il metodo, ma l’istante temporale non lo conosciamo. » (Thomas Bernhard, Korrektur; brano riportato da Aldo Giorgio Gargani nel volume Il pensiero raccontato, Laterza 1995, p. 62). Sempre nell’intervista a Krista Fleischmann, Thomas Bernhard: «Mir wurde der Tod in die Wiege gelegt, er verfolgt mich halt» (La morte mi è stata messa nella culla, mi perseguita, tutto qui).

Ripropongo qui, su Lettere migranti, un contributo apparso precedentemente – per la precisione il 30 agosto 2013, su Poetarum Silva, qui:

La prima raccolta di poesie di Thomas Bernhard, Auf der Erde und in der Hölle (Sulla terra e all’inferno) fu pubblicata nel 1957.  Alcune liriche vengono proposte qui nell’originale in tedesco e nella mia traduzione. Nel percorrere questi versi non sfuggiranno certamente le suggestioni che derivano dalla lettura della poesia di Georg Trakl. (Anna Maria Curci)

Der Tag der Gesichter

Morgen ist der Tag der Gesichter. Sie werden
sich erheben wie Staub
und in Gelächter ausbrechen.
Morgen ist der Tag der Gesichter, die in
die Kartoffelerde gefallen sind. Ich kann
nicht leugnen, daß ich
an diesem Sterben der Triebe schuldig bin.
Ich bin schuldig!
Morgen ist der Tag der Gesichter, die meine Qual
auf der Stirn tragen,
die mein Tagwerk besitzen.
Morgen ist der Tag der Gesichter, die wie Fleisch
auf der Kirchhosfmauer tanzen
und mir die Hölle zeigen.
Warum muß ich die Hölle sehen? Gibt es keinen anderen Weg
zu Gott?
Eine Stimme: Es gibt keinen anderen Weg! Und dieser Weg
führt uber den Tag der Gesichter,
er führt durch die Hölle.

Il giorno dei volti

Domani è il giorno dei volti. Si
solleveranno come polvere
e scoppieranno a ridere.
Domani è il giorno dei volti, caduti
nella terra delle patate. Non posso
negare di essere
colpevole di questa morte delle pulsioni.
Sono colpevole!
Domani è il giorno dei volti, che portano
il mio tormento sulla fronte,
che possiedono il mio lavoro quotidiano.
Domani è il giorno dei volti, che ballano
come carne sul muro del cimitero
e mi mostrano l’inferno.
Perché devo vedere l’inferno? Non c’è altra via
a Dio?
Una voce: Non c’è un’altra via! E questa via
passa per il giorno dei volti,
passa per l’inferno.

Thomas Bernhard
(Traduzione di Anna Maria Curci)

Ich weiß, daß in den Büschen die Seelen sind

Ich weiß, daß in den Büschen die Seelen sind
von meinen Vätern,
im Korn
ist der Schmerz meines Vaters
und im großen schwarzen Wald.
Ich weiß, daß ihre Leben, die ausgelöscht sind
vor unseren Augen,
in den Ähren eine Zuflucht haben,
in der blauen Stirn des Junihimmels.
Ich weiß, daß die Toten
die Bäume sind und die Winde,
das Moos und’die Nacht,
die ihre Schatten
auf meinen Grabhügel legt.

So che nei cespugli ci sono le anime

So che nei cespugli ci sono le anime
dei miei padri
nel grano
c’è il dolore di mio padre
e nel grande bosco nero.
So che le loro vite, che sono estinte
ai nostri occhi,
hanno un rifugio nelle spighe
nella fronte azzurra del cielo di giugno.
So che i morti
sono gli alberi e i venti,
il muschio e la notte
che le sue ombre
posa sul mio tumulo.

Thomas Bernhard
(Traduzione di Anna Maria Curci)

In einen Teppich aus Wasser

In einen Teppich aus Wasser
sticke ich meine Tage,
meine Götter und meine Krankheiten.
In einen Teppich aus Grün
sticke ich meine roten Leiden,
meine blauen Morgen,
meine gelben Dörfer und Honigbrote.
In einen Teppich aus Erde
sticke ich meine Vergängnis.
Ich sticke meine Nacht hinein
und meinen Hunger,
meine Trauer
und das Kriegsschiff meiner Verzweiflungen,
das hinübergleitet in tausend Gewässer,
in die Gewässer der Unruhe,
in die Gewässer der Unsterblichkeit.

In un tappeto d’acqua

In un tappeto d’acqua
ricamo i miei giorni,
i miei dei e i miei malanni.
In un tappeto di verde
ricamo i miei dolori rossi,
i miei mattini azzurri,
i miei borghi in giallo e le mie fette di pane e miele.
In un tappeto di terra
ricamo la mia caducità.
Ci ricamo dentro la mia notte
e la mia fame,
il mio cordoglio
e la nave da guerra delle mie afflizioni
che scivola in mille acque,
nelle acque dell’inquietudine,
nelle acque dell’immortalità.

Thomas Bernhard
(Traduzione di Anna Maria Curci)

Vor dem Dorf

Die Gesichter, die aus dem Feld tauchen, fragen
mich nach der Rückkunft.
Mein Schrei stört nicht die Schwalbe,
die auf dem zerbrochenen Ast hockt. Finster
ist meine Seele, die der Wind treibt
ans Meer, zu riechen das Salz der Erde.
Meine Legende ist sterblich.
Unter dem Baum, der meinem Bruder ähnlich ist,
zähl ich die Sterne der Schiffer.

Davanti al borgo

I volti che emergono dal campo mi chiedono
del ritorno.
Il mio grido non  turba la rondine
acquattata sul ramo spezzato. Cupa
è la mia anima, che il vento spinge
al mare, a fiutare il sale della terra.
La mia leggenda è mortale.
Sotto l’albero, che assomiglia a mio fratello,
conto gli astri dei barcaioli.

Thomas Bernhard
(Traduzione di Anna Maria Curci)

Im Garten der Mutter

Im Garten der Mutter
sammelt mein Rechen die Sterne,
die herabgefallen sind, während ich fort war.
Die Nacht ist warm und meine Glieder
strömen die grüne Herkunft aus,
Blumen und Blätter,
den Amselruf und das Klatschen des Webstuhls.
Im Garten der Mutter
trete ich barfuß auf die Schlangenköpfe,
die durch das rostige Tor hereinschaun
mit feurigen Zungen.

Nel giardino della madre

Nel giardino della madre
il mio rastrello ammucchia gli astri
caduti mentre ero via.
Calda è la notte, e le mie membra
sprigionano l’origine verde,
fiori e foglie,
il grido del merlo e il battito del telaio.
Nel giardino della madre
schiaccio a piedi nudi le teste dei serpenti
che fanno capolino dal cancello arrugginito
con lingue di fuoco.

Thomas Bernhard
(Traduzione di Anna Maria Curci)

Vierkantenhof_Bernhard

Lutz Seiler, Nel latino dei campi – alcune considerazioni

12 domenica Gen 2014

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, la domenica pensavo a Dio/sonntags dachte ich an Gott, Lettere migranti, Lutz Seiler, Poesia

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Anna Maria Curci, Del Vecchio editore, Heimaten, la domenica pensavo a Dio/sonntags dachte ich an Gott, Lutz Seiler, Nel latino dei campi, Paul Bowles, Poesia, traduzione

Lutz Seiler all'Associazione Villaggio Cultura, Roma, 16 novembre 2011. Foto di Spartaco Coletta

Lutz Seiler all’Associazione Villaggio Cultura, Roma, 16 novembre 2011. Foto di Spartaco Coletta

 

Lutz Seiler, Nel latino dei campi

 

im felderlatein
einmal begründet sind wir ein bast
auf der borke
zu gast in der rinde & inneres kind
der ausfall strassen. diese

strassen sind eine leise gesprochene
sprache noch über das einmal
gesagte hinweg an den gärten
ins felderlatein. dort

sitzt das kind auf einem hügel die
welt ist aus sand gemurmelte sprachen
rollen nach innen wollen
auch wasser brücken

& strassen
benötigen leise
rollende sprachen das
eigene kind im felderlatein

Qui si può ascoltare Lutz Seiler che legge im felderlatein

nel latino dei campi

una volta fondati siamo un filo di rafia
sulla scorza
ospiti nella corteccia & figlio interno
delle strade radiali. queste

strade sono una lingua parlata
a voce bassa oltre ciò che è stato detto
un tempo passa per i giardini
fino al latino dei campi. lì

siede il bimbo sopra un colle il
mondo è lingue mormorate di sabbia
rotolano all’interno vogliono
anche acqua ponti

& strade
hanno bisogno di lingue
che rotolano a voce bassa il
proprio figlio nel latino dei campi

Lutz Seiler
(traduzione di Anna Maria Curci, da: Lutz Seiler, La domenica pensavo a Dio / Sonntags dachte ich an Gott, Del Vecchio Editore 2012, pp. 82-83)

Nella raccolta pech & blende domina il ‘paesaggio accidioso’ (“träge Landschaft”, Elmar Krekeler in un articolo apparso su “Die Welt” il 14 luglio 2007) della Turingia occidentale, zona devastata dallo sfruttamento legato alla Wismut, ditta mineraria della Germania Est che si occupava della lavorazione dell’uranio come materia prima per l’industria atomica sovietica. Il paese natale di Lutz Seiler, Culmitzsch, raso al suolo dalle ruspe della Wismut, non esiste più da molti decenni. Nella resa asciutta e incisiva di una perdita incolmabile, il testo im felderlatein emerge, per contrasto, nel suo slancio di ri-fondazione.

È proprio la parola “latino” a portare con sé, facendolo rotolare “a voce bassa”,  questo slancio. La lingua tedesca unisce infatti nella parola “Latein” (latino) lingua e sapere. Chi esaurisce il proprio ‘latino’ è giunto ai confini, alle colonne d’Ercole del proprio sapere. Due locuzioni, tipiche della lingua parlata ed entrambe risalenti al 18° secolo, come attesta il Wörterbuch der deutschen Umgangssprache (Dizionario della lingua colloquale tedesca, Klett 1997, pag. 484), ne sono un esempio evidente: “ihm geht das Latein aus” e “mit seinem Latein am Ende sein” corrispondono alle espressioni italiane “non sa che pesci pigliare” e “non sapere più a che santo votarsi”.

Che cosa succede, invece, in questi versi? Il latino lingua dei dotti, distante e ignota ai più, che aveva generato le espressioni colloquiali menzionate, si fa “felderlatein”, “latino dei campi”. Percorre sentieri noti e ignoti, campi coltivati e incolti, fonda insediamenti, reclama e costruisce ponti e acquedotti.  Rivendica diritto di parola, lungo “strade radiali”, fuori dalle città, oltre i giardini pre-ordinati, alla ruvidezza della corteccia, al rollio sommesso, al bisogno di ponti e alla sete di acqua, all’atto creativo, figlio-bimbo seduto sulla collina, che annusa, contempla, ruzzola, “rotola” percorre con tutti i sensi il “latino dei campi”.

Assume piena consistenza, qui, quello che Lutz Seiler afferma nel saggio apparso nel volume, dal  titolo carico di significati (patrie, case, paesi natii e luoghi di adozione),  Heimaten (Lutz Seiler- Anne Duden – Fahrad Showghi, Heimaten, Wallstein, Göttingen 2001): “Löst man den Heimat-Begriff aus seiner territorialen Bestimmung, kann praktisch alles, was »Heimvalenz« besitzt, was als Heim, Herkunft, als ursprüngliche Behausung erfahrbar wurde, »Heimat« sein.[..] Oft wird Sprache als »Heimat« bezeichnet, und das Schreiben kann auf diesem Wege »behausen«”: “Se si libera il concetto di Heimat, casa, patria, dalla sua determinazione territoriale, praticamente tutto ciò che possiede la «valenza di casa», che è stato vissuto come casa,  provenienza,  dimora originaria può essere «Heimat, patria, casa» [..] Spesso la lingua viene definita «patria, casa» e la scrittura può, per questo tramite, «dare una casa».

Se «Ognuno ha solo un canto», come ricorda Lutz Seiler citando Paul Bowles, il canto fonda la poesia, la poesia fonda e ri-fonda mondi.

®Anna Maria Curci

Alev Tekinay, Nel mezzo

13 giovedì Set 2012

Posted by letteremigranti in Poesia

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Alev Tekinay, Anna Maria Curci, Dazwischen, Dude Magazine, matria, Nel mezzo, Poesia, premio Adelbert von Chamisso, traduzione

La lettura della bella presentazione di Simone Di Brango, su Dudemagazine, di Dismatria di Igiaba Scego, mi ha riportato alla mente i versi di Alev Tekinay, da me tradotti, in due versioni diverse, nel 2002 e nel 2008. Alev Tekinay è nata nel 1951 a Izmir, in Turchia. Vive da anni in Germania, paese nel quale ha conseguito la maturità e, dopo aver studiato lingua e letteratura tedesca, il titolo di dottore in filologia. Si è occupata, tra l’altro, di comparatistica, come docente alla Facoltà storico-filologica all’Università di Augusta. Nel 1990 le è stato assegnato il premio Adelbert von Chamisso, che la Fondazione Robert Bosch riserva alle nuove voci della letteratura in lingua tedesca, che, come nell’Ottocento lo scrittore Chamisso, hanno una lingua materna diversa.

I versi di Alev Tekinay, Dazwischen (“Nel mezzo”) si trovano in una raccolta di racconti, Die Deutschprüfung , preceduti da un testo che presento qui nella mia traduzione.

Tu parli, pensi e sogni in due lingue, ma in nessuna sei a casa. Due lingue matrigne, dunque, nel testa a testa, due madri snaturate, maledizione. Parlare, forse, non è mai stato il mio forte «Il silenzio è d’oro, la parola è d’argento». E questo silenzio racchiude per esempio pensare, sognare e scrivere. Consideravo la lingua, ora, non più come madre e cercavo nuove definizioni:
… la mia preferita: un treno espresso dal Bosforo alle Alpi, sempre in viaggio;
Avanti e indietro, avanti e indietro, con lo sferragliare uniforme delle ruote
… un paesaggio verde nella steppa, con le strade pulite e una cordialità calorosa e senso dell’ospitalità. Ma esiste veramente? Non appena le strade sono pulite – come in una clinica – vengono meno cordialità e ospitalità.
La realtà. Non c’è una steppa verde.
Un giorno, all’improvviso, seppi che cos’era: la lingua era una casa, nella quale si erano fuse le due patrie. (*)
Scrivere – un impeto in me. La penna si ribella al silenzio d’oro e mi aiuta a costruire la mia casa.
La casa aveva un giardino con fiori in tanti colori, ogni fiore aveva una parola tedesca o una parola turca, una parola magica.
Il gorgoglio sommesso della fontana era un canto turco-tedesco. La casa aveva molte stanze, le cui porte non erano serrate. Ogni stanza era un capitolo della grammatica turca o della grammatica tedesca. Tutta la casa era bella come una poesia turco-tedesca, più bella e più salda del castello e la figlia del castellano non era più la figlia del castellano, ma la padrona di casa. Aveva impiegato anni a costruire questa casa pietra su pietra.

Nel mezzo

Ogni giorno faccio la valigia
e poi la ridisfo.

Al mattino, quando mi sveglio,
progetto il ritorno,
ma per mezzogiorno mi abituo di più
alla Germania.

Cambio
eppure resto uguale
e non so più
chi sono.

Ogni giorno la nostalgia di casa
è più irresistibile
ma la nuova patria mi trattiene
giorno dopo giorno ancor più forte.

E ogni giorno percorro
duemila chilometri
in un treno immaginario
su e giù,
indecisa tra
l’armadio
e la valigia
e nel mezzo c’è il mio mondo.

Alev Tekinay
(traduzione di Anna Maria Curci)

Du redest, denkst und träumst in zwei Sprachen, aber in keiner bist du zuhause. Zwei Stiefmuttersprachen also, im Kopf-an-Kopf-Rennen, zwei Rabenmütter, verflucht nochmal. Reden ist vielleicht immer schon nicht meine Stärke gewesen. »Reden ist Silber, Schweigen ist Gold.« Und dieses Schweigen beinhaltet vieles, z.B. Denken, Träumen und – Schreiben. Ich sah die Sprache nun nicht mehr als Mutter und suchte nach neuen Definitionen:
… am liebsten ein Zug, ein Bosporus-Alpen-Expreß, ständig unterwegs:
Hin und her, hin und her, das gleichmäßige Donnern der Räder.
… eine grüne Steppenlandschaft mit sauberen Straßen und einer warmen Herzlichkeit und Gastfreundschaft. Gibt es das überhaupt? Sobald die Straßen sauber sind – wie in einer Klinik – mangelt es an Herzlichkeit und Gastfreundschaft. Die Realität: Es gibt keine grüne Steppe.
Eines Tages wußte ich plötzlich: die Sprache war ein Haus, in dem die beiden Heimatländer zusammengeschmolzen waren.
Schreiben – ein Drang in mir. Die Feder ist der Rebell des goldenen Schweigens und hilft mir beim Bauen meines Hauses.
Das Haus hatte einen Garten mit bunten Blumen, jede Blume war ein deutsches oder türkisches Wort, ein Zauberwort. Das leise Plätschern des Springbrunnens war ein deutsch-türkisches Lied. Das Haus hatte viele Zimmer, deren Türen nicht verschlossen waren. Jedes Zimmer war ein Kapitel aus der deutschen oder türkischen Grammatik. Das ganze Haus war so schön, wie ein deutsch-türkisches Gedicht, schöner und stabiler als die Burg, und das Burgfräulein war kein Burgfräulein mehr, sondern die Hausherrin. Es hatte sie Jahre gekostet, bis sie dieses Haus Stein für Stein gebaut hatte.

Dazwischen

Jeden Tag packe ich den Koffer
ein und dann wieder aus.

Morgens, wenn ich aufwache,
plane ich die Rückkehr,
aber bis Mittag gewöhne ich mich mehr
an Deutschland.

Ich ändere mich
und bleibe doch gleich
und weiß nicht mehr,
wer ich bin.

Jeden Tag ist das Heimweh
unwiderstehlicher,
aber die neue Heimat hält mich fest
Tag für Tag noch stärker.

Und jeden Tag fahre ich
zweitausend Kilometer
in einem imaginären Zug
hin und her,
unentschlossen zwischen
dem Kleiderschrank
und dem Koffer,
und dazwischen ist meine Welt.

Alev Teikinay,
(da: Die Deutschprüfung. Erzählungen, 1989)
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(*) Tiziana Colusso propone di affiancare al concetto di ‘patria’ quello di ‘matria’.

Lutz Seiler, La domenica pensavo a Dio

03 lunedì Set 2012

Posted by letteremigranti in Poesia

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Tag

Anna Maria Curci, Del Vecchio editore, Federico Italiano, Gio Batta Bucciol, Lutz Seiler, Milo De Angelis, Paola Del Zoppo, Poesia, Silvia Ulrich, Theresia Prammer, traduzione

Lutz Seiler

LA DOMENICA PENSAVO A DIO

Traduzioni di

  

Gio Batta Bucciol

Anna Maria Curci

Milo De Angelis

Paola Del Zoppo

Federico Italiano

Theresia Prammer

Silvia Ulrich

prima della demolizione

prima della demolizione arriva l’arresto

di tutto, la piazza pulita, il

parlato si allontana &

ammutolisce, un piccolo

secco sentore umano

affiora, staccato dalla casa

batte il bastone sulle frasche.

carta di baro truccata dal riso

è il suo abbeveratoio, leggermente

infiammabili sono le circo–

stanze oculari – il

tremito delle mani

al di sopra del terreno, il loro rintoccare

nell’aria: un andare andare

nel maldestro

(Trad. di Anna Maria Curci)

vor dem abriß

vor dem abriß kommt die rast

von allem, die bereinigung. das

gesprochene entfernt sich &

verstummt. ein kleiner

trocken mensch geruch

taucht auf, gelöst vom haus

schlägt er den stock ins laub.

vom lachen gezinkt

ist seine tränke, leicht

entzündlich sind die augen–

umstände – das

anzucken der hände

über dem boden, ihr läuten

in der luft; ein gehen gehen

ins ungelenke

(208 – 209)

stai attento

da bambini volevamo sempre

marciare in altri

paesi, ma

ai confini del bosco eravamo vecchi

& dovevamo tornare indietro.

una pupilla la madre, una

pupilla il padre;

& se di sera dovevamo essere per tempo

a casa, con le loro

capriole ci indicavano la strada

(Trad. di Milo De Angelis e Theresia Prammer)

hüte dich

als kinder wollten wir immer

in andere länder

marschieren, aber

am waldrand waren wir alt

& mußten zurück.

ein augapfel die mutter, ein

augapfel der vater;

& mußten wir abends zur zeit

nach haus, so

rollten uns beide voraus

(230-231)

all’est dei länder

il vento si alzava

al confine sui cani che salivano

gli scheletri ramificati

fischiava un’assordante sciocca

canzone di montagna. venne la neve

& strappò la tenda

di ferro dai loro occhi quello

sguardo spento nell’hinterland

era il nostro accontentarci. sì

saremmo se avessimo potuto

andare via sempre

rimasti da noi

(Trad. di Paola Del Zoppo)

im osten der länder

wind kam auf die grenzland

hunde stiegen an

ihren zart verästelten gerippen

pfiff ein betörend töricht

wanderlied. schnee kam auf

& riss der eisen

vorhang ihrer augen jener

stumpfe blick ins hinterland

zeigte dass wir uns beschieden. ja

wir wären wenn wir hätten

gehen können immer fort

bei uns geblieben

(72-73)

prima dell’era volgare

buca delle lettere notturna, colpo d’ombra

della portiera nell’ingresso di casa

battibecco, dal–

l’acqua sollevato & ammutolito

nelle cerchie annuali. All’improvviso

vecchi gli appunti

tra respiri &

ciò che segue, alle spalle, a tavola, ciò

che di notte le vertebre

sfalda nella tua flessione – come

intende la scia lasciata dalla lumaca tutto tempo

tu respiri piano, battendo attraverso

le branchie di questa oscurità

(Trad. di Silvia Ulrich)

vor der zeitrechnung

nachtbriefkasten, schattenschlag

der fahrertür im hauseingang;

wortwechsel, aus

dem wasser gehoben & verstummt

in jahresringen. plötzlich

alt die notizen

zwischen atemzügen &

was nachkommt, im rücken, am tisch, was

nachts die wirbel aus–

einanderzieht in deiner beuge – wie

die verlassne spur es meint der schnecke alles zeit

atmest du langsam, schlagend durch

die kiemen dieser dunkelheit

(116-117)

alla ferrovia

passo a passo, per rallentare

negli occhi: questa

era la tua via di casa. vedevo

lanterne affondare, disseminate

consuete come tombe, brevi

treni, la sera alla ferrovia quando

lente le solette di questo marciapiede

si rizzano & la luce

nei vagoni è

come luce da bei soggiorni, buona gente che

in posizione seduta passa; io

percepii pelle: i colori

di lampade da tavolo, più belle, nel vagone–ristorante &

un bicchiere tra due tali divenne

lento, in alto

agitato a sangue. fermo & appesovi,

fino a che il tempo mi dislocò, rimasi

per Nadja

(Trad. di Federico Italiano)

an der bahn

 

schritt für schritt, um nachzulassen

in den augen: das

war dein nach–hause–weg. ich sah

laternen untergehn, verstreut

vertraut wie gräber, kurze

züge, abends an der bahn wenn

platten dieses gehsteigs locker

hochstehn & das licht

in den waggonen ist

wie licht aus guten stuben, guten menschen die

in sitzhaltung vorüberfahrn; ich

spürte haut: die farben

schöner tischlampen im speisewagen &

ein glas zwischen zwei beiden wurde

langsam, hoch

aufs blut geschwenkt. ich stand & war

bis mich die zeit verschob: daran gehängt

 für Nadja

(136-137)

Lutz Seiler, La domenica pensavo a Dio. A cura di Paola Del Zoppo. Del Vecchio editore, 2012

« Di Lutz Seiler si racconta molto spesso innanzitutto la biografia: nato a Gera, in Turingia, in un Paese cancellato dalla cartina geografica, ha vissuto l’infanzia e la giovinezza nella profonda DDR, è stato falegname e muratore e “a un certo punto” ha cominciato a scrivere.

Si è affermato come poeta, poi ha sviluppato alcune immagini del suo passato anche in una raccolta di racconti (Die Zeitwaage) per poi tornare di nuovo alla lirica con la raccolta im felderlatein. Vive a Wilhelmshorst, nei pressi di Berlino, dove cura la casa/ museo del poeta Peter Huchel. È importante, la biografia di Lutz Seiler, perché nei due decenni trascorsi, si era affacciato sulla scena poetica tedesca in particolare come cronista del passato più recente che, con mirabile sintesi espressiva, rielabora in tutte le sue raccolte poetiche e in prosa finora pubblicate». (da: Paola Del Zoppo, Odore di poesia, in: La domenica pensavo a Dio, p. 261)

Lutz Seiler all’Associazione “Villaggio Cultura”, Roma, 16 novembre 2011. Foto di Spartaco Coletta

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