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Maurizio Rossi, La ruota di Duchamp (nota di Anna Maria Curci)

16 giovedì Mar 2023

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Anna Maria Curci, edizioni Cofine, La ruota di Duchamp, Maurizio Rossi, recensioni, romanzi, Sandro Montanari

Maurizio Rossi, La ruota di Duchamp. Prefazione di Sandro Montanari, Cofine Edizioni 2022

C’è un confine tra io e noi
una discreta linea d’orizzonte
quando per mare vai
e trascolora con la luce, a volte
si confonde, dispiegato e onde,
un fascio d’energia
nel prisma delle ore
a declinare voci della mente
e toni dell’anima.
Intanto ad Occidente vai
– solitudine e abbraccio –
vele tese sottovento
a precedere la notte.

Maurizio Rossi, La linea incerta

 

Come i versi posti in esergo, tratti dalla poesia La linea incerta, tutto il romanzo di Maurizio Rossi La ruota di Duchamp – il cui titolo fa riferimento, come osserva Sandro Montanari nella Prefazione, alla “stabile disarmonia”, al centro di quest’opera, così come lo è per Ruota di bicicletta di Marcel Duchamp – si muove tra poli che si contrappongono e che pure sono complementari, giacché è del loro coesistere che si nutrono le vicende umane.
La prima coppia è quella indicata dalla poesia menzionata: io e noi. Il cammino che separa «la linea incerta tra io e noi» passa per la riscoperta del sé, un sé che gradualmente, non senza soste, momenti di stallo e scossoni dolorosi, accoglie i propri limiti e, allo stesso tempo, impara ad apprezzare le proprie inclinazioni, i propri talenti sprofondati in precedenza nella disistima, nei “j’accuse” propri e altrui. È il cammino che percorrono i due protagonisti del romanzo, Umberto e Valeria, tanto che non è azzardato affermare che la storia del loro incontro si sviluppa includendo la storia della loro formazione e della loro trasformazione.
Un’altra coppia di ‘opposti complementari’ che riveste un ruolo centrale nel romanzo è quella della malattia e della guarigione. I due poli sono messi in evidenza sia dalla collocazione temporale delle vicende narrate, ambientate all’epoca dell’emergenza sanitaria per l’epidemia di Covid-19, sia dall’irrompere della malattia nelle biografie dei protagonisti. Un episodio, in particolare, segnerà il passaggio dalla prima alla seconda parte del romanzo.
Anche per la coppia malattia-guarigione va messa in evidenza la dinamicità del romanzo, che cresce e si evolve, trasformandosi in progressivo divenire, insieme ai suoi personaggi. La malattia comprende anche i traumi che hanno provocato profonde cesure nella vita di Umberto e di Valeria, in particolare nei rapporti con i partner precedenti. La guarigione passa per un altro nodo fondamentale, un nodo che va sciolto: è quello del perdono, del perdono di sé stessi e del perdono di chi ha inferto la ferita.
L’attesa, la riflessione, l’attenzione, il perdono, possono essere ricondotti alla parte femminile della psiche, che cerca e trova, almeno in questo romanzo, una riconciliazione con la parte maschile. Anche in questo caso il processo di incontro e coesistenza sempre più consapevole ne esalta la dinamicità. L’equilibrio non è acquisito una volta per tutte, ma si ricombina continuamente. Il processo è, inoltre, così come avviene per gli altri nuclei, sia interiore che esteriore, sia individuale che attento alle dimensioni collettive.
Non tanto in contrapposizione, quanto piuttosto in una complementarità che superi pregiudizi e posizioni secolari, è il concetto di paternità rispetto alla maternità. In tal senso la vicenda di Umberto è paradigmatica, giacché egli, provenendo dalla trascuratezza che gli viene rimproverata e che senz’altro paga anche duramente, se si pensa alla scelta di Cristina, sua moglie, e alle recriminazioni che per anni gli esprimono le figlie Francesca e Serena, giunge a una pienezza che abbraccia cura e sollecitudine.
Sono molte, del resto, le figure paterne che illuminano la storia, dal padre di Umberto, ricordato con devozione e riconoscenza, al professor Albergati, nel cui affetto paterno trova conforto Valeria.
Arte e scienza, e tra le scienze in particolare la medicina, vista la professione di Umberto, ora in pensione, sono un binomio che si confronta già nella stessa persona del protagonista maschile del romanzo, attratto dall’arte in senso lato, curioso e appassionato, e scienziato, sia pure di una scienza come la medicina, nella quale i dati empirici e le numerose variabili, esaltate e messe in primo piano dall’emergenza pandemica, non possono fare a meno, a rischio di un fallimento totale, di un’attenzione, continua e sollecita, all’aspetto squisitamente umano.
All’interno del vasto ambito dell’arte, inoltre, come già mostra l’incipit del romanzo, con la descrizione dettagliata dell’interno di San Lorenzo fuori le mura in attesa del concerto, la coppia degli ‘opposti complementari’ architettura e musica convive in maniera significativa non solo per ciò che concerne le predilezioni dei due protagonisti, di Valeria e di Umberto e in quest’ultimo in misura più evidente, ma anche per quanto riguarda le caratteristiche dello stile di Maurizio Rossi in questo romanzo. Si tratta infatti di uno stile che alla musicalità di una prosa, che ha fatto tesoro della consuetudine con il ritmo e la sonorità della poesia, unisce gli elementi architettonici della struttura rigorosa, che alterna i brani in tondo (lo svolgersi dei fatti) e in corsivo (il ricordo, gli antefatti, che nella seconda parte sono anch’essi riportati al tempo presente, in un continuum che mette in evidenza quanto, del passato, sia vivido e attuale e quanto, nella vita vissuta, sia importante il bagaglio di memorie che portiamo con noi).
Anche i luoghi che accolgono i tratti delle esistenze delle persone in questo romanzo si animano di vita fino a diventare realtà diverse, talora contrapposte, sempre complementari: sono i quartieri romani di Centocelle e San Lorenzo, sono Roma, la città, e il litorale di Santa Marinella per Umberto, sono Roma e Ancona, Ancona e Bologna per Valeria.
I sentimenti e gli stati d’animo in gioco sono anch’essi complementari e contrapposti: curiosità, slancio, diffidenza, timore, gioia, dolore, malinconia. Ciò che si attenua, nel volgersi del romanzo verso il futuro, come scoprono con riconoscente stupore i due protagonisti, è, finalmente, il rimpianto per le occasioni perdute.

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“Un bel giorno sarà estate”: Intervista a Giovanna Amato

21 martedì Giu 2022

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Anna Maria Curci, fvə editori, Giovanna Amato, interviste, Un bel giorno sarà estate

Il blog “Lettere migranti” ospita oggi il dialogo con  Giovanna Amato intorno al suo romanzo Un bel giorno sarà estate, pubblicato da fvə editori nel 2021. Buona lettura! (Anna Maria Curci)

 

  1. Tonio, il protagonista di Un bel giorno sarà estate, è un –bot. La sua origine lo distingue dunque dagli umani. Intensità, concentrazione, capacità di muoversi nei territori del sublime e dell’assoluto, essere estraneo, essere alieno accomuna senz’altro Tonio a tanti suoi affini letterari – la schiera è lunga e varia, ma Tonio ha tratti che lo rendono unico. L’idea del romanzo è scaturita nel tuo progetto dalla ‘natura’ del protagonista o da un altro nucleo?

L’idea del romanzo è scaturita dalla natura dell’amore, se posso permettermi la superbia di poter ragionare su un colosso concettuale del genere. Mi ero focalizzata su un’idea in particolare. Volevo credere possibile un amore disinteressato, svincolato dalla speranza di essere ricambiato, sensuale indipendentemente dalla quantità di erotismo (non di sesso, di erotismo) e dal lessico familiare, che è forse il vero tavolo su cui si gioca la partita di un legame amoroso. Volevo controllare se fosse possibile senza che il suo detentore si votasse a un destino di rinuncia e sofferenza. In parole povere: esiste un amore scevro dal possesso e che non si disperi, ma allegramente si nutra di sé? Creare un -bot è stata una bieca manovra per non annoiare con la dinamica lui-ama-lei e soprattutto con la dinamica ecco-cosa-si-prova-in-amore, di cui il libro è pieno e che poteva esserlo solo a patto di qualche sotterfugio. Il sotterfugio è il -bot. Per Tonio, incapace di amare senza il supporto chimico delle sue pillole, la scoperta della fisiologia dell’amore è una novità: questo mi permetteva di parlarne senza risultare lapalissiana o ridondante. Quindi la natura di Tonio è consequenziale ma anche vagamente tangenziale. Mi occorre. Ma mi occorre a pronunciare l’inesplorato del sentimento amoroso, che è il paesaggio della domanda che nel libro si staglia come un dolmen: è possibile amare con tanta intensità da – lungi dall’annullarsi – fare di questa intensità nutrimento per entrambi? Tempo fa leggevo Guerra d’infanzia e di Spagna, e a un certo punto Ramondino usa una frase folgorante per descrivere l’innamoramento, che io trovo verissima e che Tonio approverebbe: «spesso mi pareva che non avrei mai potuto sopportare neppure i successivi cinque minuti». Maneggiare il sublime, come dici tu, essere estraneo perché separato, perché «sacro», perché per nulla sicuro (né particolarmente interessato) di arrivare al minuto numero sei per la detonante regalità che ci abita: volevo descrivere esattamente quei cinque minuti, a cinque minuti per volta.

  1. La scuola è il luogo in cui sono ambientate molte scene del romanzo. Tonio si trova lì con un preciso incarico del governo, quello di svolgere l’ora settimanale di «dismisura creativa». Proprio lì Tonio incontra Maria e, con lei, una dimensione nuova, molto vicina a quella che per i poeti è la soglia sull’abisso e, d’altro canto, lo stupore incommensurabile. Dove risiedono le ragioni della scelta della scuola come luogo privilegiato delle vicende narrate?

La scuola è la mia casa, da più di dieci anni. L’anno in cui ho scritto questo libro, un’imbarazzante primavera di cinque anni fa, avevo quattordici classi, le riunioni si facevano in presenza, da ciò si desume che la scuola era letteralmente la mia casa. Avevo la borsa piena di libri e pranzi e bevande in una sacca a parte. Ma la scuola è il luogo in cui un ragazzo di undici anni scopre per la prima volta che si può amare al punto da chiedere al principe guerriero che si è sposato di non andare in guerra, e farlo deridere dall’intera città. Si proietta alla LIM il volto dell’Andromaca di De Chirico che affonda nella clavicola del suo amore, e si è già detto tutto riguardo agli umani. La scuola è l’addestramento alla bellezza, a quelli che tu chiami abisso e stupore. Ed è un luogo che permette ai due attori del mio libro di vedersi quotidianamente: senza, mancherebbe il puntello logico per cui Maria, piacevolmente assediata ma pur sempre logica nelle sue azioni, dovrebbe stare con Tonio in una routine quotidiana, lunga e condivisa. Ma non sono né partita da questo né sono andata a cercarlo dopo aver messo a fuoco un’esigenza narrativa. L’ho scritto, perché era vero. Questo è il criterio, quando butto nove libri ogni volta che ne scrivo due.

  1. All’inizio del capitolo 11, dinanzi «ai cesti del fruttivendolo», prende vita una fantastica esplosione di colori, puri e mescolati, caldi e freddi, vividi e, allo stesso tempo, portatori di simboli. Sembra di trovarsi di fronte a una contemporanea rivisitazione del “blason des couleurs” medievale, con ogni tonalità cromatica emblema e portatrice di un universo. L’accostamento è verosimile o si tratta della mera interpretazione di chi legge e si appropria del libro che, una volta pubblicato, consegnato alla lettura, diventa «il libro di tutti»?

Proprio perché mi piace remare contro all’idea di libro di tutti, che rispetto e condivido ma contro cui mi piace molto giocare, sono una vera serpe quando c’è da descrivere. Il cortile di scuola non può essere altro cortile se non barando di fantasia. E Maria ha i suoi bravi dettagli, lanciati come un dado e che la inchiodano a una certa maniera. Si dice che ha la bellezza di una mantide. Che ha gli zigomi alti, da tartara. A questo proposito, l’incredibile copertina che fve editori mi ha regalato, a opera di Francesca Bianchessi, accosta un goniometro alla gota di una donna stilizzata. Maria è impressa, non è di tutti: a rendere chiara la scivolata di colore dei suoi occhi c’è una metafora così lunga che riguarda l’intera ricerca del giusto guscio di frutta secca al bancone di un mercato. Tonio ha un problema, con gli occhi di Maria. C’è uno studio secondo il quale innamoramenti molto violenti possono generare un’amnesia dei tratti somatici dell’altro, che può essere decodificato solo in presenza. Esiste una zona del cervello precisa che interpreta i volti, ma l’innamoramento rende così traumatico il viso da creare un deficit di comprensione dei dati a livello di quella zona. Terribilmente affascinante, e fastidioso, lo dico da vittima di questa perenne fornitura di nostalgia. Tonio ricorda Maria, è pur sempre un -bot. Ma è completamente incapace di capire i suoi occhi, che vanno dal verde al castano con qualche irritante spruzzata di rosso. È lo stesso processo di mancata lettura, dovuto a questo amore irrequieto. Così vorrebbe quasi tenere in tasca un talismano che la rappresenti, che sia il suo occhio. Non gli basta capire di quale legno abbia il colore d’occhi: in una fervenza da bestiario medievale, se ne vuole impossessare.

  1. A proposito della scelta di Tonio, ho scritto di un atto di ribellione, temerariamente ponderato, all’economia del dare e dell’avere, alla logica dell’utile, perfino al capriccio di colei che, pur indietreggiando dinanzi all’abbagliante gratuità, non vuole rinunciare a essere idolatrata. “Discorrere d’amore” non è mai stato così sovversivo, non trovi?

Adoro l’immagine che allarga l’amore alla logica dell’utile. Adoro che di Maria si noti quella punta di vanità, che non è la lusinga, del tutto innocente, ma qualcosa di più malizioso. Trovare l’accoglienza magari lusingata ma senza giochini di potere è cosa rara. Eppure, nonostante la vanità o forse proprio per questo, Maria è preda di quella logica dell’utile da cui Tonio è affrancato. Anche per lei, angosciata all’idea di non corrispondere e quindi di essere-da-meno, l’amore è derubricato a questione da dover ricambiare come un pranzo con dei conoscenti. Un amore che dia, che sia appagato dal suo dare, è ancora socialmente inopportuno, come minimo manchevole o sofferente. Tonio non ha neanche il tempo di farci caso, non è una questione di scegliere. La scelta di Tonio semmai non è solo la scelta di assumere delle droghe, ma di continuare a farlo. E questa non è mai una dipendenza dall’effetto in sé: Tonio è estraneo a masochismi e dipendenze. Lui vuole continuare a ricreare la purezza di un sentimento. Per lei, apparentemente, ma soprattutto perché è per sé stesso che vale la pena. Il punto non è essere ricambiati, ma essere felici: e quale altro -bot si è mai annullato addosso la dicotomia tra dolore e meraviglia? Tonio è appagato, perché gode in maniera entusiasta e curiosa del moto perpetuo di questo sentimento. Ed è puro, non perché esente dal desiderio e dal sesso (il corpo è anzi molto presente nello strazio di non poterlo toccare, nell’incanto di clavicole, capelli, dettagli). Purezza non vuol dire astrazione. Vuol dire ubbidienza a un sentimento senza risparmio. Tonio ha scoperto la nostra dismisura: se noi avessimo il modo di scoprire la sua, questo disinteresse senza infelicità, saremmo questa parola che tu dici e che mi piace. Sovversivi. Ma ho il veleno nella coda, e propongo dall’altro lato una triste verità: forse non c’è reale via d’uscita. Chi dà può raggiungere la gioia dell’agape, ma è la persona che amiamo che, anche nell’innocenza della lusinga e fuori dalla logica dell’utile in cui è Maria, si sentirebbe-da-meno, come quando si ha in mano un regalo troppo prezioso. Chi ama, forse, lo fa per sé, e questo non è esente da una forma di egotismo. Chi dona, può; il peso è di chi riceve. Sotto questo cielo, insomma, forse l’amore disinteressato non ha via alcuna.

Anna Maria Curci – Giovanna Amato

Ottavio Olita, Sulle tracce di Almeida

30 sabato Apr 2022

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Almeida Garrett, Anna Maria Curci, IsolaPalma, Ottavio Olita, recensioni, romanzi, Silvano Tagliagambe, Sulle tracce di Almeida

Ottavio Olita, Sulle tracce di Almeida. Postfazione di Silvano Tagliagambe, IsolaPalma 2021

Da un moto di sacrosanta insofferenza, di giusta rabbia, scaturiscono prima una lettera del giovane protagonista Luca Mulas, poco più che ventenne, poi la serie di eventi, luoghi, personaggi e scoperte che popola Sulle tracce di Almeida, il romanzo più recente di Ottavio Olita.
La lettera, scritta nel 2019 e lasciata dal giovane alla madre Valeria, medico a Cagliari, spaventa quest’ultima, giacché Luca appare fermamente intenzionato a far perdere le sue tracce dopo esser partito dalla città. È una lettera che denuncia il degrado di un paese nel quale l’esclusione degli ultimi, la violenza – razzista, antisemita, fascista – sono tornati a trionfare; è una lettera che, d’altro canto, rivela una assunzione di responsabilità, una ‘auto-mobilitazione’: Luca scrive che ritiene che spetti alla propria generazione muoversi, camminare, conoscere, aiutare, avere cura, agire per opporsi alla colpevole indifferenza.
Valeria teme in un primo momento che Luca pensi a una rivolta, violenta anch’essa come il male che si propone di sconfiggere; consigliata dall’amica Nerina, si rivolge al giornalista Nicola Auletta.
Cominciano così da un lato le ricerche, condotte discretamente dal capitano dei carabinieri Gino Murgia – una presenza costante, insieme al già menzionato Nicola Auletta e all’avvocato Giuliano Deffenu, nei romanzi di Ottavio Olita –; dall’altro lato prendono le mosse le tappe di avvicinamento a quella che sarà o, per essere più precisi, diventerà una delle mete del suo cammino, che si presenta, come nei due romanzi di formazione per eccellenza, che Goethe costruisce intorno alla figura di Wilhelm Meister (Wilhelm Meisters Lehrjahre e Wilhelm Meisters Wanderjahre), come “apprendistato” e “viaggio”: Porto.
Dopo Cagliari, ci sono infatti Bologna, città nella quale Luca incontra altri giovani e si scontra con le fasce più violente dello scontento nei confronti della realtà sempre più disgregata e iniqua e di una classe politica vana e corrotta; Padova, dove conosce Beatriz Alves, Madrid, dove si ferma per qualche tempo e, grazie a Gianni Gentili, figura paterna e sollecita, riesce a partecipare in prima persona a iniziative di incontri culturali, e infine Porto, dove sarà proprio Beatriz, Bea, a invitarlo. Ma il ventaglio nutrito di luoghi si dispiegherà ulteriormente, a mostrare Lisbona e, di nuovo in Spagna, la Navarra; con un ricordo drammatico del personaggio dell’avvocato Rafael Melis Pilloni, anche Gonnosfanàdiga nel Campidano nel terribile bombardamento del 17 febbraio 1943.
A Porto, dove la storia d’amore tra Bea e Luca crescerà, Luca conosce i nonni paterni di Bea e Caetana, amica di Bea, che, a sua volta, lo introdurrà alla scoperta di Almeida Garrett.
La figura di Almeida Garrett è, come suggerisce il titolo stesso del romanzo, centrale in tutta la vicenda. Lo scrittore, giornalista e politico ottocentesco João Baptista da Silva Leitão de Almeida Garrett, pensatore profondo e brillante, sostenitore e propugnatore del liberalismo e del costituzionalismo, si rivela guida spirituale nel viaggio tra memoria e futuro di Luca Mulas.
In questo vero e proprio viaggio di conoscenza – e il viaggio di conoscenza, metafora e sale di una vita piena di senso è un concetto cardine – si illuminano alcuni sentieri, che possono essere considerati vere e proprie piste di ricerca per chi legge e si inoltra tra le pagine del romanzo Sulle tracce di Almeida.
Il primo sentiero è quello della pluralità, di luoghi, di culture, di etnie: l’epigrafe dall’enciclica di papa Francesco Fratelli tutti è indicativa di un filo conduttore che sarà intrecciato per tutto il corso del libro, per culminare in un progetto, un’iniziativa che promuove e diffonde l’incontro tra i popoli. La pluralità di lingue parlate e ‘frequentate’ dai personaggi del romanzo è un aspetto importante, accompagnato dalla cura di Ottavio Olita, che è stato, ancor prima che giornalista, docente universitario di lingua e letteratura francese, di “fare esprimere ciascuno nel proprio idioma”, come egli stesso ha avuto modo di dichiarare il 27 aprile 2022 a Roma, in occasione della presentazione del libro alla Fondazione Murialdi.
Il secondo sentiero è quello della formazione, attraverso i maestri: non solo i professori, come Acúrsio Souza e, successivamente, Giorgio Mingardi, ma coloro che della loro vita hanno fatto testimonianza, dai personaggi Gianni Gentili e Rafael Melis Pilloni, ai sacerdoti don Luigi Ciotti e don Tonino Bello, menzionati da Eleonora, nonna materna di Luca, nella sua lettera-lascito al nipote. Nella formazione hanno un ruolo fondamentale i nonni: nonna Eleonora per Luca, nonna Isabel e nonno Jorge per Bea. I nonni sono punto di riferimento, interlocutori prediletti, fonte e meta di affetto incondizionato, sapienza di vita.
Il terzo sentiero riguarda la dimensione politica, nel senso più alto del termine, dell’esistenza. Come contrapposizione alla sciatteria, alla corruzione, all’opportunismo, all’interesse privato, essa è indissolubilmente legata all’assunzione di responsabilità. La dimensione politica, nelle aspirazioni che vanno progressivamente chiarendosi agli occhi dei giovani protagonisti, Luca, Bea, la loro amica Caetana, appare armoniosamente allacciata alla passione culturale, artistica e letteraria, senza scissioni, come dimostra la vicenda esemplare di Almeida Garrett. La tensione spirituale, la spinta degli ideali è accompagnata e sostenuta dalla solidarietà nei confronti di chi ne ha maggiormente bisogno. La politica non può pensare di fare a meno della bussola del sapere: il punto di vista dell’autore è messo nel giusto rilievo da Silvano Tagliagambe nella lucida e chiara Postfazione.
Il quarto sentiero riguarda la testimonianza di umanità ai tempi dell’emergenza. Il diffondersi del virus Covid-19, le misure adottate per fronteggiarlo, le restrizioni, il mutamento drastico della quotidianità e l’irrompere del lutto sono temi che entrano con la loro urgenza nel romanzo, insieme al quesito: quale è la responsabilità del singolo e della comunità civile dinanzi all’imprevisto, all’imponderabile? La pandemia, la guerra non possono, non devono sospendere la pietas e, con un raggio più ampio e inclusivo, la compassione («con-dolore», per ricorrere a un concetto centrale nella scrittura di Hilde Domin che, come Almeida Garrett, dall’esilio ritornò con l’impegno di chi costruisce pace), il sentimento profondo di umanità.

© Anna Maria Curci

 

Conoscere Almeida Garrett è servito a farmi nascere un margine di speranza. Per sostenere i suoi ideali affrontò prima il carcere, poi l’esilio durante il quale seppe anche dare una più precisa definizione di qual particolare sentimento di nostalgia che è la saudade; si mise in relazione con il nuovo che stava nascendo in tutta Europa, sia in politica, sia in letteratura; capì quale grande funzione avrebbe potuto svolgere il giornalismo d’inchiesta e per praticarlo creò due diverse testate, una successiva all’altra; prese parte attiva al grande movimento liberale che stava nascendo e crescendo in Portogallo, grazie anche al suo contributo di poeta, romanziere e drammaturgo.
Tradusse la sua elaborazione teorica in opere che segnarono il suo tempo e che fecero rinascere la passione dei portoghesi per le proprie tradizioni popolari. Utilizzando il suo romanzo più importante, Viagens na Minha Terra non solo come opera narrativa, ma anche come testo storico e filosofico, seppe mettere insieme efficacemente intrattenimento e diffusione della conoscenza.
Fondamentale, nella sua esperienza di vita e professionale, è stato l’interscambio con le grandi culture europee del tempo, da quella inglese, a quella francese, a quella tedesca. Uno scossone per quegli anni nei quali il suo Paese rischiava di sprofondare nella palude dell’ignoranza voluta dall’assolutismo.
Perché non rilanciare uguali modalità d’intervento oggi, in tempi nei quali sembra prevalere l’ossessione della chiusura culturale, politica, etnica, nei propri confini nazionali? Un’egemonia che impoverisce, invece che arricchire, proprio come l’assolutismo di allora. (p. 198)

 

Ottavio Olita, da 40 anni giornalista – dopo sei anni di insegnamento universitario – negli ultimi tre decenni si è dedicato ai libri. Prima saggistica, poi narrativa. Questo è il suo ottavo romanzo. Scrive con il PC sulle ginocchia, le idee migliori gli vengono camminando, poi le trascrive ascoltando musica: Rossini, Mozart, Bach, ma anche Beatles, Edith Piaf, Mina.
Ama i gatti.

 

Giorgio Galli, Il matto di Leningrado

10 lunedì Gen 2022

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Daniil Charms, Gattomerlino, Giorgio Galli, Il matto di Leningrado, letture, prosa, recensioni, romanzi

Giorgio Galli, Il matto di Leningrado. Tre passeggiate con Daniil Charms, Gattomerlino 2021

Le tre passeggiate con Daniil Charms – questo è il sottotitolo del volume Il matto di Leningrado,  che Giorgio Galli ha pubblicato nell’aprile 2021 con la casa editrice Gattomerlino – hanno una scansione temporale che colloca la narrazione in una cornice storica drammatica: 21 marzo 1941, 21 giugno 1941, 21 agosto 1941, giorno della sparizione, quest’ultimo, di Daniil Ivanovič Juvačëv, in arte Daniil Charms.
Le investigazioni a proposito dello scrittore che appare, nelle pagine avvincenti scritte da Giorgio Galli, come «un tale che fumava una pipa ricurva e portava un cappello alla Sherlock Holmes», sono tributi d’amore e di una certa ‘affinità elettiva’ da parte di un viaggiatore nel tempo che per tutto il libro viene indicato, talvolta apostrofato, con il pronome personale alla seconda persona singolare.
Il testimone raccoglie gli indizi, sparsi e scarni, sugli ultimi mesi di vita di un autore del quale sono giunte a noi pochissime opere, per vie fortunose, da una misteriosa valigia, attraverso samizdat.
Nella Nota dell’autore Giorgio Galli precisa: «Questa è un’opera narrativa e non di rigore storico». Tuttavia, essa sprona all’indagine letteraria in un contesto storico, un’indagine che sia sottratta e abbia il coraggio di sottrarsi non solo a mistificazioni, bensì anche alla tentazione di sovrapposizioni e di parallelismi con epoche successive.
Una lettura attenta, infatti, permette di individuare alcune piste di ricerca, feconde e degne di interesse:

  • L’esemplarità della vicenda di Charms nonostante la sua eccentricità ovvero, al contrario, proprio in virtù di questa – si pensi alle pagine che Felicitas Hoppe dedica a Charms nelle pagine iniziali di Sieben Schätze. Augsburger Vorlesungen (“Sette tesori. Lezioni di Augusta”).
  • Il filo conduttore della geniale follia, della incomparabilità e della unicità della letteratura russa che è raccolto anche qui, da Giorgio Galli, e che ha una ragguardevole storia della ricezione in Italia – si pensi alle parole di Giorgio Manganelli che aprono il volume di Paolo Nori, dal titolo oltremodo significativo, Repertorio dei matti della letteratura russa. Un altro titolo che appartiene chiaramente a questa linea è sempre di Paolo Nori: I russi sono matti.
  • La produzione letteraria in lingua russa vicina a quella di Daniil Charms, sia per prossimità di scelte, come è avvenuto per Aleksandr Ivanovič Vvedenskij in particolare e per il gruppo “Oberju” (nomignolo con il quale è nota la “Accademia dell’Arte Reale”, fondata da Charms nel 1928) in senso più ampio, sia per legami di parentela: mi riferisco in questo caso alla figura del padre di Daniil, Ivan Pavolvič Juvačëv, la cui opera letteraria era molto apprezzata da Lev Tolstoj.
  • La comicità come slancio alla sovversione e allo svelamento, molto più vicina al tragico di quanto una percezione soporifera purtroppo diffusa – che nega e annega in un brodo indistinto entrambe le istanze. Tratto, questo, distintivo di Charms, che lo accomuna a due scrittori che, come lui, sfuggono a classificazioni riduttive: Jean Paul e, in particolare per il romanzo Fame, Knut Hamsun.

Che si vogliano esplorare o meno le piste di ricerca suggerite, anche soltanto tra le righe, da Giorgio Galli con Il matto di Leningrado, la lettura dell’opera trasmette il desiderio di leggere, e tornare a leggere, tutte le opere di Charms, a partire dalle sue poesie e dai suoi racconti per l’infanzia.

© Anna Maria Curci

Hai letto da qualche parte che a Daniil piacciono i libri sul buddhismo. Sai che campa scrivendo storie per bambini. Ma forse è più giusto dire campava, perché da un paio d’anni non gli fanno più pubblicare. Daniil scrive storie un po’ assurde, e in Unione Sovietica nel 1941 il governo preferisce che i bambini leggano storie edificanti sulla patria e sul socialismo. Uno come Daniil è un po’ sospetto. Quello che scrive fa ridere. Vorrà farsi gioco della patria e del socialismo? Secondo alcuni fa parte di una setta segreta. Secondo altri di un’organizzazione clandestina. Altri ribadiscono: è un matto.
Eppure è difficile sottrarsi alla sua suggestione. Daniil ha charme. Anche quelli che lo considerano un matto un fallito o una spia, subiscono quello charme, e se non gli rivolgono la parola è perché preferiscono ignorarlo piuttosto che guardarlo negli occhi. Dicono che sia un illusionista e che i bambini fanno tutto quello che lui dice.*

*Giorgio Galli, Il matto di Leningrado. Tre passeggiate con Daniil Charms, Gattomerlino 2021, p. 11

Cristina Polli, Leggere, presentare, dialogare: “Aperitivo con libro”

30 giovedì Lug 2020

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Anna Maria Curci, Barbara Evangelista, Cristina Polli, Giorgio Galli, Maurizio Ceccarani, Patrizia Sardisco, Sandra Luigia Rebecchi, Silvia Giannini, Simonetta Bumbi, Viviana Scarinci

“Aperitivo con libro”: i testi presentati da maggio a luglio 2020. Locandina elaborata da Silvia Giannini

Leggere, presentare, dialogare. “Aperitivo con libro”: incontri di letture condivise

Leggere, presentare, dialogare sono le tre azioni chiave svolte dai partecipanti all’iniziativa “Aperitivo con libro”. Ho scelto di usare il termine iniziativa per distaccare la realtà di “Aperitivo con libro” dal concetto di progetto, dal concetto cioè di qualcosa che, proiettato avanti, lanciato nel futuro, abbia obiettivi e finalità nel divenire perseguibili tramite un computo di risorse e strategie, tramite, insomma,  un orientamento strategico preordinato all’azione. L’idea di “Aperitivo con libro” reca in sé, in modo del tutto connaturato, una visione di futuro che si fa strada partendo dal primo dialogo posto in essere, quello tra il lettore e il libro, per poi fortificarsi e trovare alimento nella condivisione.
“Aperitivo con libro”, infatti,  è una realtà viva e non si pone alcuna finalità se non quella della condivisione che passa per la lettura di un libro scelto e per la circolarità degli apporti. I partecipanti si assumono volontariamente l’incarico, e il piacere, di presentare un libro di loro interesse secondo la propria angolazione e interpretazione, proponendo gli snodi e le linee narrative, o gli argomenti, i richiami ai dati storici, culturali e sociali contemporanei all’opera, che sono loro apparsi più salienti.
A questa prima parte segue la condivisione di osservazioni, commenti, domande da parte dei membri del gruppo per generare e intrecciare dialoghi dal basso in cui ognuno può intervenire tramite le proprie conoscenze, le proprie idee e il proprio approccio alla lettura e al discorso. Ne risulta un momento di vera e propria costruzione collettiva della riflessione che, partendo dagli interrogativi individuali, accresce e affina la sensibilità per la divergenza e la complessità narrativa ed è, non di rado, stimolo per ulteriori ricerche e riletture tramite le quali i partecipanti hanno la possibilità di sganciarsi dalla pigrizia del pensiero semplice e dalla sudditanza al mainstream.
L’idea è frutto di un confronto tra Anna Maria Curci, Cristina Polli e Patrizia Sardisco le quali, oltre a condividere l’esperienza della scrittura poetica e della docenza nelle loro diverse realtà, coltivano il gusto della lettura e dell’indagine di una parola che non sia neutra. Occorre specificare la portata non indifferente della sapienza di Anna Maria Curci in qualità di traduttrice in ricerca costante e dedita della verità poetica e di critica letteraria puntuale e sensibile.
Gli incontri, iniziati a metà maggio 2020, si svolgono con cadenza settimanale, la domenica sera alle 19,00, su piattaforma Zoom per permettere la partecipazione a lettori che vivono anche in luoghi molto distanti tra loro e che hanno accolto, e accolgono, l’iniziativa con entusiasmo.
I libri scelti in questi primi tre mesi sono stati prevalentemente testi di narrativa nei suoi vari generi e contaminazioni, ma non è mancato un incontro dedicato a un volume di saggistica, Femminismi futuri Jacobelli 2019, che ha presentato punti di vista filosofici, narratologici e poetici in senso aperto della più recente critica femminista. Le proposte dei titoli possono arrivare sia dai partecipanti che dalle ideatrici con l’unica clausola che non si tratti di opere scritte da chi presenta.

Ora siamo in piena estate e gli incontri sono sospesi per la pausa estiva, riprenderanno il 20 settembre con Le luci di Settembre, di Carlos Ruiz Zafón, omaggio allo scrittore recentemente scomparso, proposto da Anna Maria Curci. Seguirà La vendetta di Oreste di Giovanni Ricciardi, incontro a cura di Cristina Polli e, successivamente, verranno comunicate le altre proposte. Da tenere a mente l’incontro dedicato al romanzo storico di Maria Attanasio, La ragazza di Marsiglia, che si svolgerà in forma di lettura collettiva.
Se vi è venuta voglia di partecipare all’iniziativa, se vi sentite motivati a condividere l’esperienza della lettura, vi diamo appuntamento a settembre! Scriveteci in privato.

Cristina Polli

Silvano Tessicini, Battito d’ali (recensione di Brunella Bassetti)

31 mercoledì Gen 2018

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Brunella Bassetti, La Caravella editrice, letture, recensioni, romanzi, Silvano Tessicini

Silvano Tessicini, Battito d’ali, La Caravella editrice, Roma, 2017, pp.106

“Il tuo progetto è scritto nel palmo delle mie mani” (cfr. Isaia, 46, 15-16)

Bisogna diffidare di quelle persone che sostengono che un “grande” dolore (di qualsiasi natura esso sia) si possa superare. Ci si può convivere, ma è cosa ben diversa. È al pari di una modificazione genetica. Crea “disabilità” e si diventa “diversamente abili” nell’affrontare la vita. Si perde il senso della vita perché è la vita a non avere più senso, o almeno così sembra.
Il protagonista di questo romanzo – Sergio – ci narra la sua personalissima esperienza, il suo travaglio interiore, la sua lotta quotidiana, le sue emozioni e sensazioni legate al superamento, all’accettazione della morte improvvisa, per un tragico incidente, della sua piccola figlia Andrea.
Un tema su cui si è scritto molto e si continuerà a scrivere, negli ultimi anni anche su basi scientifiche, grazie all’evolversi di metodiche specialistiche quali la “Narrative Based Medicine”.
L’Autore di questo breve ma intenso romanzo lo fa alla sua maniera attingendo dalla sua vita privata e professionale mezzi e strumenti di narrazione che gli appartengono. Arte cinematografica, pittura, poesia sono le quinte di questa vicenda umana, fanno da sfondo al lutto di Sergio ma, nello stesso tempo, accompagnano il lettore – o meglio fanno da eco – a quelle domande universali legate al senso della vita e, quindi, inevitabilmente anche al senso della morte. Anche i momenti più tragici e drammatici di questo percorso sono descritti con una delicatezza rara e con rispetto umano. È un tunnel che si deve attraversare, percorrere se si vuole ritornare a vedere la luce. Il dolore va accolto, va amato nelle sue mille sfaccettature, non bisogna farsi sconti anche quando l’estrema decisione appare, esclusivamente, come l’unica soluzione salvifica.
A una prima lettura si è catturati dalla storia di Sergio, dai suoi pensieri, dalla sua disperazione; rileggendolo, tuttavia, si può notare come alla fine sia – anche – un romanzo corale dove tutti i protagonisti (o co-protagonisti) stiano attraversando un loro particolare momento della vita.
Molto interessante, dal punto di vista narrativo e descrittivo, l’escamotage di citare alcuni quadri famosi per fissare, come in un piano sequenza, la sensazione del momento. Tre quadri per rappresentare altrettanti stati d’animo del protagonista: “La città che sale” del futurista Boccioni per l’estremo senso di solitudine e di vuoto; il “Cristo morto” del Mantegna che, forse, insieme al “Cristo velato” della Cappella Sansevero di Napoli, è la rappresentazione più bella e vera della deposizione. Una prospettiva diversa nel “vedere” il corpo esamine della figlioletta all’obitorio. Ma, come si sa, la tragicità del sudario è uguale a se stessa in ogni epoca e in ogni dove. Infine, “L’urlo” di Munch: la disperazione.
Scenograficamente parlando due sono i momenti che hanno catturato di più la mia attenzione e immaginazione. Il primo, nelle prime pagine ambientate a San Candido, quando viene descritta la messa in scena della sacra rappresentazione della Pasqua. Mi è tornato in mente il film “La Passione” di Mazzacurati. Sono pagine molto forti e anche molto intense: l’eterno dilemma di conciliazione tra la nostra e la volontà di Dio. Ma quale volontà di Dio? Giuda è stato funzionale al piano della Salvezza ma sarà stato “salvato” in un gesto estremo di misericordia dal Padre? “Perché Dio lo aveva risparmiato mentre Giuda aveva consumato nel suicidio la sua disperazione?” (cfr. pag. 32). Continua a leggere →

Martina Cecilia Salza, Verde muschio, recensione di Brunella Bassetti

30 sabato Set 2017

Posted by letteremigranti in Brunella Bassetti, letture, Recensioni, Romanzi

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Brunella Bassetti, Ghaleb Editore, letture, Martina Cecilia Salza, recensioni, romanzi

Martina Cecilia Salza, Verde muschio
Latitudini 22, Davide Ghaleb Editore, Vetralla 2017, pp. 248

Verde muschio non è un romanzo biografico o autobiografico nel senso classico che la critica attribuisce a tale termine. È un romanzo, una storia – direi più storie – che s’intrecciano e si dipanano attraverso il racconto e i “sogni” di una delle due protagoniste – Matilde – per approdare ad “altro”. L’idea di fondo prende sviluppo da vicende e avvenimenti familiari della scrittrice, che s’innestano e si fondono simbioticamente con la storia locale del territorio e la storia universale, in generale.
Volendo semplificare, ma soltanto per illustrare meglio ciò che questo romanzo è realmente, si potrebbe affermare che grazie alla sua struttura narrativa, al modo come la vicenda si sviluppa, può senz’altro essere definito un romanzo di “iniziazione” e/o “psicologico”. Per altri versi, invece, rispetta le regole classiche del romanzo “storico” e del romanzo “giallo”. Potrebbe essere considerato, anche, un romanzo “doppio” (una macrostoria nella microstoria e viceversa): nel senso che le due vicende, quella di Matilde e quella di Angela (ecco l’altra protagonista) potrebbero leggersi l’una indipendentemente dall’altra. Ma, sicuramente, è anche altro.
L’intera vicenda si svolge, prevalentemente, tra Parigi e l’Antichissima Città di Sutri (che, peraltro, insieme al suo aggettivo relativo, viene citata pochissime volte nelle quasi 250 pagine del testo), per “ritrovare” e dare un senso alle proprie radici. La potremmo definire anche una “letteratura migrante”, un ritorno – forzato e inconscio – nel ventre caldo e fecondo del proprio paese natio e dei suoi misteri.
In alcune guide turistiche, ormai datate (primi anni ’50), di Sutri troviamo scritto: “Quello che oggi resta della grande Città non è che la Cittadella ossia la fortezza. I cinque borghi che la componevano, spazzati via dal tempo ineffabile si sono persi ormai fra i canneti delle vallate” e “Poche rovine, disperse dovunque nel vasto territorio, testimoniano ancora l’antica grandezza che il muschio e l’edera nasconde e custodisce tra il verde”. Uno dei tanti meriti che riconosciamo alla scrittura evocativa di Martina Salza è senz’altro quello di averci riportato e fatto conoscere parte di “questi borghi” in un particolare momento storico – il Medioevo – che ancora tanto ha da insegnarci. La descrizione minuziosa e dettagliata della vita quotidiana, la caratterizzazione dei vari personaggi, la verosimiglianza (frutto di una ricerca storiografica durata vari anni) delle situazioni ci accompagnano verso la conoscenza ma anche verso la risoluzione del “mistero”. Continua a leggere →

Sandra Rebecchi, Perché i giapponesi?

19 mercoledì Ott 2016

Posted by letteremigranti in letture, Romanzi, Sandra L. Rebecchi

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Banana Yoshimoto, Giappone, Haiku, Haruki Murakami, Kenzaburo Oe, Natsume Soseki, romanzi, Yasunari Kawabata

haiku_kanji

Perché i “giapponesi”?

Seduta sul tappetino della palestra, in attesa dell’istruttrice, leggo qualche pagina di Murakami. Una ragazza, mia compagna di corso, entra e saluta: «Anche a te piacciono i giapponesi?? Io ne vado matta. Li leggo tutti-»
Da quel giorno, ogni volta che ci incontriamo, è un continuo: «Hai visto l’ultimo di … ? Hai letto …?» e ci teniamo aggiornate sulle nostre rispettive scoperte … “giapponesi”.
Sì, ma perché questa specie di invasione sugli scaffali delle librerie e perché questa passione ha preso piede?
Un po’ tutti abbiamo iniziato la nostra esplorazione dell’Oriente con Banana Yoshimoto. All’inizio degli anni novanta, il suo Kitchen ci ha conquistato. Ci siamo appassionati e abbiamo cercato di leggerla tutta: i suoi libri uscivano di frequente e non erano mai pesanti, né come numero di pagine, né come stile.
Cosa c’è in quelle pagine di nuovo?
Intanto una leggerezza diffusa, fatta di scene prese dalla vita di tutti i giorni, stati d’animo sui quali velocemente si sorvola, il femminile: i racconti si susseguono ai racconti e, anche quando i temi trattati sono importanti e drammatici (in Sonno profondo, ad esempio) lei si muove al loro interno senza mai alzare la voce o i toni, innescando nel lettore emozioni forti, ma poco persistenti, emozioni che sembrano non lasciare traccia. Abbandoni, famiglie che si disgregano, la stessa morte diventano temi accessibili in modo spontaneo, tracce di vita che riconosciamo.
Alla fine degli anni novanta, prima Marsilio e poi Neri Pozza (2000) pubblicano Natsume Soseki. Lui ha un grande successo: il suo Sanshiro diventa uno dei romanzi più letti in Giappone e forse lo è ancora. Nelle sue pagine si contrappongono vecchio e nuovo. È più introspettivo di Banana, perciò ha una permanenza più elevata nella mente del lettore.
Cosa stiamo cercando? Perché li leggiamo? Sicuramente siamo alla ricerca di qualcosa di nuovo, di diverso. Ma forse cerchiamo anche senso della misura, proprietà di sintesi associata al dire tutto, tutto quello che è necessario dire. C’è desiderio di “esotico”, di qualcosa di diverso dai nostri grandi? Probabilmente sì: voglia di uscire dai nostri canoni, dal nostro dire.
Parlando degli ultimi trent’anni, cominciano a comparire in Italia i fumetti, i manga: nuove e accattivanti le immagini. Si discute sul significato educativo di questi fumetti e sull’impatto che hanno su bambini e adolescenti. E dopo aver letto i primi haiku, che vengono tradotti in italiano intorno al 1920 pur essendo nati moltissimi anni prima, abbiamo cominciato a scriverne, seguendo le rigide regole metriche[1].
Sicuramente c’è amore per la sintesi efficace, per poche parole, ma talmente secche e puntute da andare a segno. Anche i manga del resto vanno a segno e molti ci si appassionano. Si tratta di nuovi linguaggi che i lettori italiani faticano all’inizio a decodificare; lentamente però li fanno loro fino ad adottarli. Continua a leggere →

Letture a due voci, 5: Sandra Luigia Rebecchi, E adesso statemi a sentire

25 venerdì Mar 2016

Posted by letteremigranti in Brunella Bassetti, Laura Vazzana, Letture a due voci, Memoria, Romanzi, Rubriche, Sandra L. Rebecchi

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Alzheimer, Brunella Bassetti, Fondazione Paolo Procacci, Laura Vazzana, Letture a due voci, Nulla Die editore, recensioni, romanzi, rubriche, Sandra Luigia Rebecchi

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Sandra Luigia Rebecchi, E adesso statemi a sentire (Editore: Nulla Die, 2015, Collana: Lego/Narrativa. Brossura, Pagine 191-Prezzo € 18,00, ISBN 978-88-6)

 

        “Ognuno ha il proprio passato chiuso dentro di sé come le pagine di un libro imparato a memoria e di cui gli amici possono solo leggere il titolo” (Virginia Woolf)

 

         Questa potrebbe essere la definizione letteraria per descrivere le persone colpite dalla patologia dell’Alzheimer. Questa malattia, più di tante altre, costituisce per la scienza medica ancora un mistero e per i familiari un tabù nonostante si cerchi, da alcuni anni, di focalizzare sempre più l’attenzione e la cura sulla persona piuttosto che sul malato. Ciò che la rende diversa dalle altre patologie è il particolare tipo di rapporto che si crea tra malato e familiari. Tutti i sentimenti sino allora sperimentati vengono accantonati, messi a tacere e paiono poca cosa: è una nuova relazione quella che s’instaura basata soprattutto, paradossalmente, sulla donazione e conoscenza reciproca. Il malato esige (o ha diritto) di sentirsi ancora amato e ancora voluto. È una persona, una vita intera a essere imprigionata in una mente colpita dall’oblio e da un corpo colpito da corti circuiti.

         E la sofferenza (quella propria dei caregivers) diventa un’esperienza in cui il dolore non è più un problema da risolvere o che fa orrore ma un “mistero da vivere e condividere” insieme. È un percorso lungo, difficile che quando non trova completa soluzione nell’approccio medico diventa una sfida per la ragione e per la fede. Bisogna continuare ad amarli con la compassione che nasce dall’amore e non dal nostro timore. E allora, quale strada seguire per star loro vicino? Lasciarsi pervadere dalle emozioni: sperimentarle, provarle, viverle fino in fondo anche se fanno male.

         Raccontare, narrare questa patologia è possibile? È possibile – per chi scrive – raccontare con obiettività, lucidità e tenerezza quella particolare situazione che ha vissuto in prima persona? Ci prova Sandra Luigia Rebecchi nel suo interessante (da più punti di vista) romanzo E adesso statemi a sentire, una storia di fantasia che parte da una situazione autobiografica per approdare, in alcuni punti, alla Narrative Based Medicine.

         La storia di Rina che si racconta in prima persona mentre la sua malattia progredisce inesorabilmente rappresenta la triste realtà della sua patologia ma anche la metafora della nostra malattia: il rapporto ambiguo e, spesso, ambivalente che abbiamo nei confronti della nostra vita, delle nostre scelte, dei nostri ricordi. La scrittura piana e, nello stesso tempo, profonda; l’uso ripetitivo e continuato di domande accompagna il lettore in questo dramma familiare riuscendo (e, forse, questo è il maggior pregio che riconosciamo) a creare un’atmosfera di coinvolgimento e di straniamento. Leggiamo, pensiamo, riflettiamo, ricordiamo, ci commuoviamo e ci allontaniamo perché sappiamo e riusciamo a percepire che, a volte, soltanto il Dolore ci permette di conoscere l’abisso più profondo del nostro essere.

         “Senza di lei e senza la sua malattia, non avrei potuto conoscere alcune realtà, non avrei potuto vivere in profondità alcuni sentimenti” (pag. 190).

(Molto apprezzabile anche la bibliografia di riferimento).

© Brunella Bassetti, Fondazione Paolo Procacci

Il libro E adesso statemi a sentire di Sandra Rebecchi si avventura con coraggio nel terreno misterioso e poco esplorato in letteratura della malattia di Alzheimer. Ma non solo. Io estenderei questa considerazione alla vecchiaia in generale. Altro argomento di cui non sembra politicamente corretto parlare o scrivere, in una società come la nostra in cui bisogna essere giovani, belli e in salute perché solo così si può tenere il ritmo frenetico che domina la vita moderna.

Sandra Rebecchi scopre con il dovuto rispetto il mondo lento degli anziani ed è davvero una novità. Ne mette in risalto la ricchezza interiore, il vissuto pieno di esperienze spesso difficili, di ostacoli da superare, l’umanità, l’abbandono di sovrastrutture ipocrite, la spontaneità.

Il lettore segue pagina dopo pagina l’evolversi della malattia di Rina, amorevolmente accudita dalle figlie, che con paziente dolcezza la stanno a sentire, come recita il titolo dell’opera, e la comprendono. I ruoli si sono invertiti ma il filo del sentimento profondo tra loro non si è spezzato. E di amore nel libro ce n’è tanto. Rina stessa ha amato tanto nella vita e ama ancora. Non riesce più a parlare del bene che prova, ma lo prova. La mente non va più di pari passo con il cuore e si perde a rincorrere episodi di un passato lontano che tornano nitidi. Il fisico sta cedendo ma la stanchezza prevarrà sulla voglia di vivere solo dopo un’ultima definitiva lotta.

La dedizione dei familiari è il mezzo attraverso il quale Rina rimane fino all’ultimo giorno una persona. Articola a stento le parole, non ricorda le cose più semplici, cosa ha fatto, cosa ha mangiato, non riconosce la casa, ma conserva la dignità. Questo è ciò di cui spesso ci si dimentica.

Un anziano, anche se è malato, ha vissuto, porta dentro un bagaglio personale immenso, ha creato, ha dato e resta uno di noi, fa parte della nostra famiglia e ha ancora insegnamenti preziosi per noi, se abbiamo la delicatezza d’animo per coglierli.

Fino al suo ultimo respiro.

Grazie a Sandra Rebecchi per l’implicito delicato monito a non trascurare fino alla fine il tesoro inestimabile rappresentato dai nostri ‘vecchi’.

© Laura Vazzana

Christoph Ransmayr, Il mondo estremo

20 domenica Mar 2016

Posted by letteremigranti in letture, Romanzi

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Anna Maria Curci, Christoph Ransmayr, Il mondo estremo, letture, Metamorfosi, Ovidio, romanzo

dieletztewelt

Buon compleanno, Christoph Ransmayr, con la riconoscenza di chi ha letto e ritorna spesso sulle pagine del tuo romanzo Die letzte Welt, Il mondo estremo, sui passi di Cotta alla ricerca di Ovidio in esilio a Tomi, “il mondo estremo”, appunto. Buon compleanno e grazie per il tuo repertorio ovidiano, per i personaggi delle Metamorfosi messi a fronte in uno specchio che esalta come sonoro schiaffo somiglianze e differenze tra mondo antico e mondo estremo, l’ultimo mondo ovvero delle novissime atroci cose.  (Anna Maria Curci)

Un uragano, era uno stormo d’uccelli alto nella notte; uno stormo bianco, che si avvicinava frusciante e d’improvviso si abbreviava nella cresta di un’onda immane, ormai a ridosso della nave. Un uragano, erano le grida e i singhiozzi nel buio sottocoperta e l’acre odore del vomito. Era un cane, reso folle dai cavalloni, che dilaniò i tendini di un marinaio. Sopra la ferita si rimarginò la spuma. Un uragano, era il viaggio verso Tomi.
Sebbene anche durante il giorno e in molti punti della nave, sempre più discosti, tentasse di scampare al suo affanno rifugiandosi nello stordimento o almeno in un sogno, sull’Egeo Cotta non riuscì a prendere sonno, e neppure in seguito sul Mar Nero. Ogniqualvolta la spossatezza lo induceva a sperare si calcava la cera nelle orecchie, si avvolgeva una sciarpa di lana azzurra davanti agli occhi, si metteva sdraiato e contava i suoi respiri. Ma la risacca lo sollevava, sollevava la nave, sollevava il mondo intero oltre la schiuma salata della scia, ancora più in alto, teneva per un attimo tutto in equilibrio e faceva poi precipitare il mondo, la nave e quell’uomo sfinito in una valle di flutti, nella veglia e nella paura. Nessuno dormiva. (da: Christoph Ransmayr, Il mondo estremo. Traduzione di Claudio Groff. Nuova edizione riveduta, Feltrinelli 2003, 9)

Ein Orkan, das war ein Vogelschwarm hoch oben in der Nacht; ein weißer Schwarm, der rauschend näher kam und plötzlich nur noch die Krone einer ungeheuren Welle war, die auf das Schiff zusprang. Ein Orkan, das war das Schreien und das Weinen im Dunkel unter Deck und der saure Gestank des Erbrochenen. Das war ein Hund, der in den Sturzseen toll wurde und einem Matrosen die Sehnen zerriß. Über der Wunde schloß sich die Gischt. Ein Orkan, das war die Reise nach Tomi.
Obwohl er auch tagsüber und an so vielen, immer entlegeneren Orten des Schiffes aus seinem Elend in die Bewußtlosigkeit oder wenigstens in einen Traum zu flüchten versuchte, fand Cotta auf dem Ägäischen und dann auch auf dem Schwarzen Meer keinen Schlaf. Wann immer seine Erschöpfung ihn hoffen ließ, drückte er sich Wachs in die Ohren, band sich einen blauen Wollschal vor die Augen, sank zurück und zählte seine Atemzüge. Aber die Dünung hob ihn, hob das Schiff, hob die ganze Welt hoch über den salzigen Schaum der Route hinaus, hielt alles einen Herzschlag lang in der Schwebe und ließ dann die Welt, das Schiff und den Erschöpften wieder zurückfallen in ein Wellental, in die Wachheit und die Angst. Niemand schlief. (Christoph Ransmayr, Die letzte Welt, Fischer 1991, 7-8; la prima edizione, con Gremo Verlagsgesellschaft, è del 1988)

Qui per ascoltare la lettura dell’incipit dell’originale in tedesco

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