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Gaia Spera, Distanze (recensione di Brunella Bassetti)

03 martedì Ott 2017

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3 ottobre 2013, A.P.N. editrice, AfricanPeopleNews, Brunella Bassetti, Gaia Spera, immigrazione

Gaia Spera, Distanze,  A.P.N. (AfricanPeopleNews), Roma, 2017, pp. 48

Sentire come una perdita la morte
Di coloro che non abbiamo mai visto –
Implica una Vitale Affinità
Fra la nostra Anima – e la loro –
Per l’Estraneo – gli Estranei non si piangono –
(E. Dickinson, Poems, trad. G. Ierolli)

Il 3 ottobre si celebra la “Giornata della Memoria e dell’Accoglienza” (istituita dalla Legge 45/2016) con lo scopo di ricordare e commemorare tutte le vittime dell’immigrazione e promuovere iniziative di sensibilizzazione e solidarietà.
Una data dall’alto contenuto simbolico che ricorda il giorno in cui – nel 2013 – 368 persone tra bambini, donne e uomini persero la vita in un naufragio a largo dell’isola di Lampedusa.
Qualche giorno dopo l’immane tragedia mi sono trovata sulla “zattera d’Europa” per un campo di volontariato con l’associazione Ibby Italia. E, naturalmente, le emozioni vissute attraverso i media si sono amplificate e sono diventate cassa di risonanza in quei giorni intensi vissuti a stretto contatto con la popolazione – locale e immigrati – di questo scoglio (sinonimo alternativamente di morte e/o di solidarietà e accoglienza) in mezzo al Mediterraneo.
“Nel villaggio, quando i bambini vivevano in povertà, arrivò un re che schiavizzò tutte le persone. Un giorno, il figlio del re Giasone XVII si recò dagli schiavi e disse loro: “Scappate! Ma prima costruiremo dei robot che vi somigliano; così ogni volta che mio padre – il re – darà dei colpi di frusta loro si ribelleranno e alla fine lo uccideranno” … Allora il principe con le poche informazioni che aveva ricevuto mise delle telecamere nella loro vita … Allora in città c’era un funerale ma era un inganno. Era una finzione … non si sa quello che accadrà dopo … (La corona misteriosa)”.
Quello riportato sopra è lo stralcio di un racconto scritto da una bambina delle elementari durante un nostro laboratorio. In un certo senso è la “trasfigurazione” fantastica di quello che in quei giorni, in quelle settimane non solo gli adulti ma anche i bambini avevano vissuto e sofferto. Continua a leggere →

Franz Marc, a 100 anni dalla morte

04 venerdì Mar 2016

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, anniversari, Arte, Disegni, Storia, Traduzioni, Uncategorized

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Anna Maria Curci, Bibbia, Blauer Reiter, centenario, Else Lasker-Schüler, Franz Marc, Grande Guerra, Talmud, traduzioni, Verdun

Marc_Zitronenpferd

Franz Marc, Cavallo limone e bue di fuoco del principe Jussuf. China, acquerello, inchiostro da stampa. Cartolina a Else Lasker-Schüler del 9 marzo 1913.

100 anni fa, il 4 marzo 1916, moriva a Verdun, sul fronte occidentale, Franz Marc. Voglio ricordarlo con qualche riga tratta dal carteggio con Else Lasker-Schüler. Un libro a me tra i più cari, che possiedo nell’originale in lingua tedesca. La traduzione italiana, del 1991, è attualmente pressoché introvabile.

Negli anni tra il 1912 e il 1914, l’artista Else Lasker-Schüler, poetessa e autrice di originali disegni, e il pittore Franz Marc, tra i fondatori del Blauer Reiter, ebbero una corrispondenza che si caratterizza per il continuo ricorso a due linguaggi diversi: quello verbale e quello figurativo. C’è un gioco di rimandi a personaggi storici, mitologici e biblici nella corrispondenza, cartoline, lettere e biglietti corredati di illustrazioni originali del pittore e della poetessa.  “Jussuf Prinz von Theben”, Jussuf principe di Tebe, si firmava Else Lasker-Schüler nelle lettere e nelle cartoline inviate a Franz Marc (“mein lieber wundervoller blauer Reiter”, “mio caro prodigioso cavaliere azzurro”, lo chiamava) e alla moglie di lui, Maria. Ne L’arte della fuga Angelo Maria Ripellino scrive, a proposito delle cartoline illustrate che Marc invia a Lasker-Schüler: «quadretti con raffigurazioni di animali, resi con pura forma ritmica, compenetrazione di colori e incantata, tenera, poesia.»

Ecco quello che scrivono Franz e Maria Marc il 9 marzo 1913 a Else Lasker-Schüler:

Zitronenpferd und Feuerochse des Prinzen Jussuff [sic!]

M.

[Sindelsdorf, 9. März 1913, Sonntag.]

Lieber guter Prinz, Es war lieb von Dir, unsrer Mutter zu schreiben, sie hat sich sehr gefreut.

In unser Schlafzimmern flimmern so viel Sterne herein, daß wir kein Sternennachtlichtlein anzuzünden brauchen, so sind wir die Glücklicheren! Wir freuen uns auf die Märzbriefe, wir haben sie uns schon bestellt. Einen Kuß von Deinen blauen Kindern.

Aus: Else Lasker-Schüler – Franz Marc, Mein lieber wundervoller blauer Reiter. Privater Briefwechsel, Artemis & Winkler 1998, 56

Cavallo limone e bue di fuoco del principe Jussuff [sic!]

M.

[Sindelsdorf, 9 marzo 1913, domenica.]

Caro buon principe, è stato carino da parte tua scrivere a nostra madre; se ne è rallegrata molto.

Nella nostra camera entrano, pulsando,  così tante stelle, che non abbiamo più bisogno di accendere lumini da notte stella, così siamo noi, se vogliamo metterci a paragone, quelli più felici! Non vediamo l’ora di ricevere le lettere di marzo, ce le siamo già prenotate. Un bacio dai tuoi bambini azzurri.

(traduzione di Anna Maria Curci)

Quando morì Franz Marc, Else Lasker-Schüler scrisse queste parole:

Der blaue Reiter ist gefallen, ein Großbiblischer, an dem der Duft Edens hing. Über die Landschaft warf er einen blauen Schatten. Er war der, welcher die Tiere noch reden hörte; und er verklärte ihre unverstandenen Seelen.
Immer erinnerte mich der blaue Reiter aus dem Kriege daran: es genügt nicht alleine, zu den Menschen gütig zu sein, und was du namentlich an den Pferden, da sie unbeschreiblich auf dem Schlachtfeld leiden müssen, Gutes tust, tust du mir.

Er ist gefallen. Seinen Riesenkörper tragen große Engel zu Gott, der hält seine blaue Seele, eine leuchtende Fahne, in seiner Hand. Ich denke an eine Geschichte im Talmud, die mir ein Priester erzählte: wie Gott mit den Menschen vor dem zerstörten Tempel stand und weinte. Denn wo der blaue Reiter ging, schenkte er Himmel. So viele Vögel fliegen durch die Nacht, sie können noch Wind und Atem spielen, aber wir wissen nichts mehr hier unten davon, wir können uns nur noch zerhacken oder gleichgültig aneinander vorbeigehen.

In dieser Nüchternheit erhebt sich drohend eine unermeßliche Blutmühle, und wir Völker alle werden bald zermahlen sein. Schreiten immerfort über wartende Erde. Der blaue Reiter ist angelangt; er war noch zu jung zu sterben.
Nie sah ich irgendeinen Maler gotternster und sanfter malen wie ihn. »Zitronenochsen« und »Feuerbüffel« nannte er seine Tiere, und auf seiner Schläfe ging ein Stern auf.
Aber auch die Tiere der Wildnis begannen pflanzlich zu werden in seiner tropischen Hand. Tigerinnen verzauberte er zu Anemonen, Leoparden legte er das Geschmeide der Levkoje um; er sprach vom reinen Totschlag, wenn auf seinem Bild sich der Panther die Gazell vom Fels holte.
Er fühlte wie der junge Erzvater in der Bibelzeit, ein herrlicher Jakob er, der Fürst von Kana. Um seine Schultern schlug er wild das Dickicht; sein schönes Angesicht spiegelte er im Quell und sein Wunderherz trug er oftmals in Fell gehüllt, wie ein schlafendes Knäblein heim, über die Wiesen, wenn es müde war.

Das war alles vor dem Krieg.

Il cavaliere azzurro è caduto, una grande figura biblica, sulla quale aleggiava il profumo dell’Eden. Proiettava sul paesaggio un’ombra azzurra.  Era lui ad essere ancora capace di sentir parlare gli animali; ed era lui a trasfigurare le loro anime non comprese.
Il cavaliere azzurro me lo ricordava sempre dal fronte di guerra: non basta essere benevoli solo con le persone; ciò che infatti fai di buono ai cavalli, lo fai a me, ché essi sono costretti a soffrire indicibilmente sul campo di battaglia.

Egli è caduto. Angeli grandi portano il suo corpo gigantesco a Dio, che tiene nella mano la sua anima azzurra, una bandiera luminosa. Penso a una storia che si trova nel Talmud e che mi fu raccontata da un sacerdote: narra di come Dio stesse in piedi, insieme alle persone, dinanzi al tempio distrutto, e piangesse. Là dove si recava il cavaliere azzurro, donava cielo. Così tanti uccelli volano attraverso la notte, sanno ancora giocare a vento e respiro, ma noi quaggiù non ne sappiamo più niente, sappiamo soltanto farci a pezzi l’uno con l’altro oppure passare l’uno accanto all’altro con indifferenza.

In questa sobrietà si erge minacciosa una smisurata macina di sangue, e presto noi popoli saremo triturati. Continuiamo a procedere sulla terra in attesa. Il cavaliere azzurro è arrivato; era troppo giovane per morire.
Non ho mai visto un pittore dipingere in maniera più divinamente seria e mite di lui: «buoi limone» e «bufali di fuoco» chiamava i suoi animali, e sulla sua tempia si accendeva una stella.
Ma anche gli animali dei luoghi selvaggi cominciarono a farsi piante nella sua mano tropicale. Col suo incantesimo le tigri diventavano anemoni, attorno al collo dei leopardi avvolgeva il monile delle violacciocche; parlava di puro colpo mortale, ogni qualvolta sul suo quadro la pantera andava a prendersi la gazzella dalla roccia.
Aveva gli stessi sentimenti del giovane patriarca biblico, lui, un magnifico Giacobbe, il principe di Cana. Si caricava sulle spalle la boscaglia fitta; specchiava nella sorgente il suo bel volto e quando era stanco portava spesso per i prati, avvolto in pelli, il suo cuore prodigioso, così come si porta a casa un fanciullino dormiente.

Tutto questo fu prima della guerra.

Else Lasker-Schüler

(traduzione di Anna Maria Curci)

Cristina Bove, da “Metà del silenzio”

16 martedì Set 2014

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Anna Maria Curci, Cristina Bove, Pibuk, Poesia, traduzioni

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Dorothy e il Mago

Non gridare se nasci d’autunno
se la tua voce è traccia del vissuto
la città di smeraldo ha le sue tane
e non temere il freddo sulle vie
battute dal maestrale
vieni a braccia distese
portami ombrelli rosa d’artemisia

ti disegno col dito nelle fragole
i contorni di Oz
e tu da quel velario che separa
giorni di grigio dalle luminarie
scrivimi fiabe a margine
ti leggerò le labbra
e basterà.

 

Dorothy und der Zauberer

Schrei nicht, wenn du im Herbst geborren wirst,
wenn deine Stimme Spur des Erlebten ist
die Stadt aus Smaragd hat ihre Höhlen
und fürchte dich nicht vor der Kälte auf den
vom Mistral gepeitschten Straßen
komm mit ausgestreckten Armen
bring mir rosenrote Schirme aus Beifuß

ich zeichne dir mit dem Finger in den Erdbeeren
die Umrisse von Oz
und du aus dem Vorhang, der Tage
aus Grau von der Lichterflut trennt,
schreib mir Märchen am Rand
ich werde dich von den Lippen ablesen
und das wird reichen.
Cristina Bove, da Metà del silenzio, Pibuk 2014
(traduzione in tedesco di Anna Maria Curci)

 

Qui per ascoltare l’audio

Elina Miticocchio, Per filo e per segno

29 domenica Giu 2014

Posted by letteremigranti in Poesia, Recensioni, Uncategorized

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Anna Maria Curci, Elina Miticocchio, Per filo e per segno, Poesia, recensioni, Terra d'ulivi

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Elina Miticocchio, Per filo & per segno (edizioni Terra d’ulivi 2014)

Cura, attenzione, attitudine a un ascolto sensibile e capacità di individuare, talvolta di istituire, connessioni non percepibili dallo sguardo superficiale: queste le qualità che Elina Miticocchio manifesta e dispensa, ogni giorno, in un lavoro di lettura e riflessione che non conosce soste. Di tutto ciò è testimonianza il suo libro Per filo & per segno, apparso in questo anno 2014 nelle edizioni Terra d’ulivi. Ogni volta che leggo le parole di Elina Miticocchio, che seguo i fili – in colori di volta in volta diversi – che ama riannodare e tessere, il mio pensiero va ai racconti di Adalbert Stifter, alle sue Pietre colorate e alla “legge mite” che lo scrittore austriaco espose nella premessa alla raccolta. Sono le piccole cose, crescite e intrecci e incontri di ogni giorno, a prevalere e a durare, nel lungo tempo, quello di chi ha occhi e orecchie per l’attesa, sul tumulto, il portento, la calamità.

Ho appuntato queste riflessioni qualche settimana fa, confortata dalla conoscenza della scrittura di Elina Miticocchio. Oggi, in un pomeriggio estivo che brontola minaccioso, mi addentro ancora una volta nella lettura di Per filo & per segno e mi imbatto in un endecasillabo che introduce e accompagna con passo lieve e perfetto il mio percorrere le sei tracce (e un «ultimo filo» a conclusione) che ne compongono trama e ordito:

d’acque annuvolati giorni scomparsi

Introduce e accompagna il percorso, questo endecasillabo, e, soprattutto, ne illustra in maniera esemplare la cadenza, anche se, è bene dirlo, l’endecasillabo non è l’unica misura a fare la sua apparizione nella raccolta. ma si affianca a quinari, a senari, a settenari. Un ruolo importante rivestito per la cadenza è quello rivestito dai verbi; molti di essi sono relativi alla vista (i bisillabici «sbircia», «vede», il trisillabico «osserva»), alla tessitura («tesse», «annodato»), all’attesa («sosto», «attendo»), al viaggio e all’approdo, alla dimora e alla pesca; senz’altro centrale è il verbo “sognare”, che appare qui in prevalenza alla prima persona singolare del presente.

Chi scruta, guarda, sbircia, vede e, insieme, tesse fili, lo fa spesso guardando non solo indietro, al ricordo, ma innanzi a sé, «al di là del vetro», sa cogliere la luce giusta e, con moto proprio, illumina, indirizzando lo sguardo di chi legge e ascolta, il dettaglio e l’insieme, il colore e il candore. Illumina scene presenti e passate, oggetti cari a chi scrive e carichi di “segni”: scatole di latta decorate e altri depositari delle epoche di una vita. Sbaglia, tuttavia, chi crede che siano nostalgia e rimpianto a dominare la scena. Tutt’altro: chi scrive sa e vuole superare la «cornice» e cantare le «scritture esuli».  In questo un esercizio quieto e costante, agile e, insieme, resiliente è lo strumento primario.

© Anna Maria Curci

* * *

una nuvola silente
dipinta sulla parete

distilla il suono
goccia la pioggia

notturna mi infilo
nel solito sogno

– Lola, il prato, una ricreazione –

Mi spunta in testa il mare
lunga una conchiglia
soffiata in cantilena da mia madre.

(dalla sezione: primi fili primi segni, p. 8)

* * *

La lettera mai
aperta scivola dall’arco
dell’occhio sta alla finestra
il buio di un dialogo
profondo il segreto è tragitto e dondola
parole le emerge dal bianco
di gelso angeli con le ali spezzate
in punta di penna trascrivono i passi
di gesso il vuoto in me s’arrende
un pieno di rosso
disegna le voci noi recitanti amore
di vetro abbiamo contato le stelle
tra i capelli giorni fini sottili dispersi
soffiando il respiro oltre il secchio di fuoco
scalzi infiniti.

(dalla sezione: tra fogli-e frammenti i nodi dei fili, p. 20)

* * *

Quando al mattino il bianco
scrive preghiere candide
tra le mani accoglienti
il mare che ho nel cuore
diventa calma una conca
ricolma.

(dalla sezione: nell’istante i fili s’internano, p. 26)

* * *

La parola spesa
presa all’amo divenne
guerra e sole
e non valse una cornice
per disegnare i volti
stretti schiacciati di cartone
di cartone le scritture esuli
naufraghe in perenne ascolto di voci
affogate in mare
un perimetro brevissimo di carta bagnata.

(dalla sezione: Di filo una pagina rifilando il sogno, p. 36)

* * *

Ribalto il poema
accolgo il nome

finissima e bianca

la soglia scoloro
di neve mi ritrovo

(dalla sezione: in stati del bianco in confini di filo, p. 44)

* * *

per la strada
dell’oro col mio filo-bottone
leg(g)o la scucitura
dei sassi che ho perduto

(dalla sezione: Lumen per un filo che non trovo, p. 50)

__________________________________

Elina Miticocchio, nata a Foggia dove attualmente vive e lavora, cura il blog Imma(r)gine e collabora con il sito web Cartesensibili

Imbatti: Incontri davvero fortuiti?

02 lunedì Set 2013

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Poesia, Uncategorized

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Anna Maria Curci, Imbatti, Inciampi e marcapiano, Poesia

Marisa Fogliarini, Eur n. 1

Marisa Fogliarini, Eur n. 1, da qui

Imbatti. Uno: Talia

Il primo incontro fu con Talia, la sarta.
Cuciva maschere e costumi
per guitti veri e pei professionisti.
Grigio di vento e pioggia

era il mattino di Pasqua;
nel caglio dell’alba custodiva
un involto sotto il braccio e procedeva
sicura e spedita, senza intoppi.

Mi stupii di vederla fuori dall’antro
In cui tagliava e abbinava pezze di tela ruvida,
pelle d’uovo e taffetà, talvolta shantung.
All’occhio esterrefatto rispose allora quieta:

«Da terza grazia mi hanno declassata, faccio
Il lavoro sporco, dicono, ma da oggi io dono in
contrabbando tele tutte di un pezzo a chi
abbandona l’uniforme del comodo torpore».

Imbatti. Due: Retroguardia

Retroguardia conobbi, fu il secondo.
Con la sinistra il dito sulle labbra e
con la destra il gesto di seguirlo.
Non parlava. Alle pareti erano

scacciapensieri in varie fogge,
non dondolavano lievi senza vento.
Arrivati al fondo, un riflesso ci accolse,
come un baluginio timido e tondo.

Erano pesci rossi con contorno
di ninfee, ne divinava Retroguardia
guizzi e giravolte. «Mi hanno tolto il lavoro»,
infine disse, «capisco molto però guardando loro».

Imbatti. Tre: Malina

La terza fu la volta di Malina.
Nelle cocche portava del grembiule
una scorta di ortiche, unico scampo
suo alla torre di fame settennale.

Sul dorso aveva appesa una lanterna.
«Faccio luce, esordì, a chi ha per bussola
il sembiante eppur pretende di distinguere
il vero. Anche l’amato volli aiutare e ancor

s’avverte il tocco a vuoto degli indizi sparsi
mai raccolti. Muto l’accento a volte, mi trasformo
in pedone, nascondo la lanterna sotto il manto,
dalla scacchiera ammicco placida in incognito.

Imbatti. Quattro: Aritessa

Se perdo il filo, implora e non seguirmi.
Le parole eran queste della quarta,
Aritessa il suo nome, lieve il gesto
di invito a tralasciar la vana impresa.

A stuzzicar la gratuità cocciuta
s’aggiunse lampo d’iridi irridenti,
contraddetto beffardo e temerario
d’ogni sopore comodo e pasciuto.

Anna Maria Curci, da: Inciampi e marcapiano, LietoColle 2011, 57-60


Imbatti. Cinque: Obliquo

«Sia la tua veste fatta di percalle».
Fu Talia, ancora lei, a sussurrare.
Alle sue spalle scorsi, era penombra,
sagoma incerta e dura a decifrare.

Con la pezza di stoffa sotto il braccio
sigaretta di filo e metro al collo
già mi squadrava Obliquo e scosse il capo:
«Non cercare tra sete il tuo tessuto».

Anna Maria Curci
24 giugno 2013

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