• Anna Maria Curci
  • Il Network
  • Informativa

Lettere migranti

Lettere migranti

Archivi della categoria: Anna Maria Curci

Maurizio Rossi, La ruota di Duchamp (nota di Anna Maria Curci)

16 giovedì Mar 2023

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, letture, Recensioni, Romanzi

≈ Lascia un commento

Tag

Anna Maria Curci, edizioni Cofine, La ruota di Duchamp, Maurizio Rossi, recensioni, romanzi, Sandro Montanari

Maurizio Rossi, La ruota di Duchamp. Prefazione di Sandro Montanari, Cofine Edizioni 2022

C’è un confine tra io e noi
una discreta linea d’orizzonte
quando per mare vai
e trascolora con la luce, a volte
si confonde, dispiegato e onde,
un fascio d’energia
nel prisma delle ore
a declinare voci della mente
e toni dell’anima.
Intanto ad Occidente vai
– solitudine e abbraccio –
vele tese sottovento
a precedere la notte.

Maurizio Rossi, La linea incerta

 

Come i versi posti in esergo, tratti dalla poesia La linea incerta, tutto il romanzo di Maurizio Rossi La ruota di Duchamp – il cui titolo fa riferimento, come osserva Sandro Montanari nella Prefazione, alla “stabile disarmonia”, al centro di quest’opera, così come lo è per Ruota di bicicletta di Marcel Duchamp – si muove tra poli che si contrappongono e che pure sono complementari, giacché è del loro coesistere che si nutrono le vicende umane.
La prima coppia è quella indicata dalla poesia menzionata: io e noi. Il cammino che separa «la linea incerta tra io e noi» passa per la riscoperta del sé, un sé che gradualmente, non senza soste, momenti di stallo e scossoni dolorosi, accoglie i propri limiti e, allo stesso tempo, impara ad apprezzare le proprie inclinazioni, i propri talenti sprofondati in precedenza nella disistima, nei “j’accuse” propri e altrui. È il cammino che percorrono i due protagonisti del romanzo, Umberto e Valeria, tanto che non è azzardato affermare che la storia del loro incontro si sviluppa includendo la storia della loro formazione e della loro trasformazione.
Un’altra coppia di ‘opposti complementari’ che riveste un ruolo centrale nel romanzo è quella della malattia e della guarigione. I due poli sono messi in evidenza sia dalla collocazione temporale delle vicende narrate, ambientate all’epoca dell’emergenza sanitaria per l’epidemia di Covid-19, sia dall’irrompere della malattia nelle biografie dei protagonisti. Un episodio, in particolare, segnerà il passaggio dalla prima alla seconda parte del romanzo.
Anche per la coppia malattia-guarigione va messa in evidenza la dinamicità del romanzo, che cresce e si evolve, trasformandosi in progressivo divenire, insieme ai suoi personaggi. La malattia comprende anche i traumi che hanno provocato profonde cesure nella vita di Umberto e di Valeria, in particolare nei rapporti con i partner precedenti. La guarigione passa per un altro nodo fondamentale, un nodo che va sciolto: è quello del perdono, del perdono di sé stessi e del perdono di chi ha inferto la ferita.
L’attesa, la riflessione, l’attenzione, il perdono, possono essere ricondotti alla parte femminile della psiche, che cerca e trova, almeno in questo romanzo, una riconciliazione con la parte maschile. Anche in questo caso il processo di incontro e coesistenza sempre più consapevole ne esalta la dinamicità. L’equilibrio non è acquisito una volta per tutte, ma si ricombina continuamente. Il processo è, inoltre, così come avviene per gli altri nuclei, sia interiore che esteriore, sia individuale che attento alle dimensioni collettive.
Non tanto in contrapposizione, quanto piuttosto in una complementarità che superi pregiudizi e posizioni secolari, è il concetto di paternità rispetto alla maternità. In tal senso la vicenda di Umberto è paradigmatica, giacché egli, provenendo dalla trascuratezza che gli viene rimproverata e che senz’altro paga anche duramente, se si pensa alla scelta di Cristina, sua moglie, e alle recriminazioni che per anni gli esprimono le figlie Francesca e Serena, giunge a una pienezza che abbraccia cura e sollecitudine.
Sono molte, del resto, le figure paterne che illuminano la storia, dal padre di Umberto, ricordato con devozione e riconoscenza, al professor Albergati, nel cui affetto paterno trova conforto Valeria.
Arte e scienza, e tra le scienze in particolare la medicina, vista la professione di Umberto, ora in pensione, sono un binomio che si confronta già nella stessa persona del protagonista maschile del romanzo, attratto dall’arte in senso lato, curioso e appassionato, e scienziato, sia pure di una scienza come la medicina, nella quale i dati empirici e le numerose variabili, esaltate e messe in primo piano dall’emergenza pandemica, non possono fare a meno, a rischio di un fallimento totale, di un’attenzione, continua e sollecita, all’aspetto squisitamente umano.
All’interno del vasto ambito dell’arte, inoltre, come già mostra l’incipit del romanzo, con la descrizione dettagliata dell’interno di San Lorenzo fuori le mura in attesa del concerto, la coppia degli ‘opposti complementari’ architettura e musica convive in maniera significativa non solo per ciò che concerne le predilezioni dei due protagonisti, di Valeria e di Umberto e in quest’ultimo in misura più evidente, ma anche per quanto riguarda le caratteristiche dello stile di Maurizio Rossi in questo romanzo. Si tratta infatti di uno stile che alla musicalità di una prosa, che ha fatto tesoro della consuetudine con il ritmo e la sonorità della poesia, unisce gli elementi architettonici della struttura rigorosa, che alterna i brani in tondo (lo svolgersi dei fatti) e in corsivo (il ricordo, gli antefatti, che nella seconda parte sono anch’essi riportati al tempo presente, in un continuum che mette in evidenza quanto, del passato, sia vivido e attuale e quanto, nella vita vissuta, sia importante il bagaglio di memorie che portiamo con noi).
Anche i luoghi che accolgono i tratti delle esistenze delle persone in questo romanzo si animano di vita fino a diventare realtà diverse, talora contrapposte, sempre complementari: sono i quartieri romani di Centocelle e San Lorenzo, sono Roma, la città, e il litorale di Santa Marinella per Umberto, sono Roma e Ancona, Ancona e Bologna per Valeria.
I sentimenti e gli stati d’animo in gioco sono anch’essi complementari e contrapposti: curiosità, slancio, diffidenza, timore, gioia, dolore, malinconia. Ciò che si attenua, nel volgersi del romanzo verso il futuro, come scoprono con riconoscente stupore i due protagonisti, è, finalmente, il rimpianto per le occasioni perdute.

©Anna Maria Curci Continua a leggere →

Annamaria Ferramosca, Come si veste di luce il buio (su “Insorte” di Anna Maria Curci)

23 domenica Ott 2022

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Poesia, Recensioni

≈ 1 Commento

Tag

Anna Maria Curci, Annamaria Ferramosca, Il Convivio, Insorte, Luigi Simonetta, Poesia, recensioni

In copertina: “Il borgo fantasma di Celleno” di Luigi Simonetta

Anna Maria Curci, Insorte, Il Convivio Editore, 2022

Lettura di Annamaria Ferramosca

Come si veste di luce il buio

 

Seguo l’indicazione che Anna Maria mi porte nella sua affettuosa dedica e “cammino  lungo i sentieri della poesia in/sorte”. Leggo e rileggo e qui tento di scriverne.  Impressioni che trasmetto attraversando queste pagine in punta di piedi, con gran timore e umiltà, sapendo della mia possibile incapacità di penetrare tutti i messaggi, tutte le metafore e le tante aree profonde di pensiero che Anna Maria dissemina nei versi. Ma ci provo, questa volta con una dose di curiosità raddoppiata, visto il titolo così inaspettato nella sua ambivalenza di senso: Insorte.
Come Giuseppe Manitta dichiara nella sua acuta nota in seconda di copertina, il doppio significato di questo termine è dato dal suo essere participio del verbo insorgere e insieme indicare di stare nella sorte, cioè nella casualità. Mi aspetto dunque di trovare nei testi senso di ribellione e rassegnazione – sempre vigile – alla imprevedibilità della vita, ma sono ansiosa di vederne le declinazioni personalissime che la poeta offre nei testi.
Nella prima delle tre sezioni già il titolo Tragedia e idillio richiama un contrasto che nei testi ispirati a personaggi mitici o della tragedia greca, come in Psyche, Creonte, Kore, Sfinge, sembrano chiedere con forza al mito di far cadere il velo ad ogni ambivalenza delle sue narrazioni. Analoga  richiesta è rivolta ad essenze della natura, come all’Elce, che ha nomi ambigui in due lingue, sospesi nel significato tra offerta di protezione e resistenza, tra rifugio e appiglio, o come al fiume Ciane, per il suo scorrere che è doppia metafora di sosta e ripartenza, addensare e rifluire. Più enigmatiche le richieste che l’autrice si porge / porge, sostando su versi di suoi amati autori come Yeats, Dagerman, Dickinson.
La seconda sezione dal titolo Quando tace il latrato si apre con la poesia eponima che rivela la nostra urgente necessità di silenzio, per porci in ascolto della immensa sofferenza umana, per poter accogliere svelamenti che possono rischiarare il disordine compatto che circonda, definizione ossimorica del mondo, che è caos e pure densa verità celata nel disordine. Seguono testi in distici di grande suggestione, che hanno andamento come di profezie pìtiche, assiomi fieri su cui a lungo riflettere. Forte è l’invito a porsi in ascolto pure di note rivelatrici dalla musica, che la poeta trova nei suggestivi brani del Consorzio Suonatori Indipendenti.
Questa più robusta sezione contiene poesie che appaiono come soste del pensiero su temi essenziali e profondi, come Vigilia, testo sull’attesa della fine che, partendo dalla lettura di un brano poetico di Auden, dice degli attimi durante l’abbandono del corpo, mentre già giungono le voci dall’oltre. E Anna Maria con la sua estrema sensibilità lascia a chi legge la scelta di accogliere queste indicibili voci, che a ognuno parlano in diverse parole, e dunque dalla poeta sottaciute, o di ignorarle.
E qui pure si offrono testi dalla costruzione singolare, che prende l’avvio con una sospensione di senso per poi esplodere in fulminante chiarezza. Esemplare è il testo Nell’angolo del verde che concerta, in cui si parte dall’attesa della primavera tra piante e fiori in boccio, complessa metafora di tutto ciò che viene promesso senza termine e data, cosa che provoca orrore, ma che si apre improvvisamente alla consolazione, se la promessa ha a che fare con l’amore.
Non mancano gli strali, come in La loi quello lanciato sull’omologazione attuale e ovunque imperante, anche nel linguaggio, che rende chi si lascia omologare, servo truccato da padrone.
E nelle pagine successive prende il sopravvento la ribellione severa alla disumanità dilagante di ieri e oggi, e si rivela la sorprendente militanza civile di Anna Maria, che non smette di vigilare e denunciare storture e delitti, come la strage di Ustica o l’assassinio di padre Pino Puglisi.
A chiudere questa sezione è il testo Sottotraccia, che accanto all’amarezza per la violenza  e allo sberleffo lanciato a tutti i malversatori, definisce la necessità di una ostinata opposizione al male, soprattutto quello più subdolo e celato da un perbenismo di facciata. È un’esortazione che la poeta-docente di liceo ogni giorno trasmette ai suoi allievi, come fiero invito a guardare la realtà esercitando lo sguardo critico, non facendosi fuorviare dalla immaterialità virtuale e mai smettendo di praticare quell’attività che affina sensibilità e umanità, che è la lettura. Per cui l’esortazione Tolle, lege, che dà il nome all’ultima sezione, resta l’imperativo da seguire come universale strumento di salvezza.
Mi sento dunque di dire che questa parola poetica, così vicina a una sociologia della letteratura, afferma la sua irrevocabile necessità in questo nostro tempo di crisi. Del resto anche l’appassionato lavoro di poliedrica operatrice culturale che Anna Maria Curci compie sul territorio testimonia il suo costante dialogo con la collettività, il suo tenersi sempre lontana dall’ autoisolamento intellettualistico, frequente prassi di molti scriventi.
Centrale nella terza sezione appare la poesia dedicata a Hölderlin, dal titolo Scardanelli, pseudonimo che il grande poeta si diede nella seconda fase della sua vita creativa, trascorsa rinchiuso in una torre per 37 anni. Holderlin, disconoscendo la sua vita e opera precedente, scrisse le sue Poesie della torre con un tono altro e umilissimo, attendendo la fine; esempio luminoso di negazione di ogni aura autocelebrativa, testimonianza della consapevolezza dell’effimero che tutti siamo, e dell’attenzione doverosa al legame che sempre tutto tiene unito, dall’infimo all’altissimo.

Tutto è connesso,
scriveva in altra firma
un altro te sulla soglia del buio.

E commuove questa postura spontanea di un’autrice che mostra la sua tenace umile devozione ai grandi maestri della parola come per chiedere sostegno e conforto lungo la propria ricerca umana e creativa. Tensione che leggiamo nel successivo intenso testo E ogni giorno, in cui augura a tutti la bellezza di camminare a fianco e, sempre, il dovere della riconoscenza per ogni bene ricevuto. E su questa scia di pensiero l’anima altruista e profondamente cristiana di Anna Maria si lascia trasportare dicendo delle virtù della misericordia, dell’ascolto e della ricomposizione di ogni contrasto. Accanto a questi temi che costituiscono il fermo fondale della sua parola, la poeta continua nel suo giocoso metodo poetico-didattico, divertendosi a nascondere, lasciando tracce da seguire per scavare, approfondire, dilatare, indicando la via maestra della costante curiosità e dello studio, per non fermarsi alla superficie, per continuare a cercare e trovare Nel buio stella.
Siamo dunque invitati a leggere questi versi seguendo ritmo e incanto di curatissimi endecasillabi o di versi perfino di un solo termine, oppure disposti in distici, per sostenere ogni intensa sollecitazione che sempre giunge, portando a un’altezza impensabile di pensiero. Un pensiero che chiede condivisione e che promette quella serenità che inesorabilmente investe chi legge per l’immersione in cieli di inaspettata chiarezza.
E noi che leggiamo sempre confidiamo nella vigile e sognante trobadora-menestrella che cantando continua a farsi guida, vestendo di luce il buio.

Annamaria Ferramosca, ottobre 2022

 

 

Reiner Kunze, CROCE DEL SUD

16 martedì Ago 2022

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, anniversari, Poesia, Reiner Kunze, Traduzioni

≈ Lascia un commento

Tag

Anna Maria Curci, anniversari, croce del sud, ein tag auf dieser erde, Fischer Verlag, kreuz des südens, Poesia, Reiner Kunze, traduzioni

 

 

 

 

Oggi, 16 agosto 2022, Reiner Kunze, nato a Oelsnitz il 16 agosto 1933, compie 89 anni. Il mio omaggio alla sua poesia avviene anche quest’anno con una traduzione inedita. (Anna Maria Curci)

 

 

CROCE DEL SUD

Notti che ti lapidano

Le stelle precipitano giù
nella loro luce

Tu stai nella loro grandine

Nessuna ti colpisce

Eppure fa male,
come se tutte colpissero

 

Reiner Kunze
(traduzione di Anna Maria Curci)

 

KREUZ DES SÜDENS

Nächte, die dich steinigen
Die sterne stürzen herab
auf ihrem licht

Du stehst in ihrem hagel

Keiner trifft dich

Doch es schmerzt,
als träfen alle

 

Reiner Kunze
da: ein tag auf dieser erde, Fischer Verlag 1999: 56

“Un bel giorno sarà estate”: Intervista a Giovanna Amato

21 martedì Giu 2022

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Giovanna Amato, interviste, letture, Romanzi

≈ Lascia un commento

Tag

Anna Maria Curci, fvə editori, Giovanna Amato, interviste, Un bel giorno sarà estate

Il blog “Lettere migranti” ospita oggi il dialogo con  Giovanna Amato intorno al suo romanzo Un bel giorno sarà estate, pubblicato da fvə editori nel 2021. Buona lettura! (Anna Maria Curci)

 

  1. Tonio, il protagonista di Un bel giorno sarà estate, è un –bot. La sua origine lo distingue dunque dagli umani. Intensità, concentrazione, capacità di muoversi nei territori del sublime e dell’assoluto, essere estraneo, essere alieno accomuna senz’altro Tonio a tanti suoi affini letterari – la schiera è lunga e varia, ma Tonio ha tratti che lo rendono unico. L’idea del romanzo è scaturita nel tuo progetto dalla ‘natura’ del protagonista o da un altro nucleo?

L’idea del romanzo è scaturita dalla natura dell’amore, se posso permettermi la superbia di poter ragionare su un colosso concettuale del genere. Mi ero focalizzata su un’idea in particolare. Volevo credere possibile un amore disinteressato, svincolato dalla speranza di essere ricambiato, sensuale indipendentemente dalla quantità di erotismo (non di sesso, di erotismo) e dal lessico familiare, che è forse il vero tavolo su cui si gioca la partita di un legame amoroso. Volevo controllare se fosse possibile senza che il suo detentore si votasse a un destino di rinuncia e sofferenza. In parole povere: esiste un amore scevro dal possesso e che non si disperi, ma allegramente si nutra di sé? Creare un -bot è stata una bieca manovra per non annoiare con la dinamica lui-ama-lei e soprattutto con la dinamica ecco-cosa-si-prova-in-amore, di cui il libro è pieno e che poteva esserlo solo a patto di qualche sotterfugio. Il sotterfugio è il -bot. Per Tonio, incapace di amare senza il supporto chimico delle sue pillole, la scoperta della fisiologia dell’amore è una novità: questo mi permetteva di parlarne senza risultare lapalissiana o ridondante. Quindi la natura di Tonio è consequenziale ma anche vagamente tangenziale. Mi occorre. Ma mi occorre a pronunciare l’inesplorato del sentimento amoroso, che è il paesaggio della domanda che nel libro si staglia come un dolmen: è possibile amare con tanta intensità da – lungi dall’annullarsi – fare di questa intensità nutrimento per entrambi? Tempo fa leggevo Guerra d’infanzia e di Spagna, e a un certo punto Ramondino usa una frase folgorante per descrivere l’innamoramento, che io trovo verissima e che Tonio approverebbe: «spesso mi pareva che non avrei mai potuto sopportare neppure i successivi cinque minuti». Maneggiare il sublime, come dici tu, essere estraneo perché separato, perché «sacro», perché per nulla sicuro (né particolarmente interessato) di arrivare al minuto numero sei per la detonante regalità che ci abita: volevo descrivere esattamente quei cinque minuti, a cinque minuti per volta.

  1. La scuola è il luogo in cui sono ambientate molte scene del romanzo. Tonio si trova lì con un preciso incarico del governo, quello di svolgere l’ora settimanale di «dismisura creativa». Proprio lì Tonio incontra Maria e, con lei, una dimensione nuova, molto vicina a quella che per i poeti è la soglia sull’abisso e, d’altro canto, lo stupore incommensurabile. Dove risiedono le ragioni della scelta della scuola come luogo privilegiato delle vicende narrate?

La scuola è la mia casa, da più di dieci anni. L’anno in cui ho scritto questo libro, un’imbarazzante primavera di cinque anni fa, avevo quattordici classi, le riunioni si facevano in presenza, da ciò si desume che la scuola era letteralmente la mia casa. Avevo la borsa piena di libri e pranzi e bevande in una sacca a parte. Ma la scuola è il luogo in cui un ragazzo di undici anni scopre per la prima volta che si può amare al punto da chiedere al principe guerriero che si è sposato di non andare in guerra, e farlo deridere dall’intera città. Si proietta alla LIM il volto dell’Andromaca di De Chirico che affonda nella clavicola del suo amore, e si è già detto tutto riguardo agli umani. La scuola è l’addestramento alla bellezza, a quelli che tu chiami abisso e stupore. Ed è un luogo che permette ai due attori del mio libro di vedersi quotidianamente: senza, mancherebbe il puntello logico per cui Maria, piacevolmente assediata ma pur sempre logica nelle sue azioni, dovrebbe stare con Tonio in una routine quotidiana, lunga e condivisa. Ma non sono né partita da questo né sono andata a cercarlo dopo aver messo a fuoco un’esigenza narrativa. L’ho scritto, perché era vero. Questo è il criterio, quando butto nove libri ogni volta che ne scrivo due.

  1. All’inizio del capitolo 11, dinanzi «ai cesti del fruttivendolo», prende vita una fantastica esplosione di colori, puri e mescolati, caldi e freddi, vividi e, allo stesso tempo, portatori di simboli. Sembra di trovarsi di fronte a una contemporanea rivisitazione del “blason des couleurs” medievale, con ogni tonalità cromatica emblema e portatrice di un universo. L’accostamento è verosimile o si tratta della mera interpretazione di chi legge e si appropria del libro che, una volta pubblicato, consegnato alla lettura, diventa «il libro di tutti»?

Proprio perché mi piace remare contro all’idea di libro di tutti, che rispetto e condivido ma contro cui mi piace molto giocare, sono una vera serpe quando c’è da descrivere. Il cortile di scuola non può essere altro cortile se non barando di fantasia. E Maria ha i suoi bravi dettagli, lanciati come un dado e che la inchiodano a una certa maniera. Si dice che ha la bellezza di una mantide. Che ha gli zigomi alti, da tartara. A questo proposito, l’incredibile copertina che fve editori mi ha regalato, a opera di Francesca Bianchessi, accosta un goniometro alla gota di una donna stilizzata. Maria è impressa, non è di tutti: a rendere chiara la scivolata di colore dei suoi occhi c’è una metafora così lunga che riguarda l’intera ricerca del giusto guscio di frutta secca al bancone di un mercato. Tonio ha un problema, con gli occhi di Maria. C’è uno studio secondo il quale innamoramenti molto violenti possono generare un’amnesia dei tratti somatici dell’altro, che può essere decodificato solo in presenza. Esiste una zona del cervello precisa che interpreta i volti, ma l’innamoramento rende così traumatico il viso da creare un deficit di comprensione dei dati a livello di quella zona. Terribilmente affascinante, e fastidioso, lo dico da vittima di questa perenne fornitura di nostalgia. Tonio ricorda Maria, è pur sempre un -bot. Ma è completamente incapace di capire i suoi occhi, che vanno dal verde al castano con qualche irritante spruzzata di rosso. È lo stesso processo di mancata lettura, dovuto a questo amore irrequieto. Così vorrebbe quasi tenere in tasca un talismano che la rappresenti, che sia il suo occhio. Non gli basta capire di quale legno abbia il colore d’occhi: in una fervenza da bestiario medievale, se ne vuole impossessare.

  1. A proposito della scelta di Tonio, ho scritto di un atto di ribellione, temerariamente ponderato, all’economia del dare e dell’avere, alla logica dell’utile, perfino al capriccio di colei che, pur indietreggiando dinanzi all’abbagliante gratuità, non vuole rinunciare a essere idolatrata. “Discorrere d’amore” non è mai stato così sovversivo, non trovi?

Adoro l’immagine che allarga l’amore alla logica dell’utile. Adoro che di Maria si noti quella punta di vanità, che non è la lusinga, del tutto innocente, ma qualcosa di più malizioso. Trovare l’accoglienza magari lusingata ma senza giochini di potere è cosa rara. Eppure, nonostante la vanità o forse proprio per questo, Maria è preda di quella logica dell’utile da cui Tonio è affrancato. Anche per lei, angosciata all’idea di non corrispondere e quindi di essere-da-meno, l’amore è derubricato a questione da dover ricambiare come un pranzo con dei conoscenti. Un amore che dia, che sia appagato dal suo dare, è ancora socialmente inopportuno, come minimo manchevole o sofferente. Tonio non ha neanche il tempo di farci caso, non è una questione di scegliere. La scelta di Tonio semmai non è solo la scelta di assumere delle droghe, ma di continuare a farlo. E questa non è mai una dipendenza dall’effetto in sé: Tonio è estraneo a masochismi e dipendenze. Lui vuole continuare a ricreare la purezza di un sentimento. Per lei, apparentemente, ma soprattutto perché è per sé stesso che vale la pena. Il punto non è essere ricambiati, ma essere felici: e quale altro -bot si è mai annullato addosso la dicotomia tra dolore e meraviglia? Tonio è appagato, perché gode in maniera entusiasta e curiosa del moto perpetuo di questo sentimento. Ed è puro, non perché esente dal desiderio e dal sesso (il corpo è anzi molto presente nello strazio di non poterlo toccare, nell’incanto di clavicole, capelli, dettagli). Purezza non vuol dire astrazione. Vuol dire ubbidienza a un sentimento senza risparmio. Tonio ha scoperto la nostra dismisura: se noi avessimo il modo di scoprire la sua, questo disinteresse senza infelicità, saremmo questa parola che tu dici e che mi piace. Sovversivi. Ma ho il veleno nella coda, e propongo dall’altro lato una triste verità: forse non c’è reale via d’uscita. Chi dà può raggiungere la gioia dell’agape, ma è la persona che amiamo che, anche nell’innocenza della lusinga e fuori dalla logica dell’utile in cui è Maria, si sentirebbe-da-meno, come quando si ha in mano un regalo troppo prezioso. Chi ama, forse, lo fa per sé, e questo non è esente da una forma di egotismo. Chi dona, può; il peso è di chi riceve. Sotto questo cielo, insomma, forse l’amore disinteressato non ha via alcuna.

Anna Maria Curci – Giovanna Amato

Ottavio Olita, Sulle tracce di Almeida

30 sabato Apr 2022

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, letture, Recensioni, Romanzi, Storia

≈ Lascia un commento

Tag

Almeida Garrett, Anna Maria Curci, IsolaPalma, Ottavio Olita, recensioni, romanzi, Silvano Tagliagambe, Sulle tracce di Almeida

Ottavio Olita, Sulle tracce di Almeida. Postfazione di Silvano Tagliagambe, IsolaPalma 2021

Da un moto di sacrosanta insofferenza, di giusta rabbia, scaturiscono prima una lettera del giovane protagonista Luca Mulas, poco più che ventenne, poi la serie di eventi, luoghi, personaggi e scoperte che popola Sulle tracce di Almeida, il romanzo più recente di Ottavio Olita.
La lettera, scritta nel 2019 e lasciata dal giovane alla madre Valeria, medico a Cagliari, spaventa quest’ultima, giacché Luca appare fermamente intenzionato a far perdere le sue tracce dopo esser partito dalla città. È una lettera che denuncia il degrado di un paese nel quale l’esclusione degli ultimi, la violenza – razzista, antisemita, fascista – sono tornati a trionfare; è una lettera che, d’altro canto, rivela una assunzione di responsabilità, una ‘auto-mobilitazione’: Luca scrive che ritiene che spetti alla propria generazione muoversi, camminare, conoscere, aiutare, avere cura, agire per opporsi alla colpevole indifferenza.
Valeria teme in un primo momento che Luca pensi a una rivolta, violenta anch’essa come il male che si propone di sconfiggere; consigliata dall’amica Nerina, si rivolge al giornalista Nicola Auletta.
Cominciano così da un lato le ricerche, condotte discretamente dal capitano dei carabinieri Gino Murgia – una presenza costante, insieme al già menzionato Nicola Auletta e all’avvocato Giuliano Deffenu, nei romanzi di Ottavio Olita –; dall’altro lato prendono le mosse le tappe di avvicinamento a quella che sarà o, per essere più precisi, diventerà una delle mete del suo cammino, che si presenta, come nei due romanzi di formazione per eccellenza, che Goethe costruisce intorno alla figura di Wilhelm Meister (Wilhelm Meisters Lehrjahre e Wilhelm Meisters Wanderjahre), come “apprendistato” e “viaggio”: Porto.
Dopo Cagliari, ci sono infatti Bologna, città nella quale Luca incontra altri giovani e si scontra con le fasce più violente dello scontento nei confronti della realtà sempre più disgregata e iniqua e di una classe politica vana e corrotta; Padova, dove conosce Beatriz Alves, Madrid, dove si ferma per qualche tempo e, grazie a Gianni Gentili, figura paterna e sollecita, riesce a partecipare in prima persona a iniziative di incontri culturali, e infine Porto, dove sarà proprio Beatriz, Bea, a invitarlo. Ma il ventaglio nutrito di luoghi si dispiegherà ulteriormente, a mostrare Lisbona e, di nuovo in Spagna, la Navarra; con un ricordo drammatico del personaggio dell’avvocato Rafael Melis Pilloni, anche Gonnosfanàdiga nel Campidano nel terribile bombardamento del 17 febbraio 1943.
A Porto, dove la storia d’amore tra Bea e Luca crescerà, Luca conosce i nonni paterni di Bea e Caetana, amica di Bea, che, a sua volta, lo introdurrà alla scoperta di Almeida Garrett.
La figura di Almeida Garrett è, come suggerisce il titolo stesso del romanzo, centrale in tutta la vicenda. Lo scrittore, giornalista e politico ottocentesco João Baptista da Silva Leitão de Almeida Garrett, pensatore profondo e brillante, sostenitore e propugnatore del liberalismo e del costituzionalismo, si rivela guida spirituale nel viaggio tra memoria e futuro di Luca Mulas.
In questo vero e proprio viaggio di conoscenza – e il viaggio di conoscenza, metafora e sale di una vita piena di senso è un concetto cardine – si illuminano alcuni sentieri, che possono essere considerati vere e proprie piste di ricerca per chi legge e si inoltra tra le pagine del romanzo Sulle tracce di Almeida.
Il primo sentiero è quello della pluralità, di luoghi, di culture, di etnie: l’epigrafe dall’enciclica di papa Francesco Fratelli tutti è indicativa di un filo conduttore che sarà intrecciato per tutto il corso del libro, per culminare in un progetto, un’iniziativa che promuove e diffonde l’incontro tra i popoli. La pluralità di lingue parlate e ‘frequentate’ dai personaggi del romanzo è un aspetto importante, accompagnato dalla cura di Ottavio Olita, che è stato, ancor prima che giornalista, docente universitario di lingua e letteratura francese, di “fare esprimere ciascuno nel proprio idioma”, come egli stesso ha avuto modo di dichiarare il 27 aprile 2022 a Roma, in occasione della presentazione del libro alla Fondazione Murialdi.
Il secondo sentiero è quello della formazione, attraverso i maestri: non solo i professori, come Acúrsio Souza e, successivamente, Giorgio Mingardi, ma coloro che della loro vita hanno fatto testimonianza, dai personaggi Gianni Gentili e Rafael Melis Pilloni, ai sacerdoti don Luigi Ciotti e don Tonino Bello, menzionati da Eleonora, nonna materna di Luca, nella sua lettera-lascito al nipote. Nella formazione hanno un ruolo fondamentale i nonni: nonna Eleonora per Luca, nonna Isabel e nonno Jorge per Bea. I nonni sono punto di riferimento, interlocutori prediletti, fonte e meta di affetto incondizionato, sapienza di vita.
Il terzo sentiero riguarda la dimensione politica, nel senso più alto del termine, dell’esistenza. Come contrapposizione alla sciatteria, alla corruzione, all’opportunismo, all’interesse privato, essa è indissolubilmente legata all’assunzione di responsabilità. La dimensione politica, nelle aspirazioni che vanno progressivamente chiarendosi agli occhi dei giovani protagonisti, Luca, Bea, la loro amica Caetana, appare armoniosamente allacciata alla passione culturale, artistica e letteraria, senza scissioni, come dimostra la vicenda esemplare di Almeida Garrett. La tensione spirituale, la spinta degli ideali è accompagnata e sostenuta dalla solidarietà nei confronti di chi ne ha maggiormente bisogno. La politica non può pensare di fare a meno della bussola del sapere: il punto di vista dell’autore è messo nel giusto rilievo da Silvano Tagliagambe nella lucida e chiara Postfazione.
Il quarto sentiero riguarda la testimonianza di umanità ai tempi dell’emergenza. Il diffondersi del virus Covid-19, le misure adottate per fronteggiarlo, le restrizioni, il mutamento drastico della quotidianità e l’irrompere del lutto sono temi che entrano con la loro urgenza nel romanzo, insieme al quesito: quale è la responsabilità del singolo e della comunità civile dinanzi all’imprevisto, all’imponderabile? La pandemia, la guerra non possono, non devono sospendere la pietas e, con un raggio più ampio e inclusivo, la compassione («con-dolore», per ricorrere a un concetto centrale nella scrittura di Hilde Domin che, come Almeida Garrett, dall’esilio ritornò con l’impegno di chi costruisce pace), il sentimento profondo di umanità.

© Anna Maria Curci

 

Conoscere Almeida Garrett è servito a farmi nascere un margine di speranza. Per sostenere i suoi ideali affrontò prima il carcere, poi l’esilio durante il quale seppe anche dare una più precisa definizione di qual particolare sentimento di nostalgia che è la saudade; si mise in relazione con il nuovo che stava nascendo in tutta Europa, sia in politica, sia in letteratura; capì quale grande funzione avrebbe potuto svolgere il giornalismo d’inchiesta e per praticarlo creò due diverse testate, una successiva all’altra; prese parte attiva al grande movimento liberale che stava nascendo e crescendo in Portogallo, grazie anche al suo contributo di poeta, romanziere e drammaturgo.
Tradusse la sua elaborazione teorica in opere che segnarono il suo tempo e che fecero rinascere la passione dei portoghesi per le proprie tradizioni popolari. Utilizzando il suo romanzo più importante, Viagens na Minha Terra non solo come opera narrativa, ma anche come testo storico e filosofico, seppe mettere insieme efficacemente intrattenimento e diffusione della conoscenza.
Fondamentale, nella sua esperienza di vita e professionale, è stato l’interscambio con le grandi culture europee del tempo, da quella inglese, a quella francese, a quella tedesca. Uno scossone per quegli anni nei quali il suo Paese rischiava di sprofondare nella palude dell’ignoranza voluta dall’assolutismo.
Perché non rilanciare uguali modalità d’intervento oggi, in tempi nei quali sembra prevalere l’ossessione della chiusura culturale, politica, etnica, nei propri confini nazionali? Un’egemonia che impoverisce, invece che arricchire, proprio come l’assolutismo di allora. (p. 198)

 

Ottavio Olita, da 40 anni giornalista – dopo sei anni di insegnamento universitario – negli ultimi tre decenni si è dedicato ai libri. Prima saggistica, poi narrativa. Questo è il suo ottavo romanzo. Scrive con il PC sulle ginocchia, le idee migliori gli vengono camminando, poi le trascrive ascoltando musica: Rossini, Mozart, Bach, ma anche Beatles, Edith Piaf, Mina.
Ama i gatti.

 

Maria Gabriella Canfarelli, Memento

25 lunedì Apr 2022

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, anniversari, letture, Memoria, Poesia, Storia

≈ Lascia un commento

Tag

25 aprile, Anna Maria Curci, edizioni Cofine, Lettere dei condannati a morte della Resistenza Italiana, Maria Gabriella Canfarelli, Memento, Poesia italiana contemporanea


Per questo 25 aprile 2022 propongo la lettura di alcune poesie che Maria Gabriella Canfarelli ha scritto in Memento. Dalle Lettere di condannati a morte della Resistenza Italiana (Edizioni Cofine 2021), insieme alla mia prefazione. «Ricordare, ricondurre al cuore vicende, destini, scelte e sorti di donne e uomini attraverso una poesia, “parola che fa accadere”, che riprende, condensa, illumina il dettato di quelle ultime missive, congedo e lascito, commiato e impegno»: questo è il dono, testimone e pegno, che Maria Gabriella Canfarelli ci offre anche oggi, Festa della Liberazione.

 

Ricordare, ricondurre alla mente e al cuore: Memento di Maria Gabriella Canfarelli

 

L’imperativo, formulato in latino, è l’invito posto come titolo della propria raccolta da Maria Gabriella Canfarelli: Memento. “Ricorda!”, dunque, è l’esortazione che si fa incontro a chi legge i componimenti in versi che sono nati e si sono sviluppati dalla frequentazione – meditazione, discesa in profondità, testimonianza – con le Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana.
Ricordare, ricondurre al cuore vicende, destini, scelte e sorti di donne e uomini attraverso una poesia, “parola che fa accadere”, che riprende, condensa, illumina il dettato di quelle ultime missive, congedo e lascito, commiato e impegno: in un tale proposito scorgo l’intendimento di dare consistenza, forma compiuta e vibrante di spazi e di silenzi, al grande dimenticato dell’oggi, al senso del tragico.
Con l’espressione “senso del tragico” non alludo tanto (non soltanto, almeno) all’epilogo, all’interruzione violenta dell’esistenza terrena, che accomuna le biografie alle quali Maria Gabriella Canfarelli conferisce voce poetica, quanto piuttosto al conflitto permanente, a quella che Salvatore Natoli definisce come «contraddittorietà delle sorti umane strette tra caso (Týche) e necessità (Anánke)».
Nella visione tragica del mondo c’è uno spazio che l’umano può riempire, c’è la risposta a ciò che si manifesta come ineluttabile, e ha un nome e un’esistenza: responsabilità. Della presa in carico della responsabilità nell’esserci, per sé e per gli altri, con sé e con gli altri, riluce la poesia di Memento.
Il sottotitolo Dalle lettere di condannati a morte della Resistenza italiana palesa fin dall’inizio che la prima lettura e le successive riletture di un determinato volume, proprio quello indicato nel sottotitolo, sono indubbiamente state tappe importanti nella stesura dei testi di Memento.
Leggere insieme Lettere e Memento aiuta senz’altro a identificare le voci, a dare loro un nome; sono quelle, per menzionarne alcune, di Walter Magri, Giacomo Cappellini (Il Maestro), Paola Garelli (Mirka),  Antonio Fossati, Eraclio Cappannini, Pietro Benedetti, don Aldo Mei, Giulio Biglieri, Raffaele Giallorenzo, Paolo Braccini (Verdi), Maria Luisa Alessi, Irma Marchiani (Anty), Leone Ginzburg, Renato Molinari, Umberto Ricci (Napoleone).
È un ulteriore viaggio nella memoria, questa lettura comparata, che nulla toglie, tuttavia, all’intervento poetico di Canfarelli. Ne esalta, al contrario, la capacità di dare vita a versi la cui limpidezza, la precisione delle immagini, la partecipazione commossa che si fa ritmo, misura, cadenza, imprimono tracce profonde nelle percezioni e nelle rappresentazioni di chi a Memento si accosta e ne percorre le pagine vive di presenze e vicende.
D’altro canto, leggere Memento ancor prima di riprendere in mano il volume delle Lettere, attraversarne i testi ed addentrarsi nella loro architettura, nella loro partitura, è un procedimento che conduce alla scoperta della caratteristica principale di questa opera di Maria Gabriella Canfarelli: l’equilibrio tra l’intuizione profonda dello stato d’animo, di volta in volta ritratto e restituito, e la sapienza compositiva.
I trentacinque testi di Memento sono tutti condensati in un’unica strofa, la cui lunghezza varia, tuttavia, tra sei, otto, nove o undici versi. Anche la misura metrica è diversificata: settenari («Non più di un giorno al mese») si alternano a ottonari («qualcuno ordinava: Aprite!»); a novenari («in un’ora viola e imprecisa»), a decasillabi («clandestina al tramonto sui monti») e a endecasillabi («che le parole senza fiato incorda»; «fasciata nella nebbia novembrina») si affiancano versi formati dall’accostamento di un quinario e di un settenario («che non sapete, come stretto mi tiene») o di un settenario con un novenario («la pistola tedesca, il colpo sparato alla nuca»).
Quando l’attacco di una poesia è costituito da un decasillabo («Ho vissuto contando le ore»; «In piedi, sulla porta socchiusa») o da un doppio decasillabo («Pensavo di incontrarti a Torino/ ma un agguato mortale aspettava»), anche il ritmo induce all’associazione con il canto dei salmi nella Bibbia. Altri importanti richiami biblici si riferiscono, tra l’altro, al lamento nella cattività («annodato all’orecchio di un Dio/ che non mi sente») o al tradimento («chiacchiere alle orecchie di giuda»).
Le poesie di Memento iniziano tutte con un verso che viene trascritto in corsivo: colei o colui che ‘scrive’ richiama l’attenzione con una frase che introduce in maniera incisiva al breve monologo nel quale riferisce i fatti che hanno condotto alla sentenza, rievoca il passato comune, rivendica le proprie scelte – dolorose, laceranti per sé e per i propri cari, ma scelte: non è dato, come ricordava Gustavo Zagrebelski nell’introduzione alle Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana, lo stare alla finestra, l’opportunistico prendere tempo, il non schierarsi -, richiede conforto, comprensione, perdono per la sofferenza del distacco, ricordo come esercizio vivo della memoria.
La densità di tutti i versi e, in particolare, dei versi iniziali, ha fatto tesoro di una lunga consuetudine con costrutti e forme della prosa in latino: un esempio significativo è l’incipit «Da pochi istanti emessa la sentenza», che discende da un ablativo assoluto latino e rende con un perfetto endecasillabo la situazione dalla quale l’io poetico di quella determinata poesia (la prima di pag. 18) articola la propria testimonianza.
La forma verbale prevalente è, esattamente come nel titolo, quella dell’imperativo o, in alternativa, quella del futuro con valore di esortazione («l’epitaffio per me. Farete scrivere:/ Resistere è un dovere non da poco»), una “parola” (parola che si fa alleanza, patto e, ancora una volta “parola che fa accadere”) che diventi la prosecuzione di un impegno: «Comando a voi tutti prudenza, non vi fidate», insieme alle ultime volontà: «sigillatemi il cuore,/ gli occhi, la bocca, le braccia conserte/ nella terra di Sestola».
Un imperativo che è, insieme, consegna del testimone di una “parola che fa accadere”, è nei versi di pagina 15, che non ripropongono soltanto alcuni passaggi della lettera a Settimo Costantino di Giulio Biglieri, fucilato il 5 aprile 1944 da un plotone di militi della guardia nazionale repubblicana al poligono nazionale del Martinetto di Torino, ma compiono un passo ulteriore:

Conserva invece i miei versi
non per farli stampare, li darai a mio nipote
perché viva di me, con i libri, la parte
migliore.

Questi di Maria Gabriella Canfarelli in Memento sono versi che, insieme alla memoria, affidano a chi legge un lascito consistente e coinvolgente per l’oggi.

© Anna Maria Curci

Non avrò altri giorni
con te, non verrà il tempo per due.
Mi avresti reso felice, lo so.
Ti prego, Vittoria, resisti.  Dovrai essere
forte, e non morire di dolore
per me che lascio la luce intensa, pulita
di questo mattino e la respiro a fondo
ed è l’ultima volta (non potrò più
stringerti, mai più la bocca coprire di baci).

***

Mimma, un giorno ti diranno
saprai che la tua mamma non ha avuto
un processo giusto o ingiusto che fosse.
I tuoi piccoli anni orfani
come un dolore attorcigliato adesso
sfiancano le poche, necessarie parole
raccolte per te. Non ti vedrò
crescere, altri ti alleveranno:
perdona la brutale sparizione,
l’assenza non voluta.

***

L’ufficio, le scartoffie
i giorni mi stavano stretti
(mentre altri morivano). Staffetta partigiana
clandestina al tramonto sui monti,
portavo il pane e le armi. E una notte
di calma sospetta, mi hanno presa
al ritorno, arrestata sull’uscio di casa.
Comando a voi tutti prudenza, non vi fidate,
non parlate coi vostri vicini, non date inutili
chiacchiere alle orecchie di giuda.

***

Abbiamo pochi minuti
sarò il primo a passare la porta.
Madre, prega per me se credi
possa fare la fede del bene
al tuo dolore.
Amici, compagni di lotta
venite a prendermi: troverete
il mio corpo dove l’hanno lasciato
– di qua dal ponte, nei pressi
della scuola cantoniera.

***

Conserva fino all’ultimo
respiro dell’anima tua
il ricordo di me, custodisci
questo mio scritto sempre
per non dimenticare. E di portare
fiori alla fossa e di parlarmi, non
dimenticare. Tienimi accanto
come fossi vivo, tienimi sin d’ora
ch’è l’ora del tramonto
e tanto nevica, e batte i denti
l’ultima parola.

Maria Gabriella Canfarelli, Memento. Dalle Lettere dei condannati a morte della Resistenza Italiana. Prefazione di Anna Maria Curci, Edizioni Cofine 2021

Voi, parole

21 lunedì Feb 2022

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Lettere migranti

≈ 2 commenti

Tag

Antonella Anedda, Edith Stein, Ingeborg Bachmann, voi parole

Kein Sterbenswort,
ihr Worte!
Neanche una parola,
voi, parole!

Ingeborg Bachmann

 

Voi, parole – 1 

Quante parole nascono per compiacere? Quali?
Emesse, estratte, espulse, perfino, sicuramente non pro-nunciate.
Il discrimine, tuttavia, è quanto mai difficile da percepire. Forse, se fossero isolate, in una sorta di  staccato, il loro discostarsi dall’armonia sarebbe percepibile.
Ma una sintassi d’ordinanza, imbellettata, la mette insieme in una ronde vista e rivista, tranquillizzante e opaca come il correttore per le occhiaie.
Nessun dolore, nessun attrito o, viceversa, la finzione del dolore, la sottolineatura dell’attrito per compiacere.
«L’ascesa a Dio è un’ascesa nel buio e nel silenzio», scriveva Edith Stein. Le vie dell’anelito alla conoscenza perfetta passano per un’estrema densità e un’estrema rarefazione, e il ponte delle parole soffre di questo suo essere tramite. Non è dato conoscere l’origine, e tuttavia come non comprendere chi tras-corre l’esistenza a cozzare contro il muro dei muri, il muro dell’impossibilità a dire l’origine?
Sublime imperfezione, allora, se non nasconde, sotto il belletto dell’istrione, il paesaggio lunare delle parole.

Anna Maria Curci
9 agosto 2021

 

Voi, parole – 2

Limbas

Onzi tandu naro una limba mia
da imbentu in impasto a su passado
da dongu solamente in traduzione.

Ogni tanto uso una lingua mia
la invento impastandola al passato
non la consegno se non in traduzione.

(Antonella Anedda, da Historiae, Einaudi 2018, p. 5)

Tra invenzione e interazione si mettono in moto innumerevoli andirivieni, che impastano, stendono, riformulano idiomi rendendoli repertori complessi, compositi e dinamici.
Se da un lato, dunque, il continuo scorrere e mutare dà luogo a costellazioni e a configurazioni che pulsano, vivono e chiedono di essere esplorate, dall’altro resta una mole, solitamente in ombra, di scarti. Seguendo le considerazioni di Antonella Anedda in Limbas, si tratta di ciò che non viene consegnato «in traduzione«; proseguendo la similitudine con l’universo della traduttologia, il pensiero va immediatamente al residuo traduttivo.
La lingua d’invenzione si nutre della lingua d’interazione del passato, ricchezza non più in uso, ma ripresa per la creazione, un fare che è mettere insieme, rimodellare, anche scoperchiando il profondo. Poi la pasta viene stesa, tagliata in forme riconoscibili, oppure passata in uno strumento che la rende striscia commestibile e ben identificabile: pappardella, tagliatella, tagliolino.
Eppure, quel che resta, quel che è fuori formato mi interessa.

Anna Maria Curci
2 ottobre 2021

 

Voi, parole – 3

Nell’ansia premurosa di smussare, di attenuare, per neutralizzare, con ipocrita intento pacificatore, può capitare a qualcuno di abbinare a un’etichetta un aggettivo verbale, rinforzato a sua volta da un complemento di causa efficiente che si industria a mostrare un volto ecumenico e tranquillizzante: «femminismo addolcito dalle numerose esperienze vissute».
A quale pubblico si rivolge, ansioso di ‘normalizzare’, l’aggettivo «addolcito» affiancato al sostantivo «femminismo»? Perché il «femminismo» ha bisogno di essere addolcito?
Al brodo dell’indistinto, dei parallelismi forzati, si aggiunge a intervalli regolari l’urgenza della rassicurazione circa l’addomesticamento avvenuto. Ancora una volta, viene da chiedere, ricorrendo alle parole di Saint-Exupéry: «Qu’est-ce que signifie “apprivoiser”?» (Che cosa significa “addomesticare”?). Nell’interpretazione diffusa della celeberrima conversazione tra il piccolo principe e la volpe si manifesta il procedimento edulcorante che si appropria di territori e di dimore, di intere regioni del pensiero nella storia, con vorace bonarietà.
Confisca con pacca sulla spalla. Requisizione con cambio di destinazione d’uso.

Anna Maria Curci
19 febbraio 2022

Rolf Bossert, Temporale

17 giovedì Feb 2022

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, anniversari, Poesia, Traduzioni

≈ Lascia un commento

Tag

Anna Maria Curci, Gewitter, Herta Müller, Herztier, Poesia, Rolf Bossert, Schöffling & Co., Temporale, traduzioni

Nel romanzo Herztier (tradotto da Margherita Carbonaro con il titolo Cuoreanimale) Herta Müller, premio Nobel per la Letteratura nel 2009, presenta il personaggio di Georg, uno degli amici dell’io narrante femminile, anche lui appartenente al gruppo degli scrittori rumeni di lingua tedesca, provenienti dalla regione del Banato. Dietro il nome di Georg si celano versi (soprattutto quelli della poesia Neuntöter – Lanius collurio, ovvero “averla piccola”) e vicende di Rolf Bossert, morto il 17 febbraio 1986 a Francoforte sul Meno, pochi mesi dopo aver ottenuto l’espatrio dalla Romania in Germania. Il corpo steso sul selciato, la finestra aperta. Le circostanze della sua morte non sono state mai chiarite. La poesia Gewitter, “Temporale”, appartiene al gruppo di poesie scritte da Bossert dopo aver fatto richiesta di espatrio, richiesta avanzata nel luglio 1984 e che gli costò una brutale aggressione con frattura della mascella, un interrogatorio della “Securitate”, i servizi segreti agli ordini di Ceauşescu e il divieto di pubblicazione delle sue opere, considerate l’espressione di un “nemico dello Stato”.
Oggi, 17 febbraio 2022, a trentasei anni dalla morte di Rolf Bossert, il mio omaggio alla sua voce e alla sua poesia avviene con questa traduzione inedita di “Gewitter”. (Anna Maria Curci)

 

Temporale

Da lì batte
giù a picco
l’ascia azzurra,
nel timpano
abbaia anche a me
teglia galattica.

Aggrappati, bambino,
alla caramella incollata:
io scrivo io piango
con te. Avanti, lontano.

Rolf Bossert
(traduzione di Anna Maria Curci)

 

Gewitter

Von dort schlägt
steil runter
die blaue Axt,
im Trommelfell
bellt auch mir
galaktisches Backblech.

Klammer dich, Kind,
ans verklebte Bonbon:
Ich schreibe ich weine
mit. Weiter, weit.

Rolf Bossert
(ora in: Rolf Bossert, Ich stehe auf den Treppen des Winds. Gesammelte Gedichte. A cura di Gerhart Csejka, Schöffling & Co. 2006, p. 230 – sezione »Wo sind wir, was wir sind« 1984-1955)

Incontri con Stig Dagerman – di Giovanna Amato e Anna Maria Curci

12 sabato Feb 2022

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Giovanna Amato, Lettere migranti, Letture a due voci, reportage, Storia

≈ Lascia un commento

Tag

Autunno tedesco, Fulvio Ferrari, fvƏeditori, Giorgio Fontana, Ilaria Rossetti, Iperborea, Massimo Ciaravolo, Stig Dagerman, Stig Dagerman. Il cuore intelligente, storia

Incontri con Stig Dagerman – di Giovanna Amato e Anna Maria Curci

Su Autunno tedesco di Stig Dagerman e Stig Dagerman. Il cuore intelligente di Ilaria Rossetti

Dal titolo del primo degli articoli raccolti nel 1946 e pubblicati nel 1947, scaturisce Tysk Höst, Autunno tedesco nella traduzione di Massimo Ciaravolo, di Stig Dagerman. Il giovane autore svedese, allora ventitreenne, si trovava nella Germania occupata, come inviato del quotidiano “Expressen”.
Lo sguardo di Dagermann è acuto e ampio, la sua narrazione colpisce per la precisione e l’assoluta mancanza di retorica. D’altro canto, una visione storico-politica chiara, quella di un intellettuale anarchico avvezzo a smascherare interessi e motivazioni dietro l’agire umano – e, in questa consuetudine, geniale – illumina i reportage negli scenari urbani e rurali. Berlino, Amburgo, Monaco di Baviera si alternano a villaggi lungo le rive dei fiumi o al limitare dei boschi con una storia antichissima di sacralità, recente di eccidi, rapida nel “leccarsi le ferite”, mentre le piaghe restano aperte e altre vengono scavate.
La nuova guerra – la guerra fredda -, la fame, l’assenza di una casa o anche solo di un riparo, le farse dei testimoni nelle Spruchkammern, vale a dire nei tribunali per la denazificazione, la sofferenza analizzata a distanza dal letterato classicista che si sfama con le macchine da scrivere e i libri venduti: tutto questo, analizza lucidamente Dagerman, non pacifica, bensì alimenta il rancore, il risentimento, l’astio nazionalista.
L’acutezza dello sguardo, la lucidità dell’analisi non è disgiunta, tuttavia, da un sentimento di vera comprensione e cognizione del dolore.

Anna Maria Curci

Si pretendeva da chi stava patendo questo autunno tedesco di imparare dalla propria disgrazia. Non si pensava che la fame è una pessima maestra. Chi ha davvero fame ed è privo di mezzi non accusa se stesso per la sua fame, bensì quelli da cui crede di potersi aspettare aiuto. La fame non favorisce certo la ricerca delle cause, e chi è permanentemente affamato non riesce a stabilire alcun’altra relazione che la più immediata, per cui in questo caso accuserà chi ha rovesciato il regime che prima provvedeva al suo mantenimento, sostituendolo con un trattamento peggiore di quello a cui era abituato. (Stig Dagerman, Autunno tedesco, p. 20)

Il mio incontro con Stig Dagerman, invece, è stato seduta alla scrivania, mentre dal tavolo virtuale di un magnifico incontro di lettura un’amica ha detto queste sue parole: «Se la letteratura è un gioco di società, me ne andrò nel crepuscolo con i piedi sporchi di terra a farmi amici i serpenti e il piccolo ratto grigio delle sabbie. Ma se la poesia è una necessità vitale per qualcuno, non dimenticare a casa i sandali, guardati dai mucchi di pietre! Adesso i serpenti mi insidiano il calcagno, adesso mi disgusta il ratto delle sabbie». Vengono da Lo scrittore e la coscienza: Ilaria Rossetti le cita in breve dialogo a margine di un suo libricino miracoloso, Stig Dagerman, Il cuore intelligente, edito da FVE nel dicembre del 2021. Il libro apre, con il volume su Franco Loi a cura di Rudy Toffanetti, la collana Animula Vagula Blandula, che la casa editrice milanese dedica all’“amorosa avventura” del racconto di uno scrittore da parte di un altro scrittore che l’ha caro.
L’incontro di Ilaria Rossetti con l’autore svedese è stato invece all’insegna di Autunno tedesco, nella sala di una biblioteca popolata da lettori di quotidiani. Entrambe abbiamo avuto la simile impressione di sfrigolio, «il presagio di un senso prima intravisto appena e poi evidente». Entrambe sappiamo dare un luogo a questa comparizione. Io devo aver mosso la mano come per afferrare qualcosa, piano piano, perché la sua voce mi sembrava una chiamata a qualcosa di bellissimo, una scelta definitiva e stupenda, arrotondata da un linguaggio che era estraneo a ogni forma di retorica, ma leggero e biblico, come di piuma.
Di questo riconoscimento, e di questa riconoscenza, Ilaria Rossetti parla affiancando con gentilezza ricordi (la lunga preparazione del gioco dell’infanzia che appaga più del gioco stesso, la colazione di nebbia al bar prima di una serrata), facendo di impressione e carne, e non solo di ragionamento e idea, i brani di Dagerman che cita, i racconti della sua vita complessa e della sua biografia intellettuale, e il suo esito che, chiarisce, non è il suicidio (che non è il «risultato della sua biografia») ma la capacità di «tenere la posizione, nonostante tutto». Tra le varie parole chiave che possono occorrere a disegnare questo scrittore dalla scrittura esattissima e la lucidità rigorosa, una è “conflitto”: fin dall’incontro con la narrazione imperterrita del dolore dei vinti in Autunno tedesco, lì dove Dagerman ha rifiutato la visuale comune post-bellica di spezzare sotto il tacco un popolo colpevole, mai nell’autore svedese è mancata la fermezza di sguardo di comprendere, con la sua penna, quella che Walter Siti, citato da Rossetti, indica come necessità del libro: essere luogo in cui «ogni asserzione può essere rovesciata». Il “conflitto” non è allora il motore di una trama, come direbbe McKee, ma una capacità di visione, l’accoglienza di un pensiero discrepante, la disposizione a seguire un ragionamento imprevisto, una forma viva e ospitale di ogni lato, anche il più insospettabile e crudo, della realtà.
«Il giornalismo è l’arte di arrivare troppo tardi il più in fretta possibile», cita ancora Rossetti da Autunno tedesco. Il punto, e Dagerman riesce, e Rossetti ci ricorda con questo libro splendido, è costruire su quel troppo tardi qualcosa che permane.

Giovanna Amato

Stig Dagerman, Autunno tedesco (tit. orig. Tysk höst), traduzione di  Massimo Ciaravolo, cura di Fulvio Ferrari. Con un saggio di Giorgio Fontana (“L’autunno di Stig”), Iperborea 2018

Ilaria Rossetti, Stig Dagerman, Il cuore intelligente, FVE 2021

Giorgio Galli, Il matto di Leningrado

10 lunedì Gen 2022

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Lettere migranti, letture, Memoria, Narrativa, Prosa, Recensioni, Romanzi, Storia

≈ Lascia un commento

Tag

Daniil Charms, Gattomerlino, Giorgio Galli, Il matto di Leningrado, letture, prosa, recensioni, romanzi

Giorgio Galli, Il matto di Leningrado. Tre passeggiate con Daniil Charms, Gattomerlino 2021

Le tre passeggiate con Daniil Charms – questo è il sottotitolo del volume Il matto di Leningrado,  che Giorgio Galli ha pubblicato nell’aprile 2021 con la casa editrice Gattomerlino – hanno una scansione temporale che colloca la narrazione in una cornice storica drammatica: 21 marzo 1941, 21 giugno 1941, 21 agosto 1941, giorno della sparizione, quest’ultimo, di Daniil Ivanovič Juvačëv, in arte Daniil Charms.
Le investigazioni a proposito dello scrittore che appare, nelle pagine avvincenti scritte da Giorgio Galli, come «un tale che fumava una pipa ricurva e portava un cappello alla Sherlock Holmes», sono tributi d’amore e di una certa ‘affinità elettiva’ da parte di un viaggiatore nel tempo che per tutto il libro viene indicato, talvolta apostrofato, con il pronome personale alla seconda persona singolare.
Il testimone raccoglie gli indizi, sparsi e scarni, sugli ultimi mesi di vita di un autore del quale sono giunte a noi pochissime opere, per vie fortunose, da una misteriosa valigia, attraverso samizdat.
Nella Nota dell’autore Giorgio Galli precisa: «Questa è un’opera narrativa e non di rigore storico». Tuttavia, essa sprona all’indagine letteraria in un contesto storico, un’indagine che sia sottratta e abbia il coraggio di sottrarsi non solo a mistificazioni, bensì anche alla tentazione di sovrapposizioni e di parallelismi con epoche successive.
Una lettura attenta, infatti, permette di individuare alcune piste di ricerca, feconde e degne di interesse:

  • L’esemplarità della vicenda di Charms nonostante la sua eccentricità ovvero, al contrario, proprio in virtù di questa – si pensi alle pagine che Felicitas Hoppe dedica a Charms nelle pagine iniziali di Sieben Schätze. Augsburger Vorlesungen (“Sette tesori. Lezioni di Augusta”).
  • Il filo conduttore della geniale follia, della incomparabilità e della unicità della letteratura russa che è raccolto anche qui, da Giorgio Galli, e che ha una ragguardevole storia della ricezione in Italia – si pensi alle parole di Giorgio Manganelli che aprono il volume di Paolo Nori, dal titolo oltremodo significativo, Repertorio dei matti della letteratura russa. Un altro titolo che appartiene chiaramente a questa linea è sempre di Paolo Nori: I russi sono matti.
  • La produzione letteraria in lingua russa vicina a quella di Daniil Charms, sia per prossimità di scelte, come è avvenuto per Aleksandr Ivanovič Vvedenskij in particolare e per il gruppo “Oberju” (nomignolo con il quale è nota la “Accademia dell’Arte Reale”, fondata da Charms nel 1928) in senso più ampio, sia per legami di parentela: mi riferisco in questo caso alla figura del padre di Daniil, Ivan Pavolvič Juvačëv, la cui opera letteraria era molto apprezzata da Lev Tolstoj.
  • La comicità come slancio alla sovversione e allo svelamento, molto più vicina al tragico di quanto una percezione soporifera purtroppo diffusa – che nega e annega in un brodo indistinto entrambe le istanze. Tratto, questo, distintivo di Charms, che lo accomuna a due scrittori che, come lui, sfuggono a classificazioni riduttive: Jean Paul e, in particolare per il romanzo Fame, Knut Hamsun.

Che si vogliano esplorare o meno le piste di ricerca suggerite, anche soltanto tra le righe, da Giorgio Galli con Il matto di Leningrado, la lettura dell’opera trasmette il desiderio di leggere, e tornare a leggere, tutte le opere di Charms, a partire dalle sue poesie e dai suoi racconti per l’infanzia.

© Anna Maria Curci

Hai letto da qualche parte che a Daniil piacciono i libri sul buddhismo. Sai che campa scrivendo storie per bambini. Ma forse è più giusto dire campava, perché da un paio d’anni non gli fanno più pubblicare. Daniil scrive storie un po’ assurde, e in Unione Sovietica nel 1941 il governo preferisce che i bambini leggano storie edificanti sulla patria e sul socialismo. Uno come Daniil è un po’ sospetto. Quello che scrive fa ridere. Vorrà farsi gioco della patria e del socialismo? Secondo alcuni fa parte di una setta segreta. Secondo altri di un’organizzazione clandestina. Altri ribadiscono: è un matto.
Eppure è difficile sottrarsi alla sua suggestione. Daniil ha charme. Anche quelli che lo considerano un matto un fallito o una spia, subiscono quello charme, e se non gli rivolgono la parola è perché preferiscono ignorarlo piuttosto che guardarlo negli occhi. Dicono che sia un illusionista e che i bambini fanno tutto quello che lui dice.*

*Giorgio Galli, Il matto di Leningrado. Tre passeggiate con Daniil Charms, Gattomerlino 2021, p. 11

← Vecchi Post

Migrazioni

  • Anna Maria Curci
  • Il Network
  • Informativa

Categorie

  • Anna Maria Curci
  • anniversari
  • Arte
  • Brunella Bassetti
  • Cinema
  • Cristina Bove
  • cronache
  • Disegni
  • Gialli
  • Giovanna Amato
  • interviste
  • la domenica pensavo a Dio/sonntags dachte ich an Gott
  • Laura Vazzana
  • Lettere migranti
  • letture
  • Letture a due voci
  • Lutz Seiler
  • Memoria
  • Migranti
  • Musica
  • Narrativa
  • Per le strade di Roma
  • Pittura
  • Poesia
  • Poesia in due lingue
  • Prosa
  • Racconti
  • Recensioni
  • Reiner Kunze
  • reportage
  • Ricordi
  • Romanzi
  • Rubriche
  • Sandra L. Rebecchi
  • Scuola
  • Simonetta Bumbi
  • Storia
  • Teatro
  • Traduzioni
  • Uncategorized

Ultime Migrazioni

  • Maurizio Rossi, La ruota di Duchamp (nota di Anna Maria Curci)
  • Simone Zafferani, L’ora delle verità (rec. di Giovanna Amato)
  • Gianni Iasimone, “Invel – la Heimatlosigkeit, dallo spaesamento al dolore di Giovanni Nadiani”

Archivi

  • marzo 2023
  • febbraio 2023
  • dicembre 2022
  • ottobre 2022
  • agosto 2022
  • luglio 2022
  • giugno 2022
  • aprile 2022
  • febbraio 2022
  • gennaio 2022
  • febbraio 2021
  • agosto 2020
  • luglio 2020
  • marzo 2020
  • gennaio 2020
  • gennaio 2019
  • agosto 2018
  • gennaio 2018
  • ottobre 2017
  • settembre 2017
  • gennaio 2017
  • ottobre 2016
  • settembre 2016
  • agosto 2016
  • luglio 2016
  • giugno 2016
  • Maggio 2016
  • marzo 2016
  • febbraio 2016
  • gennaio 2016
  • novembre 2015
  • ottobre 2015
  • settembre 2015
  • agosto 2015
  • marzo 2015
  • gennaio 2015
  • dicembre 2014
  • ottobre 2014
  • settembre 2014
  • luglio 2014
  • giugno 2014
  • Maggio 2014
  • aprile 2014
  • marzo 2014
  • febbraio 2014
  • gennaio 2014
  • dicembre 2013
  • novembre 2013
  • ottobre 2013
  • settembre 2013
  • agosto 2013
  • settembre 2012
  • agosto 2012

lettere migranti allinfo.it bumbimediapress.com l’ideale network di allinfo anna maria curci

  • Registrati
  • Accedi
  • Flusso di pubblicazione
  • Feed dei commenti
  • WordPress.com

RSS Allinfo.it

  • Si è verificato un errore; probabilmente il feed non è attivo. Riprovare più tardi.

RSS L’Ideale

  • Beauty Bar: i più belli da visitare adesso - Harper's Bazaar Italia
  • Solmi, insegnamento e impegno politico: con i filosofi - Il Manifesto
  • L'allenamento brucia grassi di Kaia Gerber si fa tutti i giorni in 10 ... - Cosmopolitan
  • Trump apre la campagna presidenziale: "Rieleggetemi e sarete vendicati. Io perseguitato dal procuratore di Ne… - la Repubblica

RSS esti kolovani

  • Che succede a Lampedusa? Fuochi razzisti, l’ennesima orribile pagina di violenza e intolleranza verso il migrante.

RSS il blogascolto

  • BOB DYLAN, Shadows in the Night (2015)

RSS il blogfolk

  • Allen Collins, il magico chitarrista Southern Rock dei Lynyrd Skynyrd

RSS bumbimediapress

  • Si è verificato un errore; probabilmente il feed non è attivo. Riprovare più tardi.

Lettere Migranti

Lettere Migranti

Le ultime migrazioni

  • Maurizio Rossi, La ruota di Duchamp (nota di Anna Maria Curci)
  • Simone Zafferani, L’ora delle verità (rec. di Giovanna Amato)
  • Gianni Iasimone, “Invel – la Heimatlosigkeit, dallo spaesamento al dolore di Giovanni Nadiani”
  • Maria Lenti, “Beatrice e le altre: a Dante” (rec. di Maurizio Rossi)
  • Maria Pina Ciancio, Tre fili d’attesa (nota di Rosaria Di Donato)

Crea un sito o un blog gratuito su WordPress.com.

Privacy e cookie: Questo sito utilizza cookie. Continuando a utilizzare questo sito web, si accetta l’utilizzo dei cookie.
Per ulteriori informazioni, anche sul controllo dei cookie, leggi qui: Informativa sui cookie
  • Segui Siti che segui
    • Lettere migranti
    • Segui assieme ad altri 83 follower
    • Hai già un account WordPress.com? Accedi ora.
    • Lettere migranti
    • Personalizza
    • Segui Siti che segui
    • Registrati
    • Accedi
    • Segnala questo contenuto
    • Visualizza il sito nel Reader
    • Gestisci gli abbonamenti
    • Riduci la barra
 

Caricamento commenti...