Irene Sabetta
Errore cronologico
Il Convivio Editore, Catania 2023
Leggendo Errore cronologico di Irene Sabetta si respira immediatamente l’aria della grande letteratura anglosassone che, a torto o no, è stata una delle dominanti nelle letterature del mondo, almeno a partire dalle opere di Shakespeare (sempre citato nelle epigrafi alle sezioni del libro e non soltanto), poi nel diciannovesimo secolo (una composizione è titolata al Benito Cereno di H. Melville) ma soprattutto nel ventesimo: T. S. Eliot, T. Beckett, J. Joyce, per dire alcuni nomi esplicitamente presenti. Tuttavia, partendo dalla fine del libro (i quattro monologhi esteriori), il modello joyciano dello stream of consciousness viene alterato, cambiato da interior monologue a “monologo esteriore” (49-53). Il simmetrico opposto, in certo modo: come altrove (da waiting for Godot qui si trova arrivando Godot – 41). Credo si debba prestar fede a quanto vien detto e che quindi che la cifra della mutazione consista, certo, nel monologare tra sé e “se”, ripetendosi p. e. che “devo smettere di dire/quello che devo dire/non c’è bisogno di dirlo” (49) o anche riportando frammenti sconnessi dei flussi di coscienza. Ma il monologo non è un soli-loquio che resta confinato all’interno, perché, anche, sono portate a vista le tracce della relazione: “vorrei amare di più/essere generosa con tutti…” (50) “intorno alla casa/la tua faccia col sorriso vero e finto/«ho detto qualcosa che ti è andato storto?» sono fatti miei…”, “vorrei parlare con qualcuno…”, per poi finire “anche se sono illuminata/spegnetemi” (ivi).
Il monologo è “esteriore” perché non solo registra flussi di coscienza dell’ “io-sé” ma si sposta verso un “tu” e non soltanto perché si suppone un lettore. Cosa si presenta, leggendo “non farmi tornare indietro ti prego/…ora sto bene – mi sento un acrobata in equilibrio/… ti prego di non riportarmi indietro/… scaccia via l’ombra dall’ombra – ti prego… non so chi tu sia – non ti conosco e non ti vedo/ma ti prego” (51)? Ecco, l’ombra: la fantomatica ombra dei nostri giorni viventi, di cui cercano di dire le psicologie del profondo, che può anche farci tornare – no, ma si sta così bene: non si sta bene così? Forse, contenti “forse” ieri, o un’ora fa o si sarà contenti “domani… di certo”, forse-di certo, ma intanto si può scrivere poesia, tentarla almeno “nei ritagli” (52) e camminare le montagne, è quello che si può fare e di certo piace. Il passato pesa e “il tempo non cambia le cose” (51) ma “tu” ospite e/o ombra parte di me, non riportarmi indietro, e nemmeno troppo avanti, ma lasciami qui, non farmi morire le dita, non i piedi, preferisco questo “inverno” in cui “non ho neanche freddo”, questa pace “desolata ma calda” (ivi).
Nell’ingranaggio della vita “io sono parte del motore” (52) il che non vuol dire che intenda le cose: a volte il motore è quasi fermo e “continuo a non capire”, non so (come tutti!) “quanto durerà la prova/… e mi rifugio in quello che riesco a vedere/… mi arrendo con dolcezza alla paralisi…” (52). Continua a leggere