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Febbraio 1933. L'inverno della letteratura, letteratura, letture, Marsilio Editori, recensioni, Sachliteratur, storia, Uwe Wittstock
Uwe Wittstock, Febbraio 1933. L’inverno della letteratura, traduzione di Isabella Amico di Meane e Giovanna Targia, Marsilio 2023 (originale: Februar 33. Der Winter der Literatur, Verlag C.H. Beck 2021)
In un suo intervento alla Stiftung Demokratie Saarland (Fondazione per la democrazia del Saarland, 8 marzo 2022), Uwe Wittstock ha riferito che la stesura del suo lungo saggio Febbraio 1933. L’inverno della letteratura ha preso le mosse da una domanda che andava ponendosi da tempo: come si vive una rottura nella civiltà (Zivilisationsbruch), così profonda quale quella che verificò in Germania nel febbraio del 1933? È stupefacente constatare con quale rapidità si fosse consumato, prosegue Wittstock in quell’intervento, il passaggio dalla democrazia alla dittatura, con il corredo di Gleichschaltung, una “normalizzazione” che in realtà significava bavaglio, distruzione e soppressione di qualsiasi voce in disaccordo con i nazisti e i nazionalpopolari. Dal 30 gennaio 1933, giorno del giuramento di Hitler come neonominato Reichskanzler, capo del governo, alle Notverordnungen, ai decreti legge emanati d’urgenza il 28 febbraio 1933, all’indomani dell’incendio del Reichstag (27 febbraio 1933), trascorrono solo quattro settimane e due giorni. Wittstock sceglie testimonianze, da carteggi, resoconti e soprattutto diari, da coloro che sono i più ‘generosi’ nel dare notizie di sé e delle proprie esperienze vissute: gli artisti e gli intellettuali.
È così che, da sabato 28 gennaio 1933 a mercoledì 15 marzo 1933, dopo le prime prove generali dei roghi dei libri, dopo arresti, uccisioni, intimidazioni e partenze improvvise e rischiose, un vero e proprio esodo in quella che poi sarà definita la “Emigration”, Uwe Wittstock segue, focalizzando l’attenzione sul mese che dà il titolo al libro, le vicende di persone, autrici e autori, artiste e artisti, politici, personaggi storici, le cui biografie sono testimonianza dei giorni fatali della Repubblica di Weimar, per la democrazia, per l’umanità tutta.
I brevi e densi capitoli narrano storie, portano all’attenzione scorci di vita, momenti drammatici, decisioni che segnano destini.
Il lavoro di ricostruzione documentaria di Wittstock, molto vasto e dettagliato, si affianca a una visione d’insieme che ha l’obiettivo di mostrare la pluralità di risposte ai segnali, sempre più evidenti, sempre più violenti, sempre meno rassicuranti, eppure diversamente interpretati, che giungevano da Hitler, nominato cancelliere il 30 gennaio 1933, dalle persone a lui più vicine, Göring e Goebbels, dalle SA, dalle SS, dai collaboratori, diretti e indiretti, di coloro che nel mese di febbraio 1933, durante una campagna elettorale condotta nel sangue (indire le elezioni per il 5 marzo sono uno dei primi atti di Hitler al governo, trasformano uno Stato democratico – con tutte le contraddizioni della Repubblica di Weimar – in una dittatura.
L’apertura sull’annuale ballo della stampa, nell’ultimo sabato di gennaio, «l’ultimo ballo della Repubblica», come recita il titolo del primo capitolo, sintetico ed evocativo di scenari più ampi come tutti i titoli dei capitoli in questo libro, “der letzte Tanz auf dem Vulkan”, come lo definisce Wittstock (potremmo renderlo come “l’ultimo ballo sull’orlo dell’abisso”), apre il sipario su molti dei personaggi che vi appaiono, persone realmente esistite, scrittrici e scrittori, redattrici e redattori, alcuni di fama internazionale, altri noti a chi si occupa di lingua e letteratura tedesca, altri, ancora, a chi conosce le cronache mondane dell’epoca, altri, infine, che giungono a chi legge direttamente da documenti storici esaminati con attenzione.
Le scene dal ballo organizzato dalla casa editrice Ullstein, dai preparativi dinanzi allo specchio di Carl Zuckmayer, autore che sta vivendo una stagione di successo con le sue opere, accattivanti, allegre e umoristiche, popolari ma non populistiche, passando per i ricordi di Kadidja Wedekind, la figlia di Frank Wedekind, più timida e riservata della sorella, l’esuberante Pamela – Kadidja si sarebbe successivamente distinta come autrice di un avvincente romanzo per ragazzi Kalumina. Der Roman eines Sommers (“Kalumina. Il romanzo di un’estate”) -, per il palco del governo lasciato vuoto in seguito alle dimissioni del cancelliere Schleicher, mentre circolano le voci che sarà Hitler a ricevere lunedì, dal presidente della Repubblica Hindenburg, la nomina a cancelliere – fino alla testimonianza di Erich Maria Remarque, che dopo il successo e le polemiche suscitate dal suo romanzo Niente di nuovo sul fronte occidentale si è trasferito in Francia e che è tornato in Germania solo per questa occasione, tanto più che il suo editore è proprio chi organizza il ballo, Ullstein: la narrazione, che sgorga dalle fonti documentarie riportate nell’ampia bibliografia (nel caso di questo episodio: Zuckmayer, K. Wedekind e Remarque) diventa un insieme di quadri teatrali in successione, messi insieme in modo da imprimere alle pagine un ritmo avvincente e una concatenazione che ben si sposa con la prospettiva storica.
Questo avviene per tutti i capitoli, ma ‘l’allestimento teatrale’ – con luoghi di Berlino a fornire scenario e scenografia di grandi efficacia e potere evocativo, da Pariser Platz al Kurfürstendamm, da Charlottenburg a Wilmersdorf (quartieri cittadini) fino al carcere nella fortezza di Spandau e alle carceri segrete dove in quei giorni di febbraio militanti nella polizia ausiliaria a cui Göring aveva dato il potere di farlo torturarono e uccisero molti degli arrestati come dissidenti politici – raggiunge il suo apice nella giornata del 30 gennaio 1933, quando la stazione Anhalter (la “porta del sud”, la stazione ferroviaria dalla quale partivano i treni per Praga), quell’Anhalter Bahnhof ridotta a un cumulo di macerie negli ultimi giorni della seconda guerra mondiale, poco prima dell’entrata dell’Armata Rossa in città, diventa il centro di arrivi e partenze e, con questo, il centro di una tragedia che sembra rispettare le unità aristoteliche di tempo, di luogo, di azione.
Così, mentre si snodano le peripezie di fughe all’estero da un lato e le decisioni di restare dall’altro, nonostante tutto, a rischio della propria libertà e perfino della vita, chi legge si imbatte in molti dei componenti della famiglia Mann – Heinrich e colei che sarebbe divenuta poi sua moglie, Nelly Kröger; Thomas, premio Nobel per la letteratura nel 1929, e sua moglie Katia; Erika e Klaus, i loro figli più grandi, autori e attori; i giovanissimi figli di Thomas e Katia, Michael, tredicenne, ed Elizabeth, la figlia più piccola -, in Bertolt Brecht e sua moglie Helene Weigel, i loro figli Stefan e Barbara, l’amante di Brecht Margarete Steffin, nelle dispute tra Alfred Döblin e Gottfried Benn al dipartimento per la letteratura all’Accademia prussiana delle Arti. All’interno di quest’ultima, presieduta dal musicista Max von Schillings, compositore in crisi produttiva e dalle tendenze decisamente antisemite, si apre una panoramica sulle manovre di Schillings per forzare le dimissioni di Käthe Kollwitz e Heinrich Mann (all’epoca presidente della sezione letteratura dell’Accademia) in seguito alle richieste di Bernhard Rust, rivolte in maniera minacciosa dal suo nuovo posto di potere, in seguito alla firma di entrambi su un “Appello urgente” per la costituzione di un fronte comune SPD-KPD. In occasione della riunione di mercoledì 15 febbraio, riunione convocata in via straordinaria da Schillings, e in seguito a questa, narrata come una «bizzarra tragedia in cinque atti», chi legge scopre le diverse prese di posizione, tra gli opposti di Ricarda Huch, la «grande signora della letteratura tedesca», consapevole e decisa a difendere a tutti i costi l’indipendenza di scrittori e artisti, straordinariamente autonoma, seppur distante da qualsiasi agone pubblico, e del poeta Oskar Loerke, timoroso, con una eventuale fine dell’Accademia, di perdere il suo posto segretario della stessa e, con ciò, una delle sue principali fonti di reddito.
Else Lasker-Schüler, Ricarda Huch, Joseph Roth, Gottfried Benn, Alfred Döblin, Leonhard Frank, Carl Zuckmayer, Carl Sternheim, Hans Sahl, Hans Fallada, Erich Maria Remarque, Bertolt Brecht, Oskar Maria Graf, Erich Mühsam, Anna Seghers, Ina Seidel, Johannes R. Becher, Erich Kästner, Egon Erwin Kisch, Mascha Kaléko, Carl von Ossietzky, Georg Kaiser, Ernst Toller, Manès Sperber, i Mann, Heinrich, Thomas, Erika, Klaus, appaiono insieme a editori, registi, giornaliste e giornalisti come Gabriele Tergit, Theodor Wolff, autori satirici come Alexander Roda Roda, attrici come Helene Weigel e Therese Giehse, attori (e direttori artistici) come Gustav Hartung, artisti figurativi come Käthe Kollwitz e Georg Grosz, filosofi come Ernst Bloch, architetti come Martin Wagner e Hans Poelzig. Tra le mogli e compagne, spicca, tra paura e coraggio in esplosiva coabitazione, Mirjam Sachs, cugina della scrittrice Nelly Sachs, che si rifiuta di seguire all’estero il suo compagno Oskar Maria Graf prima del 5 marzo, data delle elezioni. Vuole prima votare. Quei diciassette giorni di terrore, trascorsi in solitudine e in attesa del peggio, saranno una ferita insanabile. Quando arriverà alla stazione di Vienna, al Westbahnhof, Graf dovrà salire sul treno per convincerla a scendere.
Ogni capitolo si chiude con un bollettino relativo ai morti in agguati, disordini, manifestazioni, così come su contagi e vittime per l’influenza spagnola.
Sorprende, nell’incalzare degli eventi e nelle reazioni dei singoli, alcune coraggiose, altre ciecamente attaccate a illusioni e privilegi, l’attualità di un periodo la cui conoscenza è troppo spesso ignorata. A questo proposito è illuminante la citazione da Tzvetan Todorov, che Wittstock pone in esergo alla sua Postfazione:
La memoria del passato non servirà a nulla se verrà usata per alzare un muro insormontabile tra noi e il male, per identificarci esclusivamente con gli eroi incolpevoli e le vittime innocenti, e per escludere gli agenti del male dalla sfera dell’umanità. Di solito, tuttavia, è proprio questo che facciamo.
Se in primo piano non ci sono gli eventi politici, bensì gli effetti che questi hanno avuto sulle singole persone, sulle loro esistenze, questo non attenua, bensì, al contrario, rafforza la convinzione circa il legame insopprimibile tra l’individuo e la Storia. Se «l’inferno è al potere», come Joseph Roth scrive a Stefan Zweig, guardare in volto la Storia, come decidono di fare, per esempio, tre donne menzionate nel libro, Ricarda Huch, Mirjam Sachs e Gabriele Tergit – quest’ultima lo dichiara esplicitamente – costa coraggio e richiede un prezzo altissimo, ivi compresa la consapevolezza, come ebbe più tardi a dichiarare Heinz Czechowski, che: «Non ho fatto la storia, è stata la storia a fare me», sopravvissuto, a dieci anni, all’inferno di Dresda, sempre a febbraio, ma nel 1945, sotto le bombe della catastrofe già annunciata e dispiegata nel febbraio 1933.
©Anna Maria Curci
Il libro è stato presentato il 12 novembre 2023 nell’ambito dell’iniziativa “Aperitivo con libro”