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Patrizia Rinaldi, MA GIA’ PRIMA DI GIUGNO, edizioni e/o, 2015
Alla lettura del romanzo Ma già prima di giugno, di Patrizia Rinaldi, non si può restare indifferenti.
La cosa che colpisce fin dalle prime pagine è il linguaggio: una prosa secca, asciutta, ma capace di staffilate improvvise, un linguaggio letterario sapiente, che trasmette l’ansia delle due protagoniste di raccontarsi, di far sentire ad altri il proprio dolore, ma, allo stesso tempo, di gridare la testarda tenacia nel voler vivere appieno tutto ciò che il destino ha in serbo per loro.
Patrizia Rinaldi sceglie di raccontare la vita di due donne, una madre e sua figlia. Ci spiega lei stessa in una nota la struttura del romanzo: si tratta di due percorsi paralleli che si troveranno a convergere e a raccordarsi solo nelle ultime pagine.
Le storie narrate sono diverse: Maria Antonia, la madre, ha vissuto sulla sua pelle gli orrori della guerra, è fuggita da Spalato, ha perso il marito nelle foibe, ha visto partire i suoi fratelli per i campi di lavoro. Quello che la tiene in vita, che la spinge a combattere è la voglia di riscatto, il desiderio di prendersi quello che la vita le ha negato. Bella e sfacciata, dà scandalo, mentre sfida la miseria. Si conquisterà in età avanzata l’amore di un giovane studente e dal loro rapporto nascerà Ena, la seconda protagonista del romanzo.
Mentre la storia di Maria Antonia viene raccontata in terza persona, è Ena stessa ormai anziana a descrivere la sua realtà.È confinata in un letto e il suo mondo è limitato alla stanza dove è immobilizzata. La assiste una giovane slava, che Ena chiama sprezzantemente Abbadessa. Il rapporto delle due donne è un difficile continuo scontro. La sfrontatezza di Ena sfida la morte, la sfida parlando di sesso, del suo corpo che si disfa giorno dopo giorno; Ena rifiuta gli atteggiamenti più comuni in una anziana per scegliere di sbeffeggiare tutti, compresa se stessa e il suo destino. Le fa da contrappunto il silenzio ostinato della ragazza, che tenta di mantenere un rapporto distaccato con la malattia, pronunciando il minimo indispensabile di parole, generando regole di vita e chiudendosi in un guscio protettivo.
Ci sono molte altre figure femminili nel racconto. Oltre Maria Antonia, Ena e l’Abbadessa compaiono una Monaca, la portinaia e altre; in particolare Giuseppina, amica di infanzia di Ena, che ormai parla a malapena: proprio lei assisterà alla sua fine e la vivrà come un tradimento.
Nell’ombra, appena tratteggiate, le figure maschili, che, una volta chiuso il libro, si dimenticano.
Il romanzo di Patrizia Rinaldi è storia di donne. Sono donne forti e decise, che hanno il coraggio di tradire i ruoli che la vita ha loro assegnato e guardano in faccia il destino, quando non lo conoscono e lo sfidano e quando lo conoscono e lo sfidano ugualmente. Il femminile che c’è in queste pagine è vario, ma pieno di forza e di speranza per il futuro, è un femminile che non si arrende, che combatte quando vince e quando perde, non facendosi inutili domande, vivendo giornata dopo giornata senza ripensamenti, con una decisione che nulla scalfisce. Perché “vivere vale la pena!”
Un bel romanzo, da leggere e rileggere per afferrare veramente tutto quanto, scritto o sotteso, ci racconta Patrizia Rinaldi.
© Sandra L. Rebecchi
Ma già prima di giugno è un altro esempio della scrittura calda, avvolgente, appassionata e passionale di Patrizia Rinaldi.
Nel delineare i tratti delle due protagoniste, la madre Maria Antonia da giovane e la figlia Ena da vecchia, l’autrice crea due personalità diametralmente opposte, dotate entrambe di realismo, ma in modo diverso.
Le storie proseguono parallelamente, una nel passato e l’altra nel presente, una in terza persona, l’altra in prima. La figlia è sempre stata un po’ vecchia in fondo, mentre la madre non invecchierà nello spirito mai. Eppure si è dovuta confrontare con gli orrori e la miseria della guerra, ma forse proprio per questo è tenacemente attaccata alla vita, anche se con la vita è arrabbiata. “Troppo selvatica per morire” la definisce il marito Augusto, che non tornerà più dal fronte.
Nell’attesa sfibrante di sue notizie certe, Maria Antonia è preda di sentimenti oscillanti, vorrebbe credere in un ritorno, ma la ragione le suggerisce di non coltivare speranze impossibili. Lo sogna vivo sapendo, in cuor suo, che è morto.
Con poche nitide parole, l’autrice ci fa vedere Maria Antonia di fronte alla crudele verità: “un altro pezzo di lei era diventato pietra”. Nonostante tutto, rimasta sola, si rialza, lotta e raggiunge i suoi obiettivi.
La figura di Ena, alla vivacità della madre, contrappone il cinismo di chi non si aspetta nulla. Forzata a letto da una seria frattura, ha un immaginario appuntamento con la morte per giugno e intanto ricorda e commenta aspra, provocatoria e disincantata.
Tuttavia, qua e là, la vediamo cedere alla tenerezza, ma è una tenerezza che preferisce tenere per sé. Verso il figlio, ad esempio: “vorrei dirgli che lo amo perdutamente, nel modo sbagliato di una qualsiasi Filomena”. Verso l’amica di una vita, Giuseppina. E verso la sorella che non c’è più.
La storia di Maria Antonia si chiude con la nascita di Ena, quella di Ena con la propria morte.
Mirabile quadratura del cerchio.
© Laura Vazzana
Qui la mia lettura di Ma già prima di giugno.