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Stefan Andres, Il melograno

26 domenica Giu 2016

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, anniversari, Poesia, Traduzioni

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Anna Maria Curci, Bacchelli, Il melograno, Piper, Poesia, Stefan Andres, traduzioni

Andres_Granatapfel_Titelblatt

110 anni fa nasceva Stefan Andres, scrittore ingiustamente dimenticato e attualmente poco conosciuto in Italia, nonostante avesse scelto il nostro paese come luogo di residenza (Andres, morto a Roma il 29 giugno 1970, è sepolto nel Campo Santo Teutonico), nonostante, tra l’altro, avesse tradotto già nel 1953, Il mulino del Po di Bacchelli. Per ricordarlo, riporto qui di seguito, nella mia traduzione e nell’originale, la poesia che dà il titolo alla raccolta del 1950. (Anna Maria Curci)

Il melograno

Il melograno
Nel quale stavamo seduti,
Semi lucenti:
Si è spaccato – La crepa aperta
Nella guancia rossa
Era per molti una bocca sorridente….
Noi invece sentivamo la ferita
Del tempo d’autunno
Prima ancora che il pomo, cresciuto secondo la sua legge,
Cadesse
E rotolasse
E ci perdesse.
Uccelli ci portarono nel becco e nello stomaco
Fin nell’ignoto,
E i topi da nessuna parte,
Nei buchi dove non c’è niente

Stefan Andres
(traduzione di Anna Maria Curci)

Der Granatapfel

Der Granatapfel,
Darin wir saßen,
Schimmernde Kerne::
Er barst – Des Öffnens Spalt
In der roten Wange
War vielen ein lächelnder Mund…
Wir aber spürten die Wunde
Der herbstlichen Zeit,
Eh noch der Apfel, gewachsen nach seinem Gesetz,
Fiel
Und rollte
Und uns verlor.
Vögel trugen uns in Schnäbeln und Mägen
Ins Unbekannte,
Und Mäuse ins Nirgendwo,
In die Löcher, wo nichts ist

Stefan Andres
(da: Der Granatapfel. Oden, Gedichte, Sonette, Piper, München 1950)

Letture a due voci, 2: Claudio Pescetelli, Roma Beat

06 mercoledì Gen 2016

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Laura Vazzana, Musica, Prosa, Recensioni, Rubriche, Storia

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Anna Maria Curci, Beat, Beatles, Claudio Pescetelli, golpe Borghese, Il vicario, Laura Vazzana, Letture a due voci, musica, Per le strade di Roma, Piper, Poetarum Silva, prosa, recensioni, Rolf Hochhuth, rubriche, storia, Teatro Adriano, teatro off, underground

ROMA BEAT - copertina prima

Claudio Pescetelli, Roma Beat, Zona editrice 2015

Con il suo libro “Roma Beat”, Claudio Pescetelli ha scritto pagine della storia d’Italia. Una storia piuttosto recente, per molto tempo trascurata, come spesso avviene con le cose a portata di mano. Qui non si parla della grande America, si parla di Roma, di come Roma, negli anni ’60, ha rivisitato e vissuto a modo suo stimoli creativi e culturali, offrendoli a un vasto pubblico. Di giovani, naturalmente, perché i giovani rappresentano da sempre la parte ricettiva della società.

Noi che eravamo bambini o ragazzi negli anni ’60 non possiamo non provare un senso di nostalgia, non possiamo non aver conosciuto direttamente o indirettamente una bella fetta dei nomi citati con grande cura e studio dall’autore, degli artisti, come pure dei locali. Che spesso erano locali per modo di dire. Mentre gli artisti neanche si immaginava che, alla distanza, avrebbero costituito capitoli importanti della musica rock italiana.  Prendo ad esempio il mitico Renato Zero. Ora è riconosciuto universalmente un grande, uno che ha ancora molto da dire, i cui concerti sono autentici spettacoli, allora si notava perché era un personaggio e proprio per questo non aveva vita facile.

Per i ragazzi di oggi la lettura di “Roma Beat” è utile e istruttiva perché riporta dettagliatamente il clima particolare di voglia di sperimentare che abbracciava le nuove generazioni, pure se in un momento storico in cui il cosiddetto ‘gap’ con gli adulti era davvero profondo. Eppure, nei condomini, non erano rare le cantine allestite a salette per suonare, insonorizzate alla meglio con le scatole delle uova. Chi poteva, metteva i soldi da parte per comprarsi una chitarra. Si suonava sul prato con gli amici, cercando gli accordi giusti, imitando gli artisti veri.

Con l’aderenza al reale dello storico, l’autore non trascura, tuttavia, di mettere in evidenza come, nonostante gli slogan sulla pace gridati con forza, cominciasse purtroppo ad aprirsi un varco anche il lato buio del cambiamento.

©Laura Vazzana

Immaginate di poter proseguire, attraverso la lettura di un libro, una conversazione che avete iniziato, appena ventenni, con un amico. Quella conversazione, come avveniva spesso, verteva sui ricordi, ancora molto freschi, che provenivano dai banchi di scuola. Immaginate che quella scuola di cui vi raccontava l’amico sia la scuola nella quale insegnate da tanti anni. Immaginate di aver conosciuto e apprezzato, come colleghi, alcuni dei professori del vostro amico. Immaginate, ancora, che quella conversazione, che partiva dai banchi di scuola, si allargasse immediatamente alle passioni comuni, o meglio “alla” passione per eccellenza, quella per la musica, quella che vi spingeva, tra l’altro, a trascorrere la domenica mattina nella galleria semibuia che collega Piazzale della Radio con il dispiego di colori delle bancarelle di Porta Portese. A far cosa? Ma a scambiare vinili, sfiancati dall’ascolto e sempre inseguiti e curati, a cos’altro?  La passione per la musica che vi faceva sussurrare o gridare (a mo’ di quel “Klopstock” pronunciato ne I dolori del giovane Werther) il nome di gruppi sentiti come propri grazie al piacere della ricerca e della scoperta. Immaginate di leggere Roma Beat di Claudio Pescetelli e trovare, ampliato e amplificato, con un suono nitido, il tono familiare e sempre nuovo di quella conversazione. Se immaginate tutto questo, comprenderete la gioia nel percorrere questo “ponte della musica” visionario e tuttavia assai concreto. Roma Beat è una cronaca appassionata e documentata fin nel minimo dettaglio non solo della scena underground, dell’universo beat a Roma, dal 13 febbraio 1965 all’11 ottobre 1970, ma anche del contesto sociale e politico in cui si muovono i giovani che danno vita in quegli anni a locali, concerti, teatri e cinema off. Non troverete soltanto notizie – una fucina pressoché inesauribile, comunque – sulla storia dell’apertura del Piper e sulla prima volta dei Beatles a Roma, per la precisione al Teatro Adriano, ma anche particolari e testimonianze su soffiate di quotidiani della capitale, sgomberi e fermi in occasione della prova generale della pièce di Hochhuth, Il vicario,  opera e operazione che scatenarono rumorosissime polemiche e sordi interventi di censura, sui “capelloni”  che stazionavano sulla scalinata di Trinità dei Monti, tenuti a distanza e perfino temuti dai benpensanti, i quali reclamavano a gran voce l’intervento della polizia, su manifestazioni e repressioni, su proteste e pacifismo, sulla guerra del Vietnam, sui depistaggi dei servizi segreti sulla strage di piazza Fontana, sui preparativi del golpe di Junio Valerio Borghese.

“Se vuoi, dai voce alla storia”, scrivevo qualche anno fa a Berlino, in occasione dei 50 anni dalla costruzione del muro.  In Roma Beat Claudio Pescetelli ha dato voce alla storia, con la cronaca di un cambiamento epocale che si è manifestato in particolare attraverso la musica e la sua ricezione.*

© Anna Maria Curci

CLAUDIO PESCETELLI è nato nel 1960 a Roma, dove vive. Appassionato e studioso degli anni sessanta e settanta, alle culture e alla musica di quegli anni dal 1991 ha dedicato le fanzine Born Loser e Mondo Capellone. Ha sinora pubblicato otto libri, sei di argomento musicale – Ciglia ribelli (I libri del Mondo Capellone, 2003), Una generazione piena di complessi (Zona Editrice, 2006), i tre volumi di Nudi & crudi (I libri del Mondo Capellone, 2010, 2011 e 2012) e Lo stivale è marcio (Rave Up Books, 2013) – e due romanzi, Le tribù (Zona Editrice, 2009) e Strada statale (I libri del Mondo Capellone, 2011).Ha disegnato copertine di dischi per i gruppi The Garbages e The Others, e collaborato con le riviste Bassa Fedeltà, Misty Lane, Vintage e Jamboree.

*la lettura di Anna Maria Curci è apparsa in anteprima su Poetarum Silva, qui

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