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Rosa Luxemburg, nel tempo, oggi

15 martedì Gen 2019

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Anna Maria Curci, Karl Liebknecht, letture, Maxie Wander, memoria, Rosa Luxemburg, storia, traduzioni

«La libertà solo per i sostenitori del governo, solo per i membri di un partito – per quanto numerosi possano essere – non è libertà. La libertà è sempre libertà di chi pensa diversamente». (Rosa Luxemburg:”Freiheit nur für die Anhänger der Regierung, nur für die Mitglieder einer Partei – mögen sie noch so zahlreich sein – ist keine Freiheit. Freiheit ist immer Freiheit des Andersdenkenden.”)

Questo è vero, e lo è con un discreto grado di esattezza, per ciò che riguarda le debolezze della società. Di ogni società. Questa storia dell’io e del suo giocare a fare effetto – perché non è cresciuto! Questa brama cieca di fare colpo sempre e dappertutto, di pretendere lodi e di parlare sempre degli stessi successi. Solo se ci confrontiamo quotidianamente con le contraddizioni della vita le nostre forze possono crescere, la società può rimanere viva. Ed ecco qui la frase che ho trovato in Rosa Luxemburg, che porto con me e che mando a tutti i nostri amici: «Solo una vita non repressa e spumeggiante perviene a mille forme nuove, a improvvisazioni, ottiene forza creatrice, corregge da sola tutti i propri sbagli. Per questo la vita pubblica degli stati a libertà limitata è così misera, così disagiata, così schematica, così arida, perché escludendo la democrazia si preclude le fonti viventi di ogni ricchezza, di ogni progresso spirituale!»
(da: Maxie Wander, Ein Leben ist nicht genug. Tagebuchaufzeichnungen und Briefe – “Una vita non è abbastanza. Diari e lettere” – a cura e con una premessa di Fred Wander, Frankfurt 1990; la traduzione del brano è di Anna Maria Curci)

100 anni fa, il 15 gennaio 1919, Rosa Luxemburg fu rapita e, insieme a Karl Liebknecht, uccisa da ufficiali della Garde-Kavallerie-Schützen-Division. Dal carcere di Berlino nella Barnimstraße aveva scritto a Sonja Liebknecht il 5 agosto 1916: «Bleiben Sie tapfer und lassen Sie sich nicht niederdrücken», «Rimanga coraggiosa e non si faccia buttar giù». Raccolgo oggi, per tutti i giorni, l’invito di Rosa Luxemburg.

Nelly Sachs, Coro dei salvati

27 mercoledì Gen 2016

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Anna Maria Curci, memoria, Nelly Sachs, Poesia, traduzione

Nelly_Sachs

Scrivevo tre anni fa, e riconfermo ogni parola:

«Per questa Giornata della Memoria, 27 gennaio 2013, ho scelto di tradurre Chor der Geretteten, che Nelly Sachs, premio Nobel per la letteratura, scrisse nel 1946. La poesia fu pubblicata l’anno successivo, nel ciclo di poesie Aus den Wohnungen des Todes (Dalle dimore della morte).
Mentre leggo e scrivo, rivedo i volti di Andra e Tatiana Bucci, di Sami Modiano, riascolto le loro voci, sento Piero Terracina che dice “Noi stiamo lottando perché il male assoluto diventi bene assoluto”, torno con il pensiero al momento in cui in classe abbiamo percorso i versi della poesia, alle reazioni degli studenti, a questa poesia e aTodesfuge di Paul Celan, alle pagine da I sommersi e i salvati di Primo Levi, da Intellettuale ad Auschwitz di Jean Améry, da Sonderkommando Auschwitz di Shlomo Venezia.Penso alla testimonianza che le studentesse che hanno preso parte al Viaggio della Memoria nell’ottobre 2012 hanno preparato per l’incontro di questa mattina a scuola e mi dico che tutto ciò è, come scrive Nelly Sachs, “a voce bassa”, ma è una risposta continua, ferma, ai latrati della morte e della negazione che rimbombano e provano, ancora oggi, ogni giorno, a far brandelli della memoria». (Anna Maria Curci)


Chor der Geretteten

Wir Geretteten,
Aus deren hohlem Gebein der Tod schon seine Flöten schnitt,
An deren Sehnen der Tod schon seine Bogen strich –
Unsere Leiber klagen noch nach
Mit ihrer verstümmelten Musik.
Wir Geretteten,
Immer noch hängen die Schlingen für unsere Hälse gedreht
Vor uns in der blauen Luft –
Immer noch füllen sich die Stundenuhren mit unserem tropfenden Blut.

Wir Geretteten,
Immer noch essen an uns die Würmer der Angst.
Unser Gestirn ist vergraben im Staub.
Wir Geretteten
Bitten euch:
Zeigt uns langsam eure Sonne.
Führt uns von Stern zu Stern im Schritt.
Laßt uns das Leben leise wieder lernen.
Es könnte sonst eines Vogels Lied,
Das Füllen des Eimers am Brunnen
Unseren schlecht versiegelten Schmerz aufbrechen lassen
Und uns wegschäumen –

Wir bitten euch:
Zeigt uns noch nicht einen beißenden Hund –
Es könnte sein, es könnte sein
Dass wir zu Staub zerfallen –
Vor euren Augen zerfallen in Staub.
Was hält denn unsere Webe zusammen?
Wir odemlos gewordene,
Deren Seele zu Ihm floh aus der Mitternacht
Lange bevor man unseren Leib rettete
In die Arche des Augenblicks.
Wir Geretteten,
Wir drücken eure Hand,
Wir erkennen euer Auge –
Aber zusammen hält uns nur noch der Abschied,
Der Abschied im Staub
Hält uns mit euch zusammen.

Nelly Sachs
Dal ciclo di poesie In den Wohnungen des Todes (Nelle dimore della morte), Aufbau Verlag, Berlin1947.

Coro dei salvati

Noi salvati,
Dalle cui ossa cave la morte ha già intagliato i suoi flauti,
Sui cui tendini la morte ha già fatto scorrere i suoi archetti –
Risuona ancora il lamento dei nostri corpi
Con la loro musica mutilata.
Noi salvati,
Pendono ancora i cappi ritorti per le nostre gole
Dinanzi a noi nell’aria azzurra –
Ancora le clessidre si riempiono del nostro sangue stillante.

Noi salvati
Ancora si cibano di noi i vermi dell’angoscia
La nostra stella è sepolta nella polvere.
Noi salvati
Vi chiediamo:
Mostrateci pian piano il vostro sole.
Di stella in stella riportateci al passo
Fateci apprendere di nuovo, a voce bassa, la vita.
Potrebbe darsi, altrimenti, che il canto di un uccello,
Il secchio che al pozzo si riempie
Forzino il nostro dolore sigillato malamente
E come schiuma ci spazzino via-

Vi chiediamo:
Non ci mostrate ancora un cane che morde –
Potrebbe darsi, potrebbe darsi
Che polvere diventiamo –
Dinanzi ai vostri occhi ci disfiamo in polvere.
Che cosa tiene insieme la nostra tela?
Noi divenuti senza respiro,
La cui anima volò a Lui dalla mezzanotte
Molto tempo prima che portassero in salvo il nostro corpo
Nell’arca dell’attimo.
Noi salvati
Vi stringiamo la mano,
Riconosciamo il vostro occhio –
Ma insieme ci tiene ancora soltanto il distacco,
Il distacco nella polvere
Ci tiene uniti a voi.

Nelly Sachs
(traduzione di Anna Maria Curci)

Christa Wolf, a 86 anni dalla nascita

18 mercoledì Mar 2015

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Memoria, Poesia, Storia

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Anna Maria Curci, Christa Wolf, Karoline von Günderrode, memoria, Poesia, storia

Christa Wolf in occasione della manifestazione del 4 novembre 1989. Berlino, Alexanderplatz. Bundesarchiv

Christa Wolf in occasione della manifestazione del 4 novembre 1989. Berlino, Alexanderplatz. Bundesarchiv

86 anni fa, il 18 marzo 1929, nasceva a Landsberg an der Warthe (oggi Gorzow Wielkopolsky) Christa Wolf. Voglio ricordarla con due suoi brevi testi, la poesia  Prinzip Hoffnung (Principio speranza) e un brano tratto da Der Schatten eines Traumes (L’ombra di un sogno), il saggio che scrisse per l’edizione delle poesie di Karoline von Günderrode, che pubblico qui nell’originale e nella mia traduzione.

Prinzip Hoffnung

Genagelt
ans Kreuz der Vergangenheit
Jede Bewegung
treibt
die Nägel
ins Fleisch.

Principio speranza

Inchiodato
alla croce del passato
Ogni movimento
spinge
i chiodi
nella carne.

Christa Wolf
(traduzione di Anna Maria Curci)

*

«Ein zerrissenes, politisch unreifes und schwer zu bewegendes, doch leicht verführbares Volk, dem technischen Fortschritt anhängend statt dem der Humanität, leistet sich ein Massengrab des Vergessens für jene zu früh zugrunde Gegangenenen, jene unerwünschten Zeugen erwürgter Sehnsüchte und Ängste.»

«Un popolo dilaniato, politicamente immaturo, difficile da smuovere, eppure facile da sedurre, attaccato al progresso tecnologico invece che al sentimento di umanità, si permette una fossa comune dell’oblio per coloro che sono andati a fondo precocemente, per quei testimoni indesiderati di aneliti e paure soffocati.»

Christa Wolf (da: Christa Wolf, Der Schatten eines Traums, in: Karoline von Günderrode. Einstens lebt ich süßes Leben. Gedichte – Prosa – Briefe. Herausgegeben von Christa Wolf, Insel Verlag 2006, p. 14)

24 ottobre 2012, 24 ottobre 2013

24 giovedì Ott 2013

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Andra Bucci, Anna Maria Curci, memoria, Sami Modiano, Shlomo Venezia, Sonderkommando Auschwitz, Tatiana Bucci

Dedica di Tatiana e Andra Bucci, le 'bambine' di Fiume, sulla mia copia del libro di Shlomo Venezia, Sonderkommando Auschwitz

Dedica di Tatiana e Andra Bucci, le ‘bambine’ di Fiume, sulla mia copia del libro di Shlomo Venezia, Sonderkommando Auschwitz

 

Oggi, 24 ottobre 2013, durante la visita al Tempio Maggiore, al Museo e al Quartiere ebraico di Roma, ricordavo con i miei studenti un anno fa, a Birkenau e Auschwitz. Ecco i ricordi di quel giorno.

Birkenau, 24 ottobre 2012, mattina

Vento freddo. Leggo la desolazione sui volti degli studenti assorti. Qualcuno di loro userà, poi, l’aggettivo ‘devastante’. Sami Modiano racconta sulla Bahnrampe a Birkenau, noi siamo seduti sui binari; ci spostiamo sulle rovine del Krematorium II, fatto saltare dai nazisti prima di abbandonare il “centro della morte”, come lo definiva lo storico Raul Hilberg. Qui Shlomo Venezia, ebreo di Salonicco, deportato e sopravvissuto, rievocava l’orrore, con la sua voce pacata, monocorde e ferma, di fronte ma distante dal Krematorium III, doveva aveva fatto parte del Sonderkommando. Sulle rovine del Krematorium II, nella preghiera in ebraico per Shlomo Venezia, morto qualche settimana fa, colgo la parola Shekinah, la parola-tenda, Zeltwort, come la definiva Paul Celan. Cerco di aggrapparmi a quella parola. Non è semplice, ora.
Tatiana e Andra Bucci raccontano dinanzi alla baracca dei bambini, che le ha ospitate, delle loro corse tra cumuli di cadaveri insieme agli altri piccoli compagni in attesa di essere sottoposti agli esperimenti di Mengele. Essere state prese per gemelle, nonostante i due anni di differenza, le ha ‘salvate’. Non si è salvato invece il cuginetto Sergio De Simone, ebreo napoletano. La zia Gisella, sorella della madre di Andra e Tatiana, aveva pensato di trovare scampo a Fiume, in fuga da Napoli, che pochi giorni dopo la sua partenza fu liberata. Quando raccontano la storia di Sergio, il suo passo avanti alla domanda: “Chi vuole tornare dalla sua mamma?”, le torture alle quali fu sottoposto, lui, nel gruppo di dieci bambini e dieci bambine selezionati da Mengele per essere inviati al campo di Neuengamme (i bambini del ‘Bullenhuser Damm’), la morte atroce il 20 aprile 1945 nella scuola di Amburgo, il nostro pianto in piedi non si ferma.

Birkenau, 24 ottobre 2012

Il vento non serpeggia, il vento attizza
l’abbaiare di voci e pastori tedeschi.

La voce ferma e tremante di Sami
non pronuncia il nome, ma «links!» e «rechts!»,
spartiti per straziare corpi e storie.

Al crematorio due, al lato opposto
del suo Sonderkommando, il suo ricordo:
dov’era, Shlomo, ai giorni, Shekinah?

Di fronte alla baracca dei bambini
Andra e Tatiana parlano di Sergio,
del passo avanti e l’orrore di Amburgo.

Non sediamo sui fiumi a Babilonia,
ma il nostro pianto è in piedi e scuote il vento.

Anna Maria Curci*
Roma, 26 ottobre 2012

Auschwitz, 24 ottobre 2012, pomeriggio

La guida italofona, Michele, parla a voce bassa. Tanto più precisamente si imprimeranno in noi le sue parole. Ci mostra il blocco 11 con le Strafzellen, le celle di punizione, anguste, soffocanti, così volute perché la pena fosse insostenibile. Penso a Jean Améry, al suo Jenseits von Schuld und Sühne, letteralmente: “Al di là della colpa e dell’espiazione”, tradotto in italiano con il titolo Intellettuale ad Auschwitz. Davanti alla Strafzelle n. 18, il “bunker della fame”, mi fermo: lì, dove arde un cero, padre Kolbe fu assassinato con una iniezione di fenolo. Per giorni, da lui e dagli altri rinchiusi con lui perché morissero di fame, si erano levati canti e preghiere. Il 14 agosto 1941 erano in quattro a essere sopravvissuti, padre Kolbe l’unico cosciente.
Poi le foto di famiglia, la montagna di scarpe e i capelli (dein aschenes Haar Sulamith: ma Todesfuge di Paul Celan è sempre con me).
Chiedo a Michele dove è morta Edith Stein il 9 agosto 1942. Michele mi spiega che è stata uccisa in uno dei due bunker di Birkenau, le camere della morte prima della costruzione dei crematori. Nessuno sa, tuttavia, quale dei due bunker sia stata la sua camera a gas. Penso al passaggio della canzone di Juri Camisasca, Il carmelo di Echt: “Dove sarà Edith Stein?” Uno studente di religione ebraica, Andrea, che è nel nostro gruppo e con il quale abbiamo già scambiato qualche frase – mi ha sentito parlare con le mie studentesse di musica e si è incuriosito – mi chiede: “Ma chi era Edith Stein?”. Provo a spiegarglielo, Andrea ascolta attento, prende nota sul suo inseparabile quaderno di appunti elettronico. Allora capisco la frase di Sami Modiano: “Per tanti anni mi sono chiesto perché mi fossi salvato, perché la morte mi avesse rifiutato. Ora lo so: era perché potessi parlare con voi, ragazzi”.

® Anna Maria Curci, 23 -27 ottobre 2012
__________________________________________________________________

* un ringraziamento a Fabio Michieli per la lettura critica di Birkenau, 24 ottobre 2012

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