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Letture a due voci, 5: Sandra Luigia Rebecchi, E adesso statemi a sentire

25 venerdì Mar 2016

Posted by letteremigranti in Brunella Bassetti, Laura Vazzana, Letture a due voci, Memoria, Romanzi, Rubriche, Sandra L. Rebecchi

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Alzheimer, Brunella Bassetti, Fondazione Paolo Procacci, Laura Vazzana, Letture a due voci, Nulla Die editore, recensioni, romanzi, rubriche, Sandra Luigia Rebecchi

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Sandra Luigia Rebecchi, E adesso statemi a sentire (Editore: Nulla Die, 2015, Collana: Lego/Narrativa. Brossura, Pagine 191-Prezzo € 18,00, ISBN 978-88-6)

 

        “Ognuno ha il proprio passato chiuso dentro di sé come le pagine di un libro imparato a memoria e di cui gli amici possono solo leggere il titolo” (Virginia Woolf)

 

         Questa potrebbe essere la definizione letteraria per descrivere le persone colpite dalla patologia dell’Alzheimer. Questa malattia, più di tante altre, costituisce per la scienza medica ancora un mistero e per i familiari un tabù nonostante si cerchi, da alcuni anni, di focalizzare sempre più l’attenzione e la cura sulla persona piuttosto che sul malato. Ciò che la rende diversa dalle altre patologie è il particolare tipo di rapporto che si crea tra malato e familiari. Tutti i sentimenti sino allora sperimentati vengono accantonati, messi a tacere e paiono poca cosa: è una nuova relazione quella che s’instaura basata soprattutto, paradossalmente, sulla donazione e conoscenza reciproca. Il malato esige (o ha diritto) di sentirsi ancora amato e ancora voluto. È una persona, una vita intera a essere imprigionata in una mente colpita dall’oblio e da un corpo colpito da corti circuiti.

         E la sofferenza (quella propria dei caregivers) diventa un’esperienza in cui il dolore non è più un problema da risolvere o che fa orrore ma un “mistero da vivere e condividere” insieme. È un percorso lungo, difficile che quando non trova completa soluzione nell’approccio medico diventa una sfida per la ragione e per la fede. Bisogna continuare ad amarli con la compassione che nasce dall’amore e non dal nostro timore. E allora, quale strada seguire per star loro vicino? Lasciarsi pervadere dalle emozioni: sperimentarle, provarle, viverle fino in fondo anche se fanno male.

         Raccontare, narrare questa patologia è possibile? È possibile – per chi scrive – raccontare con obiettività, lucidità e tenerezza quella particolare situazione che ha vissuto in prima persona? Ci prova Sandra Luigia Rebecchi nel suo interessante (da più punti di vista) romanzo E adesso statemi a sentire, una storia di fantasia che parte da una situazione autobiografica per approdare, in alcuni punti, alla Narrative Based Medicine.

         La storia di Rina che si racconta in prima persona mentre la sua malattia progredisce inesorabilmente rappresenta la triste realtà della sua patologia ma anche la metafora della nostra malattia: il rapporto ambiguo e, spesso, ambivalente che abbiamo nei confronti della nostra vita, delle nostre scelte, dei nostri ricordi. La scrittura piana e, nello stesso tempo, profonda; l’uso ripetitivo e continuato di domande accompagna il lettore in questo dramma familiare riuscendo (e, forse, questo è il maggior pregio che riconosciamo) a creare un’atmosfera di coinvolgimento e di straniamento. Leggiamo, pensiamo, riflettiamo, ricordiamo, ci commuoviamo e ci allontaniamo perché sappiamo e riusciamo a percepire che, a volte, soltanto il Dolore ci permette di conoscere l’abisso più profondo del nostro essere.

         “Senza di lei e senza la sua malattia, non avrei potuto conoscere alcune realtà, non avrei potuto vivere in profondità alcuni sentimenti” (pag. 190).

(Molto apprezzabile anche la bibliografia di riferimento).

© Brunella Bassetti, Fondazione Paolo Procacci

Il libro E adesso statemi a sentire di Sandra Rebecchi si avventura con coraggio nel terreno misterioso e poco esplorato in letteratura della malattia di Alzheimer. Ma non solo. Io estenderei questa considerazione alla vecchiaia in generale. Altro argomento di cui non sembra politicamente corretto parlare o scrivere, in una società come la nostra in cui bisogna essere giovani, belli e in salute perché solo così si può tenere il ritmo frenetico che domina la vita moderna.

Sandra Rebecchi scopre con il dovuto rispetto il mondo lento degli anziani ed è davvero una novità. Ne mette in risalto la ricchezza interiore, il vissuto pieno di esperienze spesso difficili, di ostacoli da superare, l’umanità, l’abbandono di sovrastrutture ipocrite, la spontaneità.

Il lettore segue pagina dopo pagina l’evolversi della malattia di Rina, amorevolmente accudita dalle figlie, che con paziente dolcezza la stanno a sentire, come recita il titolo dell’opera, e la comprendono. I ruoli si sono invertiti ma il filo del sentimento profondo tra loro non si è spezzato. E di amore nel libro ce n’è tanto. Rina stessa ha amato tanto nella vita e ama ancora. Non riesce più a parlare del bene che prova, ma lo prova. La mente non va più di pari passo con il cuore e si perde a rincorrere episodi di un passato lontano che tornano nitidi. Il fisico sta cedendo ma la stanchezza prevarrà sulla voglia di vivere solo dopo un’ultima definitiva lotta.

La dedizione dei familiari è il mezzo attraverso il quale Rina rimane fino all’ultimo giorno una persona. Articola a stento le parole, non ricorda le cose più semplici, cosa ha fatto, cosa ha mangiato, non riconosce la casa, ma conserva la dignità. Questo è ciò di cui spesso ci si dimentica.

Un anziano, anche se è malato, ha vissuto, porta dentro un bagaglio personale immenso, ha creato, ha dato e resta uno di noi, fa parte della nostra famiglia e ha ancora insegnamenti preziosi per noi, se abbiamo la delicatezza d’animo per coglierli.

Fino al suo ultimo respiro.

Grazie a Sandra Rebecchi per l’implicito delicato monito a non trascurare fino alla fine il tesoro inestimabile rappresentato dai nostri ‘vecchi’.

© Laura Vazzana

Letture a due voci, 4: Mauro Valentini, Cianuro a San Lorenzo

03 mercoledì Feb 2016

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Letture a due voci, Prosa, Rubriche, Storia

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Anna Maria Curci, Letture a due voci, Mauro Valentini, Poetarum Silva, prosa, recensioni, Roma, San Lorenzo, Sandra Luigia Rebecchi, Sovera, storia

copertinaCianurosoloprima

Mauro Valentini, Cianuro a San Lorenzo. La storia di Francesca Moretti, Sovera edizioni, Roma, 2015

Il libro di Mauro Valentini è il resoconto di un fatto di cronaca avvenuto a Roma nel febbraio del 2000. Francesca Moretti, una ragazza marchigiana, sociologa, vive a Roma, nel quartiere di San Lorenzo, con due sue amiche, Mirela e Daniela. Francesca è attiva all’interno dell’Opera Nomadi come operatrice scolastica nei campi Rom. Così ha conosciuto Graziano Halilovic, rom, operatore culturale sposato con figli; Francesca se ne è innamorata e lui sembra ricambiare. Hanno concordato di trasferirsi a Torino in un campo rom per cominciare una nuova vita insieme. La cultura rom consente ad un uomo di sposarsi più volte.

La sera del 22 febbraio del 2000 Francesca si sente male e viene trasportata d’urgenza all’Ospedale S. Giovanni dove muore poche ore dopo. L’autopsia rivela che è stata avvelenata da una dose di cianuro e poiché l’ultima cosa che ha ingerito è stata una minestrina cucinata dalla sua coinquilina Daniela Stuto, la ragazza viene accusata del delitto e trascorreranno due lunghi anni nei quali verrà additata da tutti come la colpevole. Ad aprile del 2002 la ragazza viene assolta per non aver commesso il fatto e verrà assolta in appello nel 2003.

La vita di Daniela Stuto è segnata per sempre dai due anni di indagini, interrogatori ed arresti domiciliari. Il caso è ancora oggi insoluto.

Ecco, pensavo scrivendo questo commento, poche parole e la cronaca è completata. La cronaca, cioè la registrazione dei fatti fatta in modo impersonale e mancante di qualsiasi criterio interpretativo. È questo l’intento di Mauro Valentini nel suo libro? Fare un resoconto dei fatti  particolareggiato, attentamente documentato, ricavato da atti ufficiali ormai pubblici, resoconti di intercettazioni telefoniche, arringhe del PM e dell’avvocato della difesa? La si può definire una cronaca?

Fin dalle prime pagine il lettore diviene partecipe in qualche modo dei fatti e fa la conoscenza dei protagonisti e non è una conoscenza asettica, perché fin dall’inizio si viene proiettati nel mondo delle tre ragazze che condividono appartamento e giovinezza, abitudini ed esperienze. Il fatto che abitino in un quartiere popolare con una storia dolorosa alle spalle, il fatto che l’appartamento sia situato nel quartiere di San Lorenzo è di certo per il lettore romano qualcosa che fa la differenza. È un posto “famigliare”, mentre risulta spontaneo pensare che certi fatti di cronaca nera avvengano sempre “altrove”.

Ma allora quello di Valentini è il racconto di una storia. In effetti il giornalista ricostruisce ordinatamente gli eventi, oggetto di una sua indagine critica che riferisce al lettore collegandoli nel corretto sviluppo temporale. Allora si tratta di una storia? E anche qui la risposta è difficile, perché le pagine di Valentini trascinano come quelle di una storia, anche se fin dall’inizio si è ben consapevoli che finire di leggere il libro non ci porterà a nessuna conclusione, per il semplice fatto che conclusione non c’è stata.

È proprio questa sensazione di essere di fronte ad una realtà, narrata ma non manipolata, descritta ma non giudicata, essenziale senza tralasciare nessun particolare, che rende interessante e coinvolgente la lettura.

Questo tipo di racconto è mille volte lontano da quello urlato, ad effetto, troppo deciso nelle conclusioni, caratteristico della pagina di cronaca di un qualsiasi giornale. E forse è questo che attira il lettore e che gli dà la sensazione di conoscere da vicino i protagonisti dei fatti.

@Sandra L. Rebecchi

Un fatto di cronaca, un rebus, una drammaturgia. La ricostruzione dei fatti intorno alla vicenda che viene ancora oggi ricordata come “il caso della minestrina al cianuro” diventa in Cianuro a San Lorenzo di Mauro Valentini costruzione di un’opera a più voci della quale il cronista-autore mantiene ben saldo il timone. Si badi bene: Mauro Valentini non bara, non falsa le carte, non offre sacrifici sull’altare del facile effetto, eppure riesce a incatenare chi legge alle vicende di Francesca Moretti, la giovane sociologa marchigiana morta a Roma al pronto soccorso dell’ospedale San Giovanni, alle 19, 35 del 22 febbraio 2000, dopo essere stata ricoverata d’urgenza per dolori lancinanti. A pranzo aveva mangiato soltanto una minestra con il formaggino, preparata da una delle ragazze che con lei divideva l’appartamento nel quartiere romano di San Lorenzo. È la minestrina la causa del decesso? E se questa è stata avvelenata, chi ha messo il veleno? E le medicine che Francesca prendeva da giorni per la lombo-sciatalgia? Di tutto questo tiene conto e dà conto Mauro Valentini, distribuendo voci e passi a una costellazione di personaggi di diverse culture e provenienze. Altra non è, questa costellazione, se non quella delle persone che, nella vita di Francesca, dalla nascita agli ultimi giorni, hanno occupato un posto di primaria o di secondaria importanza, ma che un ruolo nelle vicende di Francesca hanno svolto. Provengono da varie parti dell’Italia, questi personaggi, o da altri paesi europei, come Mirela Nistor, romena, una delle due coinquiline di Francesca,  oppure appartengono a culture percepite come molto distanti e viste con diffidenza, come Graziano Halilovic, rom, sposato, padre di cinque figli,  che  con Francesca ha una storia d’amore. Sono donne e uomini in carne e ossa, non solo personaggi, ovviamente, e ci vengono incontro, attraverso le pagine di Cianuro a San Lorenzo, con le loro deposizioni, le confidenze, i gesti riferiti, con i loro tic, le loro manie, le reticenze su alcuni aspetti e, d’altro canto,  la sovrabbondanza – quasi un fiume, se si pensa, ad esempio, alla deposizione di Antonella, amica di Francesca, al processo – di dettagli su altri aspetti. Uno dei meriti di Mauro Valentini va individuato senz’altro nella capacità di dare alle vicende narrate e alle persone coinvolte sia la veridicità della cronaca sia l’animazione drammaturgica.

Anche i luoghi, gli interni come gli esterni, assumono in Cianuro a San Lorenzo il ruolo di indicatori del contesto in cui si svolgono i fatti e, allo stesso tempo, di veri e propri personaggi. Il quartiere di San Lorenzo è, ovviamente, in primo piano, con i suoi locali, le botteghe, lo scalo ferroviario e i piloni della Tangenziale, con la sua storia ricca di eventi e l’impatto sull’immaginario collettivo, ma pagine significative vengono dedicate anche alla città natale di Francesca Moretti, Pesaro, così come a quella di Daniela Stuto, Lentini. Daniela Stuto è l’altra coinquilina di Francesca in quel tragico febbraio 2000; Daniela è la giovane donna accusata dell’omicidio di Francesca. Come e perché si sia arrivati a quell’accusa, con quali sentenze si siano conclusi i processi lo apprenderemo nel corso della lettura.

Lo studio preparatorio, le indagini sulle indagini che hanno preceduto e accompagnato la stesura di questo libro, tuttavia, permettono a chi legge di apprendere molto di più delle semplici risultanze dei due gradi di giudizio. Chi legge entra nel vivo del dibattito processuale, impara a conoscere dinamiche relazionali e caratteristiche dei singoli individui che formano la costellazione qui presentata attraverso documenti e testimonianze. Si fa strada e prende corpo, così, un’ipotesi di soluzione del caso che smentisce le vie finora prevalentemente seguite.

Una nota a parte deve essere dedicata agli approfondimenti che arricchiscono Cianuro a San Lorenzo e che offrono scorci di varia natura, dalla panoramica sull’avvelenamento al cianuro nel cinema e nella letteratura, alle indagini compiute dallo stesso Mauro Valentini tra gli artigiani del popolare quartiere romano sulla possibilità di accedere al veleno mortale, ai veri e propri ‘studi di caso’ compiuti su misteri e delitti che presentano analogie con la storia di Francesca Moretti.

© Anna Maria Curci

La nota di Anna Maria Curci è apparsa precedentemente su “Poetarum Silva”, qui

Letture a due voci, 3: Patrizia Rinaldi, Ma già prima di giugno

28 giovedì Gen 2016

Posted by letteremigranti in Recensioni, Romanzi, Rubriche

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edizioni e/o, Laura Vazzana, Letture a due voci, Patrizia Rinaldi, recensioni, romanzo, rubriche, Sandra Luigia Rebecchi

Rinaldi_Prima_di_giugno

 

Patrizia Rinaldi, MA GIA’ PRIMA DI GIUGNO, edizioni e/o, 2015

Alla lettura del romanzo Ma già prima di giugno, di Patrizia Rinaldi, non si può restare indifferenti.

La cosa che colpisce fin dalle prime pagine è il linguaggio: una prosa secca, asciutta, ma capace di staffilate improvvise, un linguaggio letterario sapiente, che trasmette l’ansia delle due protagoniste di raccontarsi, di far sentire ad altri il proprio dolore, ma, allo stesso tempo, di gridare la testarda tenacia nel voler vivere appieno tutto ciò che il destino ha in serbo per loro.

Patrizia Rinaldi sceglie di raccontare la vita di due donne, una madre e sua figlia. Ci spiega lei stessa in una nota la struttura del romanzo: si tratta di due percorsi paralleli che si troveranno a convergere e a raccordarsi solo nelle ultime pagine.

Le storie narrate sono diverse:  Maria Antonia, la madre, ha vissuto sulla sua pelle gli orrori della guerra, è fuggita da Spalato, ha perso il marito nelle foibe, ha visto partire i suoi fratelli per i campi di lavoro. Quello che la tiene in vita, che la spinge a combattere è la voglia di riscatto, il desiderio di prendersi quello che la vita le ha negato. Bella e sfacciata, dà scandalo, mentre sfida la miseria. Si conquisterà in età avanzata l’amore di un giovane studente e dal loro rapporto nascerà Ena, la seconda protagonista del romanzo.

Mentre la storia di Maria Antonia viene raccontata in terza persona, è Ena stessa ormai anziana a descrivere la sua realtà.È confinata in un letto e il suo mondo è limitato alla stanza dove è immobilizzata. La assiste una giovane slava, che Ena chiama sprezzantemente Abbadessa. Il rapporto delle due donne è un difficile continuo scontro. La sfrontatezza di Ena sfida la morte,  la sfida parlando di sesso, del suo corpo che si disfa giorno dopo giorno; Ena rifiuta gli atteggiamenti più comuni in una anziana per scegliere di sbeffeggiare tutti, compresa se stessa e il suo destino. Le fa da contrappunto il silenzio ostinato della ragazza, che tenta di mantenere un rapporto distaccato con la malattia, pronunciando il minimo indispensabile di parole, generando regole di vita e chiudendosi in un guscio protettivo.

Ci sono molte altre figure femminili nel racconto. Oltre Maria Antonia, Ena e l’Abbadessa compaiono una Monaca, la portinaia e altre; in particolare Giuseppina, amica di infanzia di Ena, che ormai parla a malapena: proprio lei assisterà alla sua fine e la vivrà come un tradimento.

Nell’ombra, appena tratteggiate, le figure maschili, che, una volta chiuso il libro, si dimenticano.

Il romanzo di Patrizia Rinaldi è storia di donne. Sono donne forti e decise, che hanno il coraggio di tradire i ruoli che la vita ha loro assegnato e guardano in faccia il destino, quando non lo conoscono e lo sfidano e quando lo conoscono e lo sfidano ugualmente. Il femminile che c’è in queste pagine è vario, ma pieno di forza e di speranza per il futuro, è un femminile che non si arrende, che combatte quando vince e quando perde, non facendosi inutili domande, vivendo giornata dopo giornata senza ripensamenti, con una decisione che nulla scalfisce. Perché “vivere vale la pena!”

Un bel romanzo, da leggere e rileggere per afferrare veramente tutto quanto, scritto o sotteso, ci racconta Patrizia Rinaldi.

© Sandra L. Rebecchi

Ma già prima di giugno è un altro esempio della scrittura calda, avvolgente, appassionata e passionale di Patrizia Rinaldi.

Nel delineare i tratti delle due protagoniste, la madre Maria Antonia da giovane e la figlia Ena da vecchia, l’autrice crea due personalità diametralmente opposte, dotate entrambe di realismo,  ma in modo diverso.

Le storie proseguono parallelamente, una nel passato e l’altra nel presente, una in terza persona, l’altra in prima. La figlia è sempre stata un po’ vecchia in fondo, mentre la madre non invecchierà nello spirito mai. Eppure si è dovuta confrontare con gli orrori e la miseria della guerra, ma forse proprio per questo è tenacemente attaccata alla vita, anche se con la vita è arrabbiata. “Troppo selvatica per morire” la definisce il marito Augusto, che non tornerà più dal fronte.

Nell’attesa sfibrante di sue notizie certe, Maria Antonia è preda di sentimenti oscillanti, vorrebbe credere in un ritorno, ma la ragione le suggerisce di non coltivare speranze impossibili. Lo sogna vivo sapendo, in cuor suo, che è morto.

Con poche nitide parole, l’autrice ci fa vedere Maria Antonia di fronte alla crudele verità: “un altro pezzo di lei era diventato pietra”. Nonostante tutto, rimasta sola, si rialza, lotta e raggiunge i suoi obiettivi.

La figura di Ena, alla vivacità della madre, contrappone il cinismo di chi non si aspetta nulla. Forzata a letto da una seria frattura, ha un immaginario appuntamento con la morte per giugno e intanto ricorda e commenta aspra, provocatoria e disincantata.

Tuttavia, qua e là, la vediamo cedere alla tenerezza, ma è una tenerezza che preferisce tenere per sé. Verso il figlio, ad esempio: “vorrei dirgli che lo amo perdutamente, nel modo sbagliato di una qualsiasi Filomena”. Verso l’amica di una vita, Giuseppina. E verso la sorella che non c’è più.

La storia di Maria Antonia si chiude con la nascita di Ena, quella di Ena con la propria morte.

Mirabile quadratura del cerchio.

© Laura Vazzana

Qui la mia lettura di Ma già prima di giugno.

Letture a due voci, 2: Claudio Pescetelli, Roma Beat

06 mercoledì Gen 2016

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Laura Vazzana, Musica, Prosa, Recensioni, Rubriche, Storia

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Anna Maria Curci, Beat, Beatles, Claudio Pescetelli, golpe Borghese, Il vicario, Laura Vazzana, Letture a due voci, musica, Per le strade di Roma, Piper, Poetarum Silva, prosa, recensioni, Rolf Hochhuth, rubriche, storia, Teatro Adriano, teatro off, underground

ROMA BEAT - copertina prima

Claudio Pescetelli, Roma Beat, Zona editrice 2015

Con il suo libro “Roma Beat”, Claudio Pescetelli ha scritto pagine della storia d’Italia. Una storia piuttosto recente, per molto tempo trascurata, come spesso avviene con le cose a portata di mano. Qui non si parla della grande America, si parla di Roma, di come Roma, negli anni ’60, ha rivisitato e vissuto a modo suo stimoli creativi e culturali, offrendoli a un vasto pubblico. Di giovani, naturalmente, perché i giovani rappresentano da sempre la parte ricettiva della società.

Noi che eravamo bambini o ragazzi negli anni ’60 non possiamo non provare un senso di nostalgia, non possiamo non aver conosciuto direttamente o indirettamente una bella fetta dei nomi citati con grande cura e studio dall’autore, degli artisti, come pure dei locali. Che spesso erano locali per modo di dire. Mentre gli artisti neanche si immaginava che, alla distanza, avrebbero costituito capitoli importanti della musica rock italiana.  Prendo ad esempio il mitico Renato Zero. Ora è riconosciuto universalmente un grande, uno che ha ancora molto da dire, i cui concerti sono autentici spettacoli, allora si notava perché era un personaggio e proprio per questo non aveva vita facile.

Per i ragazzi di oggi la lettura di “Roma Beat” è utile e istruttiva perché riporta dettagliatamente il clima particolare di voglia di sperimentare che abbracciava le nuove generazioni, pure se in un momento storico in cui il cosiddetto ‘gap’ con gli adulti era davvero profondo. Eppure, nei condomini, non erano rare le cantine allestite a salette per suonare, insonorizzate alla meglio con le scatole delle uova. Chi poteva, metteva i soldi da parte per comprarsi una chitarra. Si suonava sul prato con gli amici, cercando gli accordi giusti, imitando gli artisti veri.

Con l’aderenza al reale dello storico, l’autore non trascura, tuttavia, di mettere in evidenza come, nonostante gli slogan sulla pace gridati con forza, cominciasse purtroppo ad aprirsi un varco anche il lato buio del cambiamento.

©Laura Vazzana

Immaginate di poter proseguire, attraverso la lettura di un libro, una conversazione che avete iniziato, appena ventenni, con un amico. Quella conversazione, come avveniva spesso, verteva sui ricordi, ancora molto freschi, che provenivano dai banchi di scuola. Immaginate che quella scuola di cui vi raccontava l’amico sia la scuola nella quale insegnate da tanti anni. Immaginate di aver conosciuto e apprezzato, come colleghi, alcuni dei professori del vostro amico. Immaginate, ancora, che quella conversazione, che partiva dai banchi di scuola, si allargasse immediatamente alle passioni comuni, o meglio “alla” passione per eccellenza, quella per la musica, quella che vi spingeva, tra l’altro, a trascorrere la domenica mattina nella galleria semibuia che collega Piazzale della Radio con il dispiego di colori delle bancarelle di Porta Portese. A far cosa? Ma a scambiare vinili, sfiancati dall’ascolto e sempre inseguiti e curati, a cos’altro?  La passione per la musica che vi faceva sussurrare o gridare (a mo’ di quel “Klopstock” pronunciato ne I dolori del giovane Werther) il nome di gruppi sentiti come propri grazie al piacere della ricerca e della scoperta. Immaginate di leggere Roma Beat di Claudio Pescetelli e trovare, ampliato e amplificato, con un suono nitido, il tono familiare e sempre nuovo di quella conversazione. Se immaginate tutto questo, comprenderete la gioia nel percorrere questo “ponte della musica” visionario e tuttavia assai concreto. Roma Beat è una cronaca appassionata e documentata fin nel minimo dettaglio non solo della scena underground, dell’universo beat a Roma, dal 13 febbraio 1965 all’11 ottobre 1970, ma anche del contesto sociale e politico in cui si muovono i giovani che danno vita in quegli anni a locali, concerti, teatri e cinema off. Non troverete soltanto notizie – una fucina pressoché inesauribile, comunque – sulla storia dell’apertura del Piper e sulla prima volta dei Beatles a Roma, per la precisione al Teatro Adriano, ma anche particolari e testimonianze su soffiate di quotidiani della capitale, sgomberi e fermi in occasione della prova generale della pièce di Hochhuth, Il vicario,  opera e operazione che scatenarono rumorosissime polemiche e sordi interventi di censura, sui “capelloni”  che stazionavano sulla scalinata di Trinità dei Monti, tenuti a distanza e perfino temuti dai benpensanti, i quali reclamavano a gran voce l’intervento della polizia, su manifestazioni e repressioni, su proteste e pacifismo, sulla guerra del Vietnam, sui depistaggi dei servizi segreti sulla strage di piazza Fontana, sui preparativi del golpe di Junio Valerio Borghese.

“Se vuoi, dai voce alla storia”, scrivevo qualche anno fa a Berlino, in occasione dei 50 anni dalla costruzione del muro.  In Roma Beat Claudio Pescetelli ha dato voce alla storia, con la cronaca di un cambiamento epocale che si è manifestato in particolare attraverso la musica e la sua ricezione.*

© Anna Maria Curci

CLAUDIO PESCETELLI è nato nel 1960 a Roma, dove vive. Appassionato e studioso degli anni sessanta e settanta, alle culture e alla musica di quegli anni dal 1991 ha dedicato le fanzine Born Loser e Mondo Capellone. Ha sinora pubblicato otto libri, sei di argomento musicale – Ciglia ribelli (I libri del Mondo Capellone, 2003), Una generazione piena di complessi (Zona Editrice, 2006), i tre volumi di Nudi & crudi (I libri del Mondo Capellone, 2010, 2011 e 2012) e Lo stivale è marcio (Rave Up Books, 2013) – e due romanzi, Le tribù (Zona Editrice, 2009) e Strada statale (I libri del Mondo Capellone, 2011).Ha disegnato copertine di dischi per i gruppi The Garbages e The Others, e collaborato con le riviste Bassa Fedeltà, Misty Lane, Vintage e Jamboree.

*la lettura di Anna Maria Curci è apparsa in anteprima su Poetarum Silva, qui

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