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Archivi tag: Roma

Sandra Luigia Rebecchi, Con mezzi propri

18 mercoledì Mag 2016

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Prosa, Recensioni, Sandra L. Rebecchi, Scuola, Storia

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Daniel Pennac, periferia, prosa, recensioni, Roma, Sandra Luigia Rebecchi, Scuola

Rebecchi_Con_mezzi_Propri

Sandra Luigia Rebecchi, Con mezzi propri, Nulla Die edizioni 2014

Nota di lettura di Anna Maria Curci

Mi sono spesso domandata quale relazione intercorra tra l’amore per la lettura e la sua appassionata opera di ‘contagio’ virtuoso da un lato e la vocazione pedagogica dall’altro. Scorgo legami stretti ancorché di non immediata percezione e li riassumo in termini tanto fuori moda da apparire retorici: rispetto per sé e per gli altri, curiosità, desiderio di indagare senza invadere, di accendere la luce dell’esplorazione senza far brillare la miccia dell’esplosione, fosse pure per spianare le differenze.  C’è in entrambi i termini della questione (e nella sostanza ai quali questi termini si riferiscono)  un ottimismo, non velato, sì, eppure accompagnato dalla chiarezza nel discernere all’interno dei dati reali – come li percepiamo, come arrivano a noi – che senz’altro smorza ogni velleità celebrativa.  C’è nell’una e nell’altra molla della ricerca una disponibilità a muoversi, a camminare, a cercare conferme e ad accettare smentite, a considerare punti di vista diversi, a vedere quello che si può cambiare, ad agire di conseguenza. Non si sale su carrozze imbottite e a prova di sobbalzi, insonorizzate e impermeabili alle dissonanze, ma si persegue, talvolta optando necessariamente per più d’una scomodità, l’obiettivo dell’uso di strumenti autonomi. Autonomi sì, ma non autarchici. Per queste affinità e in ragione della complessità dei loro intrecci, delle loro conversazioni, di osmosi e contrappunti, ritengo che Con mezzi propri di Sandra Luigia Rebecchi restituisca con franchezza e partecipazione un esempio vissuto, meditato e qui narrato di dialogo continuo tra amore per la ricerca, in primis attraverso la lettura, e vocazione pedagogica. In apertura, è proprio l’autrice a sottolineare questa prossimità, scegliendo le parole e l’esperienza di Daniel Pennac, autore dallo straordinario talento narrativo, incantevole redattore del decalogo del lettore in Come un romanzo e, per sua esplicita ammissione, studente ‘salvato’ dall’emarginazione proprio in virtù del talento pedagogico di quegli insegnanti che ‘sanno guardare oltre’ catalogazioni semplicistiche ed erronee di apprendenti e apprendimenti. Continua a leggere →

Plinio Perilli, Aedo ammutolito. A Valentino Zeichen

06 venerdì Mag 2016

Posted by letteremigranti in Poesia

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aedo, Plinio Perilli, Poesia, Roma, San Camillo, Valentino Zeichen

Valentino Zeichen. Foto di Toccaceli

Valentino Zeichen. Foto di Eric Toccaceli

 

Aedo ammutolito

 

a Valentino Zeichen

come un valoroso guerriero omerico

che ancora e sempre rifulge

 

1 –

 

Aedo ammutolito ma sempre eroico,

giaci qui spogliato di lingua e armatura,

come un valoroso guerriero omerico

che ancora e sempre rifulge: anche

nella cattiva sorte… E resti assiso,

sbalzato in un solerte letto ospedaliero,

monitorato, terapizzato “intensivo”,

come Aiace ferito, Odisseo sfiorato

da un dardo terribile; peggio: Diomede

disarcionato dai suoi stessi cavalli!

 

 

2 –

 

Forse il tuo ictus fu deciso lassù

in alto – ma attenzione, no, non in cielo,

bensì a ridosso del Cielo, forse quasi

in Olimpo, dove gli dèi s’annoiano,

fugano con amori le chiacchiere,

romanzetti e intrighi: amor vincit

omnia… Non sei, non eri Paride, ma

sempre e giustamente premiasti Venere,

non Giunone o Minerva – Venere.

“Talune donne mi scambiano / per

un fuoco di Sant’Elmo, / altre, per uno

di paglia; / certe, per una lampada votiva.”

 

3 –

 

Stupida Sorte. Leso proprio nel linguaggio

in cui eccellevi, meritasti il lauro, trionfi

duraturi e acclarati! Sliricati lirismi! Tutti

poi relegati, tralasciati nel Museo interiore

che ti racconta: fra baci e quadri, cuori

spezzati, bandiere, ludibri e consensi…

Ed ora, al San Camillo, dignitoso ospedale

nazional-popolare, nato dalla retorica

fascista, che lezioni di Storia potrai più

tenere, alludere alle belle infermiere

sempliciotte che già san tutto di questo

strano (per loro), silente e fascinoso poeta

arcinoto, che amici e amici, allarmati,

visitano d’affetto e domande, o rassicurano

con frasi oh molto stupide per la Sua saggezza!

 

Continua a leggere →

Nuova Via Crucis in metropolitana, di Paolo Ricciardi. Lettura di Augusto Benemeglio

22 martedì Mar 2016

Posted by letteremigranti in letture, Memoria, Recensioni

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Tag

Acilia, Augusto Benemeglio, Carmelo Bene, Colosseo, Dino Campana, Emily Dickinson, Garbatella, Linea B metropolitana, Nanni Moretti, Paolo Ricciardi, Roma, Via Crucis

nuova-via-crucis-in-metropolitana

Paolo Ricciardi, Nuova Via Crucis in metropolitana

Lettura di Augusto Benemeglio

  1. Emily Dickinson.

È un libretto di 36 pagine, più le 4 di copertina, non di più, note comprese, dove si annidano, come ama dire Fabrizio Centofanti,  sempre delle verità nascoste, o delle vere e proprie perle, come l’«io credo, io spero, io amo» di don Mario Torregrossa, l’omelia sulla Madonna di San Bernardo («seguendo lei non puoi smarrirtiۚ») , o i versi di Emily Dickinson: «Come se il mare separandosi/svelasse un altro mare,/ questo un altro, ed i tre/ solo il presagio fossero/ d’un infinito di mari/ non visitati da riva / – il mare stesso al mare fosse riva – / questo è  l’eternità». A prima vista ti dà l’idea del classico opuscolo “devozionale” che ha preso il posto dei santini di una volta. Lo prendi, lo sfogli, lo leggi, così, un po’ per curiosità, e per passare un po’ di tempo lungo il tragitto, che percorri ogni giorno,  sulla Roma-Lido, una vera e propria Via Crucis. E invece no. Se tu lo leggi sul serio, questo libretto, non trovi magari l’America del Karl Rossman kafkiano, che hanno dirottato (teatralmente) anche su questi itinerari, ma puoi trovare le chiavi per entrare in altri spazi, in altri lidi, in altri cuori, in altri mondi, chissà, magari le “chiavi del tuo paradiso”. Sto parlando della NUOVA VIA CRUCIS IN METROPOLITANA di don Paolo Ricciardi, il parroco di San Carlo da Sezze, fermata Acilia, zona sud di Roma, linea B della metro, che porta al mare, che, mescolato al sole, è forse l’eternità. Lo disse perfino uno come  Rimbaud, quando vide il mare per la prima volta.

  1. Carmelo Bene

Questa Via Crucis Paolo Ricciardi  l’ha dedicata a Papa Francesco, «pellegrino verso le periferie del mondo, nel terzo anniversario della sua elezione», ma anche a tutte le comunità parrocchiali in cui è stato, e – soprattutto –a tutti coloro che viaggiano  sulla linea B. Allora gli ho detto, Don Paolo, andiamoci insieme sulla metro, con un gruppo di ragazzi, e leggiamola questa via Crucis, fermata per fermata, dalla prima stazione (Gesù è condannato a morte, guarda caso proprio al “Colosseo”), fino alla Resurrezione (Stella Polare); sorride , un po’ ironico e un po’ perplesso. Gli dico, a suo tempo l’ha fatto uno come Carmelo Bene, mi risponde, Lo so. Anche quella era una sorta di via Crucis, una processione laica, ma ci si sentiva tutti un po’ cretini noi spettatori. Tutti dietro ad un pifferaio magico, con la voce da. tamburo-flauto , e una fascia sulla fronte, alla McEnroe. Ma noi non recitiamo, dico. Noi leggiamo a voce alta le “tue” stazioni, a partire dal Colosseo: «L’impero di Roma s’intreccia/a quel lembo di terra lontana/in cui visse quel giovane Uomo/ Pilato si trova … a rappresentare il mondo di sempre/ prestato al potere/ e s’incontra con Chi, Onnipotente, scegli di amare/  L’uomo, ogni uomo,   passato, presente, futuro, / condanna il Dio della Vita…alla morte …/ Ma il cuore in rovina si vuole destare/ e ricerca, incosciente,/ una vita che sappia di Eterno».

  1. Dino Campana

Ricordo anch’io, quella volta , i segni del cerone sotto gli occhi bovini  del grande Istrione, e un microfono, con una luce di fosforo addosso. Leggeva i Canti Orfici di Campana, che gli si adattavano benissimo, con la sua visività enfatica, le sue allucinazioni, la fantasia onirica,  che amplifica e trasfigura e, soprattutto, con quella componente fonico-musicale, ossessivamente ripetuta, che si fa voce ingorgo ed eco di flauti. Quei versi erano come il frullare di ali di un uccello tenuto in gabbia per quasi tutta una vita, un uccello incapace di volare…Ora siamo alla Piramide , alla terza stazione, a Gesù che cade per la prima volta. «È un crocevia /di macchine, moto, persone, /povera gente/ di tutte le razze». Forse la parola che ora tu ascolti, al di là delle interferenze, al di là delle distorsioni volute di quella voce eidetica, che assume in sé, oltre ai significati e ai significanti, anche il più vasto repertorio della gestualità,  tu – onestamente – non riesci a capire quasi più niente dei versi o della prosa di Campana, se non un vago suono musicale, un’eco. Quello che ti rimane è un’esitazione tra un suono e un senso.

  1. Nanni Moretti

Siamo alla quarta stazione, alla Garbatella, prediletta da Nanni Moretti, (L’unica cosa  che mi  piace fare è guardare le case e devo dire che il quartiere di Roma che più m’è piaciuto è la Garbatella, perché c’è vita autentica), dove Gesù incontra la Madre. «Mi immagino ancora le mamme/che chiamano i figli dall’alto,/mani dischiuse e finestre, odori di cibo,/ di pane, di pizza, di panni distesi,/ la semplice vita di gente che vuol camminare/ malgrado le prove:/ Atti d’amore minimi o immensi/convivono insieme con atti violenti, /piccoli o infami di vita “malata”/ Garbatella è il nome di ogni paese del mondo. /E in ogni paese del mondo/Gesù incontra sua madre»…. La voce di Carmelo si fa eclisse, s’oscura, poi traccia figure sonore, traiettorie, sponde di biliardo, medium tra il corpo dell’attore e lo sguardo dello spettatore. Il suo teatro accerchia quel punto fosforico che Artaud chiamava la Parola prima delle parole. Ormai nessuno di noi capisce più nulla di ciò che dice l’attore, e ci siamo perfino dimenticati di chi siano i versi che sta recitando. Ma siamo sicuri, poi, che siano versi?

  1. Acilia

Intanto noi andiamo avanti. Siamo a Marconi, dove la Veronica asciuga il Volto di Gesù: «…una donna ./ Emerge , tra tanti, col panno,/ nel gesto d’amore/ d’imprimere un soffio al Signore…//Di togliergli il sangue,/le spine,/ le lacrime, tante, / versate sul viso e sul cuore».  Proseguiamo fino a Tor di Valle, dove Gesù incontra le donne di Gerusalemme.  «La stazione ippica che “ richiama i cavalli, i fantini, /la gente  che ha vinto e perduto le scommesse/ A questo incrocio di corse-rotaia e galoppo – / Gesù va sempre più piano/ Era entrato trionfante,/ma in groppa a un asino lento,/nel segno di un umile regno//…Le donne che sono qui dentro, in questo vagone,/mi sembrano piene di vuoti./Mancanze di tempo, d’amore, di affetti….». Siamo arrivati ad Acilia, undicesima stazione, dove Gesù è Crocifisso: «Acilia, Palocco, Axa, Infernetto/,sono tante realtà diverse ed  uguali,/ cosparse di verde, con strade bucate, vicoli, viali/ realtà popolari e villette con cani guardiani/ E impianti sportivi, industrie, mercati…/Gesù  è crocifisso tra tutto il trambusto/ di questi quartieri svuotati di giorno/ e pieni soltanto di tramonto/ La croce si innalza per dare valore a questo viavai, / dar senso e colore al buio dell’uomo/ e riempirlo di nuovo d’amore».

  1. La parola

Leggere, per Bene,  questo nostalgico dell’impossibile, è un modo per dimenticare, leggere è una forma dell’oblio; in fondo scrivere e leggere sono stretti in un unico gesto di sparizione.È una cosa bella scrivere, diciamo noialtri scriba per vocazione  o dannazione, però sarebbe meraviglioso che ogni tanto qualcuno riuscisse a leggere davvero una nostra pagina , una soltanto di tutte quelle migliaia e migliaia che scrivi, sarebbe bello vedere qualcuno che prende in mano , ad esempio, questo libretto di Paolo Ricciardi  e pronunciasse a voce alta  la parola che coglie a Ostia Antica, dove Gesù muore in croce . Qui s’aggirava Agostino, «vicino a sua madre, discorreva di cose di Dio / E mentre parlava il discorso portava a passare / dai sensi terreni alla gioia dell’Essere stesso, / il Creatore del cielo, del sole, le stelle//…Quello sguardo di madre e di figlio mi tornano ora, / in questo momento in cui guardo la croce/ e lì sotto Maria».  L’istante in cui tu la pronunci la parola diventa viva, ma è come una fiamma che arde, che brucia; non puoi trattenere la pagina in cui è scritta, il foglio rapidamente si dissolve, sparisce, e tu non ricordi  più quello che c’era scritto, quello che tu stesso avevi scritto col tuo sangue. Ma in fondo era solo una vaga traccia sulla sabbia, un’ impressione, un’ombra, una scia di un ricordo, la sensazione  di scrivere  una poesia, o almeno un verso degno di questo nome.

  1. Poesia è rifare il mondo.

Siamo arrivati alla quattordicesima stazione, in cui Gesù è posto nel sepolcro. «Il viaggio, che  è quasi finito, /mi trova ferito da tanto silenzio/ Quante volte ho veduto morire persone,/ richiudere bare, veder lacrimare/ E sapere Gesù nel sepolcro, e così non vederlo, / è il dramma di chi, sconsolato,/ pensa soltanto che tutto è finito». Siamo alla  Stella Polare, alla Resurrezione. «Eccomi, sono arrivato. /Scendo alla “Stella Polare”, /ripieno di volti, di storie, persone/ Ogni giorno la via della Croce/ incrocia la via dolorosa dell’uomo. / E a ognuno vorrei dare coraggio, / infondere forza, / perché non c’è croce/ che non porti alla Vita/ come la foce si apre nel Mare».E ci rimane la sua voce, pacata, umile, modesta, (ringrazio mio fratello, scrittore, che mi ha rivisto e corretto il testo in alcuni punti) , ma non priva di ironia, ricca di sentimento e calore umano («ringrazio chi mi ha insegnato a viaggiare osservando fuori dal finestrino e dentro il cuore degli uomini») , la sua è una voce diversa, un suono che accade, un sussurro che grida e diventa il tutto, il resto è niente. È una scia , un’onda di risacca, un’eco, il mistero delle piccole cose che si fanno poesia, bellezza, rinascita.  «Manda signore ancora profeti,  uomini certi di Dio,  uomini  dal cuore in fiamme / E tu a parlare dai loro roveti sulle macerie delle nostre parole/  A dire ai poveri di sperare ancora / Anche le cose sono parole, scrigni di sillabe divine, dimora dell’essere / E voi, scribi del mistero, poeti di cui un solo verso fessura sull’infinito come il costato aperto di Cristo/ ci ricordate ad ogni istante che / Poesia è rifare il mondo».

Mentre ci accingiamo a scendere dalla metro percepiamo lo sguardo dei passeggeri volto su di noi, e vi scorgiamo qualcosa di  «benevolmente pietoso».

Roma, 17 marzo 2016

© Augusto Benemeglio

Letture a due voci, 4: Mauro Valentini, Cianuro a San Lorenzo

03 mercoledì Feb 2016

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Letture a due voci, Prosa, Rubriche, Storia

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Tag

Anna Maria Curci, Letture a due voci, Mauro Valentini, Poetarum Silva, prosa, recensioni, Roma, San Lorenzo, Sandra Luigia Rebecchi, Sovera, storia

copertinaCianurosoloprima

Mauro Valentini, Cianuro a San Lorenzo. La storia di Francesca Moretti, Sovera edizioni, Roma, 2015

Il libro di Mauro Valentini è il resoconto di un fatto di cronaca avvenuto a Roma nel febbraio del 2000. Francesca Moretti, una ragazza marchigiana, sociologa, vive a Roma, nel quartiere di San Lorenzo, con due sue amiche, Mirela e Daniela. Francesca è attiva all’interno dell’Opera Nomadi come operatrice scolastica nei campi Rom. Così ha conosciuto Graziano Halilovic, rom, operatore culturale sposato con figli; Francesca se ne è innamorata e lui sembra ricambiare. Hanno concordato di trasferirsi a Torino in un campo rom per cominciare una nuova vita insieme. La cultura rom consente ad un uomo di sposarsi più volte.

La sera del 22 febbraio del 2000 Francesca si sente male e viene trasportata d’urgenza all’Ospedale S. Giovanni dove muore poche ore dopo. L’autopsia rivela che è stata avvelenata da una dose di cianuro e poiché l’ultima cosa che ha ingerito è stata una minestrina cucinata dalla sua coinquilina Daniela Stuto, la ragazza viene accusata del delitto e trascorreranno due lunghi anni nei quali verrà additata da tutti come la colpevole. Ad aprile del 2002 la ragazza viene assolta per non aver commesso il fatto e verrà assolta in appello nel 2003.

La vita di Daniela Stuto è segnata per sempre dai due anni di indagini, interrogatori ed arresti domiciliari. Il caso è ancora oggi insoluto.

Ecco, pensavo scrivendo questo commento, poche parole e la cronaca è completata. La cronaca, cioè la registrazione dei fatti fatta in modo impersonale e mancante di qualsiasi criterio interpretativo. È questo l’intento di Mauro Valentini nel suo libro? Fare un resoconto dei fatti  particolareggiato, attentamente documentato, ricavato da atti ufficiali ormai pubblici, resoconti di intercettazioni telefoniche, arringhe del PM e dell’avvocato della difesa? La si può definire una cronaca?

Fin dalle prime pagine il lettore diviene partecipe in qualche modo dei fatti e fa la conoscenza dei protagonisti e non è una conoscenza asettica, perché fin dall’inizio si viene proiettati nel mondo delle tre ragazze che condividono appartamento e giovinezza, abitudini ed esperienze. Il fatto che abitino in un quartiere popolare con una storia dolorosa alle spalle, il fatto che l’appartamento sia situato nel quartiere di San Lorenzo è di certo per il lettore romano qualcosa che fa la differenza. È un posto “famigliare”, mentre risulta spontaneo pensare che certi fatti di cronaca nera avvengano sempre “altrove”.

Ma allora quello di Valentini è il racconto di una storia. In effetti il giornalista ricostruisce ordinatamente gli eventi, oggetto di una sua indagine critica che riferisce al lettore collegandoli nel corretto sviluppo temporale. Allora si tratta di una storia? E anche qui la risposta è difficile, perché le pagine di Valentini trascinano come quelle di una storia, anche se fin dall’inizio si è ben consapevoli che finire di leggere il libro non ci porterà a nessuna conclusione, per il semplice fatto che conclusione non c’è stata.

È proprio questa sensazione di essere di fronte ad una realtà, narrata ma non manipolata, descritta ma non giudicata, essenziale senza tralasciare nessun particolare, che rende interessante e coinvolgente la lettura.

Questo tipo di racconto è mille volte lontano da quello urlato, ad effetto, troppo deciso nelle conclusioni, caratteristico della pagina di cronaca di un qualsiasi giornale. E forse è questo che attira il lettore e che gli dà la sensazione di conoscere da vicino i protagonisti dei fatti.

@Sandra L. Rebecchi

Un fatto di cronaca, un rebus, una drammaturgia. La ricostruzione dei fatti intorno alla vicenda che viene ancora oggi ricordata come “il caso della minestrina al cianuro” diventa in Cianuro a San Lorenzo di Mauro Valentini costruzione di un’opera a più voci della quale il cronista-autore mantiene ben saldo il timone. Si badi bene: Mauro Valentini non bara, non falsa le carte, non offre sacrifici sull’altare del facile effetto, eppure riesce a incatenare chi legge alle vicende di Francesca Moretti, la giovane sociologa marchigiana morta a Roma al pronto soccorso dell’ospedale San Giovanni, alle 19, 35 del 22 febbraio 2000, dopo essere stata ricoverata d’urgenza per dolori lancinanti. A pranzo aveva mangiato soltanto una minestra con il formaggino, preparata da una delle ragazze che con lei divideva l’appartamento nel quartiere romano di San Lorenzo. È la minestrina la causa del decesso? E se questa è stata avvelenata, chi ha messo il veleno? E le medicine che Francesca prendeva da giorni per la lombo-sciatalgia? Di tutto questo tiene conto e dà conto Mauro Valentini, distribuendo voci e passi a una costellazione di personaggi di diverse culture e provenienze. Altra non è, questa costellazione, se non quella delle persone che, nella vita di Francesca, dalla nascita agli ultimi giorni, hanno occupato un posto di primaria o di secondaria importanza, ma che un ruolo nelle vicende di Francesca hanno svolto. Provengono da varie parti dell’Italia, questi personaggi, o da altri paesi europei, come Mirela Nistor, romena, una delle due coinquiline di Francesca,  oppure appartengono a culture percepite come molto distanti e viste con diffidenza, come Graziano Halilovic, rom, sposato, padre di cinque figli,  che  con Francesca ha una storia d’amore. Sono donne e uomini in carne e ossa, non solo personaggi, ovviamente, e ci vengono incontro, attraverso le pagine di Cianuro a San Lorenzo, con le loro deposizioni, le confidenze, i gesti riferiti, con i loro tic, le loro manie, le reticenze su alcuni aspetti e, d’altro canto,  la sovrabbondanza – quasi un fiume, se si pensa, ad esempio, alla deposizione di Antonella, amica di Francesca, al processo – di dettagli su altri aspetti. Uno dei meriti di Mauro Valentini va individuato senz’altro nella capacità di dare alle vicende narrate e alle persone coinvolte sia la veridicità della cronaca sia l’animazione drammaturgica.

Anche i luoghi, gli interni come gli esterni, assumono in Cianuro a San Lorenzo il ruolo di indicatori del contesto in cui si svolgono i fatti e, allo stesso tempo, di veri e propri personaggi. Il quartiere di San Lorenzo è, ovviamente, in primo piano, con i suoi locali, le botteghe, lo scalo ferroviario e i piloni della Tangenziale, con la sua storia ricca di eventi e l’impatto sull’immaginario collettivo, ma pagine significative vengono dedicate anche alla città natale di Francesca Moretti, Pesaro, così come a quella di Daniela Stuto, Lentini. Daniela Stuto è l’altra coinquilina di Francesca in quel tragico febbraio 2000; Daniela è la giovane donna accusata dell’omicidio di Francesca. Come e perché si sia arrivati a quell’accusa, con quali sentenze si siano conclusi i processi lo apprenderemo nel corso della lettura.

Lo studio preparatorio, le indagini sulle indagini che hanno preceduto e accompagnato la stesura di questo libro, tuttavia, permettono a chi legge di apprendere molto di più delle semplici risultanze dei due gradi di giudizio. Chi legge entra nel vivo del dibattito processuale, impara a conoscere dinamiche relazionali e caratteristiche dei singoli individui che formano la costellazione qui presentata attraverso documenti e testimonianze. Si fa strada e prende corpo, così, un’ipotesi di soluzione del caso che smentisce le vie finora prevalentemente seguite.

Una nota a parte deve essere dedicata agli approfondimenti che arricchiscono Cianuro a San Lorenzo e che offrono scorci di varia natura, dalla panoramica sull’avvelenamento al cianuro nel cinema e nella letteratura, alle indagini compiute dallo stesso Mauro Valentini tra gli artigiani del popolare quartiere romano sulla possibilità di accedere al veleno mortale, ai veri e propri ‘studi di caso’ compiuti su misteri e delitti che presentano analogie con la storia di Francesca Moretti.

© Anna Maria Curci

La nota di Anna Maria Curci è apparsa precedentemente su “Poetarum Silva”, qui

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