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Sandra Luigia Rebecchi, E adesso statemi a sentire (Editore: Nulla Die, 2015, Collana: Lego/Narrativa. Brossura, Pagine 191-Prezzo € 18,00, ISBN 978-88-6)

 

        “Ognuno ha il proprio passato chiuso dentro di sé come le pagine di un libro imparato a memoria e di cui gli amici possono solo leggere il titolo” (Virginia Woolf)

 

         Questa potrebbe essere la definizione letteraria per descrivere le persone colpite dalla patologia dell’Alzheimer. Questa malattia, più di tante altre, costituisce per la scienza medica ancora un mistero e per i familiari un tabù nonostante si cerchi, da alcuni anni, di focalizzare sempre più l’attenzione e la cura sulla persona piuttosto che sul malato. Ciò che la rende diversa dalle altre patologie è il particolare tipo di rapporto che si crea tra malato e familiari. Tutti i sentimenti sino allora sperimentati vengono accantonati, messi a tacere e paiono poca cosa: è una nuova relazione quella che s’instaura basata soprattutto, paradossalmente, sulla donazione e conoscenza reciproca. Il malato esige (o ha diritto) di sentirsi ancora amato e ancora voluto. È una persona, una vita intera a essere imprigionata in una mente colpita dall’oblio e da un corpo colpito da corti circuiti.

         E la sofferenza (quella propria dei caregivers) diventa un’esperienza in cui il dolore non è più un problema da risolvere o che fa orrore ma un “mistero da vivere e condividere” insieme. È un percorso lungo, difficile che quando non trova completa soluzione nell’approccio medico diventa una sfida per la ragione e per la fede. Bisogna continuare ad amarli con la compassione che nasce dall’amore e non dal nostro timore. E allora, quale strada seguire per star loro vicino? Lasciarsi pervadere dalle emozioni: sperimentarle, provarle, viverle fino in fondo anche se fanno male.

         Raccontare, narrare questa patologia è possibile? È possibile – per chi scrive – raccontare con obiettività, lucidità e tenerezza quella particolare situazione che ha vissuto in prima persona? Ci prova Sandra Luigia Rebecchi nel suo interessante (da più punti di vista) romanzo E adesso statemi a sentire, una storia di fantasia che parte da una situazione autobiografica per approdare, in alcuni punti, alla Narrative Based Medicine.

         La storia di Rina che si racconta in prima persona mentre la sua malattia progredisce inesorabilmente rappresenta la triste realtà della sua patologia ma anche la metafora della nostra malattia: il rapporto ambiguo e, spesso, ambivalente che abbiamo nei confronti della nostra vita, delle nostre scelte, dei nostri ricordi. La scrittura piana e, nello stesso tempo, profonda; l’uso ripetitivo e continuato di domande accompagna il lettore in questo dramma familiare riuscendo (e, forse, questo è il maggior pregio che riconosciamo) a creare un’atmosfera di coinvolgimento e di straniamento. Leggiamo, pensiamo, riflettiamo, ricordiamo, ci commuoviamo e ci allontaniamo perché sappiamo e riusciamo a percepire che, a volte, soltanto il Dolore ci permette di conoscere l’abisso più profondo del nostro essere.

         “Senza di lei e senza la sua malattia, non avrei potuto conoscere alcune realtà, non avrei potuto vivere in profondità alcuni sentimenti” (pag. 190).

(Molto apprezzabile anche la bibliografia di riferimento).

© Brunella Bassetti, Fondazione Paolo Procacci

Il libro E adesso statemi a sentire di Sandra Rebecchi si avventura con coraggio nel terreno misterioso e poco esplorato in letteratura della malattia di Alzheimer. Ma non solo. Io estenderei questa considerazione alla vecchiaia in generale. Altro argomento di cui non sembra politicamente corretto parlare o scrivere, in una società come la nostra in cui bisogna essere giovani, belli e in salute perché solo così si può tenere il ritmo frenetico che domina la vita moderna.

Sandra Rebecchi scopre con il dovuto rispetto il mondo lento degli anziani ed è davvero una novità. Ne mette in risalto la ricchezza interiore, il vissuto pieno di esperienze spesso difficili, di ostacoli da superare, l’umanità, l’abbandono di sovrastrutture ipocrite, la spontaneità.

Il lettore segue pagina dopo pagina l’evolversi della malattia di Rina, amorevolmente accudita dalle figlie, che con paziente dolcezza la stanno a sentire, come recita il titolo dell’opera, e la comprendono. I ruoli si sono invertiti ma il filo del sentimento profondo tra loro non si è spezzato. E di amore nel libro ce n’è tanto. Rina stessa ha amato tanto nella vita e ama ancora. Non riesce più a parlare del bene che prova, ma lo prova. La mente non va più di pari passo con il cuore e si perde a rincorrere episodi di un passato lontano che tornano nitidi. Il fisico sta cedendo ma la stanchezza prevarrà sulla voglia di vivere solo dopo un’ultima definitiva lotta.

La dedizione dei familiari è il mezzo attraverso il quale Rina rimane fino all’ultimo giorno una persona. Articola a stento le parole, non ricorda le cose più semplici, cosa ha fatto, cosa ha mangiato, non riconosce la casa, ma conserva la dignità. Questo è ciò di cui spesso ci si dimentica.

Un anziano, anche se è malato, ha vissuto, porta dentro un bagaglio personale immenso, ha creato, ha dato e resta uno di noi, fa parte della nostra famiglia e ha ancora insegnamenti preziosi per noi, se abbiamo la delicatezza d’animo per coglierli.

Fino al suo ultimo respiro.

Grazie a Sandra Rebecchi per l’implicito delicato monito a non trascurare fino alla fine il tesoro inestimabile rappresentato dai nostri ‘vecchi’.

© Laura Vazzana