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Sandra Rebecchi, I libri mi parlano?

23 venerdì Set 2016

Posted by letteremigranti in letture, Sandra L. Rebecchi

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Jean-Paul Sartre, letture, libri, Patrizia Rinaldi, Sandra Luigia Rebecchi

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Libreria a Lisbona. Foto di Sandra L. Rebecchi

               I libri mi parlano?

Sono una lettrice compulsiva. Da sempre. Lo so. A casa mi aspetta una intera libreria stracolma di libri da leggere assolutamente, per i quali ancora non ho trovato il tempo (o il momento giusto?). E solo occasionalmente leggo e-book, eppure l’ingombro sarebbe minore.
Spesso mi prendo in giro da sola. I libri costano e se entro in una libreria non riesco ad uscirne senza acquistarne almeno uno:  prima o poi, al momento di pagare, il POS mi straccerà il cartoncino del Bancomat …
Scherzo, ma poi mica tanto. E non è solo un fatto economico. Entrare e uscire dai mondi di cui parlano i libri che leggo non mi farà male prima o poi? Le mie entrate e uscite sono frequenti: a volte dopo tre giorni di immersione in un thriller, inizio a leggere una saga, oppure un saggio di psicologia.
Perché sono anche una lettrice onnivora, non mi tiro indietro davanti a niente.
Però non può essere solo mia la responsabilità … Non sarà un po’ anche colpa dei libri?
Beh, in un giorno del luglio scorso, ne ho avuto la riprova: non sono io quella esagerata, sono i libri che mi parlano, che mi chiedono di leggerli.
Ora ve lo racconto se promettete di non prendermi per matta.
In luglio, appunto, entro in una libreria sconosciuta, abbastanza grande, di quelle con le scaffalature alle pareti, ma anche gli espositori staccati dal muro stracolmi delle ultime novità. Comincio a camminare in mezzo ai libri e dopo poco trovo quello per il quale sono entrata: un romanzo di Murakami. Accanto ci sono ovviamente altri autori e, senza pensare, prendo dallo scaffale altri volumi e ormai le mie mani sono colme. Mi siedo su una pedana di legno che sporge da sotto uno scaffale. Dopo averli poggiati accanto a me, comincio a guardare meglio i libri. Leggo le notizie sugli autori e la quarta di copertina. Poi inizio a sfogliarli: sì, il carattere, i capitoli (in genere mi piacciono quelli divisi in capitoli;  i discorsi senza soluzione di continuità mi turbano), il numero di pagine. Poi inizio a leggere qualche riga di ognuno, passando compulsivamente dall’uno all’altro.
Mi si avvicina la commessa. Gentile e sorridente, mi saluta. Ha altri libri in mano e me li porge:  «Signora, sono usciti da poco, forse possono interessarle!»  Ringrazio e lei mi porge altri quattro volumi. Li ammucchio con delicatezza accanto a me e comincio ad esaminarli. Allo stesso modo in cui lo fanno tutti. La stranezza forse è che sono completamente dimentica di essere seduta quasi a terra e di sfogliare, alternandoli, volumi su volumi.
Quanto tempo sono rimasta lì? Non lo so. So che stavo bene contornata da migliaia di pagine stampate e comunque ero completamente assorta.
Quando mi sono riavuta avevo scelto; sono andata in cassa col romanzo per il quale ero entrata più altri quattro. Come al solito. Continua a leggere →

Letture a due voci, 3: Patrizia Rinaldi, Ma già prima di giugno

28 giovedì Gen 2016

Posted by letteremigranti in Recensioni, Romanzi, Rubriche

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edizioni e/o, Laura Vazzana, Letture a due voci, Patrizia Rinaldi, recensioni, romanzo, rubriche, Sandra Luigia Rebecchi

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Patrizia Rinaldi, MA GIA’ PRIMA DI GIUGNO, edizioni e/o, 2015

Alla lettura del romanzo Ma già prima di giugno, di Patrizia Rinaldi, non si può restare indifferenti.

La cosa che colpisce fin dalle prime pagine è il linguaggio: una prosa secca, asciutta, ma capace di staffilate improvvise, un linguaggio letterario sapiente, che trasmette l’ansia delle due protagoniste di raccontarsi, di far sentire ad altri il proprio dolore, ma, allo stesso tempo, di gridare la testarda tenacia nel voler vivere appieno tutto ciò che il destino ha in serbo per loro.

Patrizia Rinaldi sceglie di raccontare la vita di due donne, una madre e sua figlia. Ci spiega lei stessa in una nota la struttura del romanzo: si tratta di due percorsi paralleli che si troveranno a convergere e a raccordarsi solo nelle ultime pagine.

Le storie narrate sono diverse:  Maria Antonia, la madre, ha vissuto sulla sua pelle gli orrori della guerra, è fuggita da Spalato, ha perso il marito nelle foibe, ha visto partire i suoi fratelli per i campi di lavoro. Quello che la tiene in vita, che la spinge a combattere è la voglia di riscatto, il desiderio di prendersi quello che la vita le ha negato. Bella e sfacciata, dà scandalo, mentre sfida la miseria. Si conquisterà in età avanzata l’amore di un giovane studente e dal loro rapporto nascerà Ena, la seconda protagonista del romanzo.

Mentre la storia di Maria Antonia viene raccontata in terza persona, è Ena stessa ormai anziana a descrivere la sua realtà.È confinata in un letto e il suo mondo è limitato alla stanza dove è immobilizzata. La assiste una giovane slava, che Ena chiama sprezzantemente Abbadessa. Il rapporto delle due donne è un difficile continuo scontro. La sfrontatezza di Ena sfida la morte,  la sfida parlando di sesso, del suo corpo che si disfa giorno dopo giorno; Ena rifiuta gli atteggiamenti più comuni in una anziana per scegliere di sbeffeggiare tutti, compresa se stessa e il suo destino. Le fa da contrappunto il silenzio ostinato della ragazza, che tenta di mantenere un rapporto distaccato con la malattia, pronunciando il minimo indispensabile di parole, generando regole di vita e chiudendosi in un guscio protettivo.

Ci sono molte altre figure femminili nel racconto. Oltre Maria Antonia, Ena e l’Abbadessa compaiono una Monaca, la portinaia e altre; in particolare Giuseppina, amica di infanzia di Ena, che ormai parla a malapena: proprio lei assisterà alla sua fine e la vivrà come un tradimento.

Nell’ombra, appena tratteggiate, le figure maschili, che, una volta chiuso il libro, si dimenticano.

Il romanzo di Patrizia Rinaldi è storia di donne. Sono donne forti e decise, che hanno il coraggio di tradire i ruoli che la vita ha loro assegnato e guardano in faccia il destino, quando non lo conoscono e lo sfidano e quando lo conoscono e lo sfidano ugualmente. Il femminile che c’è in queste pagine è vario, ma pieno di forza e di speranza per il futuro, è un femminile che non si arrende, che combatte quando vince e quando perde, non facendosi inutili domande, vivendo giornata dopo giornata senza ripensamenti, con una decisione che nulla scalfisce. Perché “vivere vale la pena!”

Un bel romanzo, da leggere e rileggere per afferrare veramente tutto quanto, scritto o sotteso, ci racconta Patrizia Rinaldi.

© Sandra L. Rebecchi

Ma già prima di giugno è un altro esempio della scrittura calda, avvolgente, appassionata e passionale di Patrizia Rinaldi.

Nel delineare i tratti delle due protagoniste, la madre Maria Antonia da giovane e la figlia Ena da vecchia, l’autrice crea due personalità diametralmente opposte, dotate entrambe di realismo,  ma in modo diverso.

Le storie proseguono parallelamente, una nel passato e l’altra nel presente, una in terza persona, l’altra in prima. La figlia è sempre stata un po’ vecchia in fondo, mentre la madre non invecchierà nello spirito mai. Eppure si è dovuta confrontare con gli orrori e la miseria della guerra, ma forse proprio per questo è tenacemente attaccata alla vita, anche se con la vita è arrabbiata. “Troppo selvatica per morire” la definisce il marito Augusto, che non tornerà più dal fronte.

Nell’attesa sfibrante di sue notizie certe, Maria Antonia è preda di sentimenti oscillanti, vorrebbe credere in un ritorno, ma la ragione le suggerisce di non coltivare speranze impossibili. Lo sogna vivo sapendo, in cuor suo, che è morto.

Con poche nitide parole, l’autrice ci fa vedere Maria Antonia di fronte alla crudele verità: “un altro pezzo di lei era diventato pietra”. Nonostante tutto, rimasta sola, si rialza, lotta e raggiunge i suoi obiettivi.

La figura di Ena, alla vivacità della madre, contrappone il cinismo di chi non si aspetta nulla. Forzata a letto da una seria frattura, ha un immaginario appuntamento con la morte per giugno e intanto ricorda e commenta aspra, provocatoria e disincantata.

Tuttavia, qua e là, la vediamo cedere alla tenerezza, ma è una tenerezza che preferisce tenere per sé. Verso il figlio, ad esempio: “vorrei dirgli che lo amo perdutamente, nel modo sbagliato di una qualsiasi Filomena”. Verso l’amica di una vita, Giuseppina. E verso la sorella che non c’è più.

La storia di Maria Antonia si chiude con la nascita di Ena, quella di Ena con la propria morte.

Mirabile quadratura del cerchio.

© Laura Vazzana

Qui la mia lettura di Ma già prima di giugno.

Letture a due voci, 1: Patrizia Rinaldi, Rosso caldo

15 martedì Set 2015

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Letture a due voci, Narrativa, Recensioni, Romanzi

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Anna Maria Curci, edizioni e/o, letture, Patrizia Rinaldi, recensioni, romanzi, rubriche

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Patrizia Rinaldi,  Rosso caldo, edizioni e/o, 2014

Leggendo Rosso caldo di Patrizia Rinaldi si respira Napoli. Una Napoli autentica, abbracciata dal suo mare e accarezzata dal suo vento carico di profumi quotidiani, quello del pane, quello dei fiori, quello della pioggia.
Si è raggiunti con naturale semplicità da un girotondo di personaggi di varia umanità, dipinti a tinte allegre e vivide come pure più fosche, a formare un quadro di realtà. Con loro si ride e si piange.
Il mistero della trama, avvincente e fluida, conduce tra le strade, tra i palazzi, dentro le case, illustrato da piccoli eppure indimenticabili cenni descrittivi di luoghi dall’atmosfera particolare, come il “pezzo di passato, sopravvissuto non si sa perché” che ospitava il basso della casa delle cugine Rosselli.
L’introspezione dei personaggi, più delineata nei capitoli monologo ad essi dedicati, prosegue per tutta l’opera con pensieri intimi e osservazioni che rendono familiari quei volti solo immaginati. I fatti del commissariato di Pozzuoli e degli altri che ruotano intorno alla vicenda coinvolgono per la veridicità e si seguono con ansia.
Una menzione particolare, certamente, va alla contraddittoria e difficile relazione tra Blanca, la sovrintendente, e l’ispettore Liguori. Si amano ma si fuggono. Si cercano ma si evitano in un’alternanza di paura, sentimento profondo, vigliaccheria e attrazione. Blanca, ipovedente, soffre perché lui le sussurra parole stupende e poi sparisce. Vorrebbe troncare ma lo sente fortemente in tutto il suo essere. Sente il suo amore scombinato e incoerente, ne ha bisogno ma non può permettersi il dolore che prova. «Mi levi forza, Liguori, mi fai molla di carne viva, senza pelle».
E poi c’è Ninì, figlia adottiva di Blanca. Sembra di vederla, chiusa nel ripostiglio della scuola, sola con la sua vita tormentata, lontana anni luce dai compagni e dai professori, pieni di atteggiamenti e idee che non la toccano. Anche Ninì ama Blanca in modo contraddittorio, di un sentimento spaccato a metà ma vero.
Come non affezionarsi a loro?
Servendosi di un linguaggio immediato e spontaneo, l’autrice dissemina le pagine del romanzo di brevi frasi di una saggezza universale e antica che, dalle labbra dei personaggi, vanno dritte all’anima del lettore per restarvi.
«Evitare il dolore equivale a evitare la vita».
«Ospedali, carceri e roba simile… mi sembrano meno finti di tutto il resto».
Questo libro possiede un requisito essenziale: dispiace quando si arriva all’ultima pagina.
Da leggere.

©Laura Vazzana

*

Con Blanca e la sua percezione ‘altra’, superiore e dolorosa, tornano il commissario Martusciello e la sua saggezza mal conciata dalla vita, l’ispettore Liguori,  che pratica l’arte dell’investigazione come i nobili avi coltivavano l’otium, ma che qui vacilla tra crisi latente e palese,  l’agente scelto Carità con le sue teorie irresistibili, tornano splendori e miserie di Napoli e Pozzuoli, veri personaggi di primo piano.  Misteri e delitti corrono affiancati e paralleli, le mura di palazzi storici gemono, uditi solo da chi è in grado di sentirli, con un talento nato, forse, proprio dall’esclusione.  L’amore, «lasciato lì con le zampe che si muovono ancora», reclama la sua parte sin dai versi di Raboni in epigrafe.

©Anna Maria Curci

Patrizia Rinaldi, Ma già prima di giugno

01 sabato Ago 2015

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Lettere migranti, Narrativa, Recensioni, Romanzi

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Anna Maria, Curci, edizioni e/o, Elio Pagliarani, foibe, Napoli, Nisida, Patrizia Rinaldi, Poetarum Silva, recensioni, romanzo, Spalato, storia, Villaggio Cultura - Pentatonic, Villaggio Giuliano-Dalmata

In questo mese di agosto 2015 i lettori di “Lettere migranti” troveranno qui una scelta di “inviti alla lettura”. Il primo appuntamento è con il romanzo di Patrizia Rinaldi, Ma già prima di giugno.

Rinaldi_Prima_di_giugno

 

Patrizia Rinaldi, Ma già prima di giugno, edizioni e/o 2015

Inventario di un incontro
di Anna Maria Curci

«Ma già prima del termine di giugno/ la mia palinodia divenne sorte:/ nessun antagonista alla mia morte» (Elio Pagliarani, da Inventario privato; versi riportati in esergo da Patrizia Rinaldi). Al termine del nostro incontro nel settembre scorso ho ricevuto da Patrizia Rinaldi una promessa. O meglio, con l’orgoglio pudico di chi legge e, lontano dalla vista altrui, pensa che tutto ciò che è scritto sia rivolto a lei,  a lui, ho accolto quell’annuncio – ché annuncio era – come una promessa. A fine settembre 2014, dunque, alla domanda circa i suoi progetti futuri che le ho rivolto mentre eravamo al Villaggio Giuliano-Dalmata, Patrizia Rinaldi ha risposto che le vicende narrate avrebbero menzionato anche una sorte non dissimile da quella toccata a molti dei primi abitanti del quartiere romano nel quale ci trovavamo a parlare. Un sobbalzo, difficile da spiegare con meri dati autobiografici, ha inaugurato allora la mia attesa, che si è conclusa «prima del termine di giugno», allorché il libro è stato pubblicato. Un’attesa che è stata premiata, perché, sì, confesso di aver provato amore per gli scontri, fieri e dignitosissimi, con gli «scostumatelli dal falso sdegno» di Maria Antonia, la madre, narrata da giovane, e di Ena, la sua terzogenita, da vecchia, che a quella narrazione alterna il racconto in prima persona. Ho indugiato, con lo sguardo che riconosce parenti molto più stretti dei consanguinei, su gonne plissettate, su stoffe da arredi sacri, «cascioni» e ricicli vari, su guanti, sottovesti, pois e cappellini, su scarpe amorevolmente curate e, di necessità,  virtuosamente «pittate».

Mi guardo le mani.
«Se vorrai mentire sull’età, non dimenticare di metterti i guanti» mi diceva mia madre, dimenticando che l’era dei guanti fosse già finita da un pezzo.
Nel reparto laterale dell’armadio riposano in pace guanti di filo, di lana, di pelle. Quelli di pelle avrebbero dovuto essere conservati meglio, magari con della carta all’interno, invece l’incuria li ha costretti in un ammasso di dita e di polsi.
Il loculo dei guanti è un solido geometrico con l’odore di mia madre. Un misto di lavanda immortale, di retrogusto di tuberose, olezzo di rossetto stantio. (p. 39)

Ho attraversato l’odore acre della fuga per la sopravvivenza,  il pozzo della fame che nasconde il fondo e tende nicchie come trappole, “il sole nero della malinconia” compagna e musa, perfino l’Agro Pontino, la terra piatta e la malaria fatale dei racconti che qui dove vivo ho ascoltato da più voci.

Sono tornata a fissare l’occhio sulla sagoma di Nisida: anche quella non manca mai di far spiccare balzi al cuore e accennare piroette alla testa, perché ci sono orizzonti che si abbracciano come propri, anche quando non si sono ‘realmente’ palesati nella nostra infanzia.
Ho tuffato il naso nel glicine, ho percorso su e giù lo scalone della «villa a mare», ho abitato «la casa vicino ai binari del tram», ho ascoltato quieta e ho studiato con Lucia, la primogenita di Maria Antonia, ho cucinato la pizza di zucchine con Giuseppina, l’amica di Ena, ho tremato a Dachau con i fratelli di Maria Antonia, Renato, Tore e Arturo, ho scoperto la fatica paziente e buona del riaggiustare.

Renato e Tore furono assegnati alla pressa e alla pazzia.
Arturo fu impiegato per la riparazione delle macchine. L’ebete fissazione per Zoccolì lo conservò quasi indenne.
Aveva una capacità rara di stare al pezzo per ore e ore, non mollava un ingranaggio finché non l’aveva riparato. Ricostruiva parti mancanti o lesionate con ogni genere d’invenzioni meccaniche.
Le sue mani avevano l’intelligenza che a lui mancava.
Per questo prigionieri e sorveglianti gli permettevano di restare da solo; presto diventò per tutti una macchina che aggiustava macchine. E basta. (pp. 69-70)

Per colpa della guerra, dopo la guerra e nella guerra perpetua che si dilata, serpe smisurata, nella Storia: non è litania blasfema o «arrovogliata», è filo conduttore, è legenda della mappa di questo libro e dell’esistenza, della danza, con le scarpe pittate, i piedi scalzi o l’acetabolo rotto, con la signora che ha tra le braccia un fascio di spighe e miete, miete, senza alcun antagonista.

© Anna Maria Curci

La nota di lettura è apparsa il 13 luglio 2015 su Poetarum Silva, qui

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