
Lutz Seiler all’Associazione Villaggio Cultura, Roma, 16 novembre 2011. Foto di Spartaco Coletta
Lutz Seiler, Nel latino dei campi
im felderlatein
einmal begründet sind wir ein bast
auf der borke
zu gast in der rinde & inneres kind
der ausfall strassen. diese
strassen sind eine leise gesprochene
sprache noch über das einmal
gesagte hinweg an den gärten
ins felderlatein. dort
sitzt das kind auf einem hügel die
welt ist aus sand gemurmelte sprachen
rollen nach innen wollen
auch wasser brücken
& strassen
benötigen leise
rollende sprachen das
eigene kind im felderlatein
Qui si può ascoltare Lutz Seiler che legge im felderlatein
nel latino dei campi
una volta fondati siamo un filo di rafia
sulla scorza
ospiti nella corteccia & figlio interno
delle strade radiali. queste
strade sono una lingua parlata
a voce bassa oltre ciò che è stato detto
un tempo passa per i giardini
fino al latino dei campi. lì
siede il bimbo sopra un colle il
mondo è lingue mormorate di sabbia
rotolano all’interno vogliono
anche acqua ponti
& strade
hanno bisogno di lingue
che rotolano a voce bassa il
proprio figlio nel latino dei campi
Lutz Seiler
(traduzione di Anna Maria Curci, da: Lutz Seiler, La domenica pensavo a Dio / Sonntags dachte ich an Gott, Del Vecchio Editore 2012, pp. 82-83)
Nella raccolta pech & blende domina il ‘paesaggio accidioso’ (“träge Landschaft”, Elmar Krekeler in un articolo apparso su “Die Welt” il 14 luglio 2007) della Turingia occidentale, zona devastata dallo sfruttamento legato alla Wismut, ditta mineraria della Germania Est che si occupava della lavorazione dell’uranio come materia prima per l’industria atomica sovietica. Il paese natale di Lutz Seiler, Culmitzsch, raso al suolo dalle ruspe della Wismut, non esiste più da molti decenni. Nella resa asciutta e incisiva di una perdita incolmabile, il testo im felderlatein emerge, per contrasto, nel suo slancio di ri-fondazione.
È proprio la parola “latino” a portare con sé, facendolo rotolare “a voce bassa”, questo slancio. La lingua tedesca unisce infatti nella parola “Latein” (latino) lingua e sapere. Chi esaurisce il proprio ‘latino’ è giunto ai confini, alle colonne d’Ercole del proprio sapere. Due locuzioni, tipiche della lingua parlata ed entrambe risalenti al 18° secolo, come attesta il Wörterbuch der deutschen Umgangssprache (Dizionario della lingua colloquale tedesca, Klett 1997, pag. 484), ne sono un esempio evidente: “ihm geht das Latein aus” e “mit seinem Latein am Ende sein” corrispondono alle espressioni italiane “non sa che pesci pigliare” e “non sapere più a che santo votarsi”.
Che cosa succede, invece, in questi versi? Il latino lingua dei dotti, distante e ignota ai più, che aveva generato le espressioni colloquiali menzionate, si fa “felderlatein”, “latino dei campi”. Percorre sentieri noti e ignoti, campi coltivati e incolti, fonda insediamenti, reclama e costruisce ponti e acquedotti. Rivendica diritto di parola, lungo “strade radiali”, fuori dalle città, oltre i giardini pre-ordinati, alla ruvidezza della corteccia, al rollio sommesso, al bisogno di ponti e alla sete di acqua, all’atto creativo, figlio-bimbo seduto sulla collina, che annusa, contempla, ruzzola, “rotola” percorre con tutti i sensi il “latino dei campi”.
Assume piena consistenza, qui, quello che Lutz Seiler afferma nel saggio apparso nel volume, dal titolo carico di significati (patrie, case, paesi natii e luoghi di adozione), Heimaten (Lutz Seiler- Anne Duden – Fahrad Showghi, Heimaten, Wallstein, Göttingen 2001): “Löst man den Heimat-Begriff aus seiner territorialen Bestimmung, kann praktisch alles, was »Heimvalenz« besitzt, was als Heim, Herkunft, als ursprüngliche Behausung erfahrbar wurde, »Heimat« sein.[..] Oft wird Sprache als »Heimat« bezeichnet, und das Schreiben kann auf diesem Wege »behausen«”: “Se si libera il concetto di Heimat, casa, patria, dalla sua determinazione territoriale, praticamente tutto ciò che possiede la «valenza di casa», che è stato vissuto come casa, provenienza, dimora originaria può essere «Heimat, patria, casa» [..] Spesso la lingua viene definita «patria, casa» e la scrittura può, per questo tramite, «dare una casa».
Se «Ognuno ha solo un canto», come ricorda Lutz Seiler citando Paul Bowles, il canto fonda la poesia, la poesia fonda e ri-fonda mondi.
®Anna Maria Curci