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Franz Kafka nacque il 3 luglio 1883, 140 anni fa. Per ricordarlo, pubblico oggi qui, su “Lettere migranti”, la mia traduzione del racconto “Die Sorge des Hausvaters”, che ho reso con il titolo “L’assillo del padre di famiglia”. (Anna Maria Curci)

 

L’assillo del padre di famiglia

Alcuni dicono che la parola Odradek sia di origine slava e, sulla base di ciò, cercano di documentare la formazione di questo termine. Altri ancora ritengono che sia di origine tedesca e che dallo slavo abbia subito soltanto degli influssi.  L’incertezza delle due interpretazioni permette tuttavia di desumere in maniera fondata che probabilmente nessuna delle due colga nel segno, tanto più che da nessuna delle due si evince un senso della parola.
Naturalmente nessuno si occuperebbe di tali ricerche se non esistesse realmente un essere che si chiama Odradek. A prima vista appare come un rocchetto di filo piatto, a forma di stella, e in effetti sembra anche ricoperto di filo di refe; potrebbero essere però soltanto dei pezzi di filo sdruciti, vecchi, annodati l’uno con l’altro, ma fino a formare, anche, un groviglio indistricabile, dalle forme e dai colori più disparati. Eppure non è soltanto un rocchetto, ma dal centro della stella spunta un bastoncino messo di traverso, e a questo bastoncino se ne aggiunge poi, ad angolo retto, un altro. Con l’ausilio di quest’ultimo da un lato e di una delle punte della stella dall’altro, tutto l’insieme può stare in piedi, come reggendosi su due gambe.
Si sarebbe tentati di credere che questa struttura avesse avuto un tempo una qualche forma funzionale e che ora sia andata semplicemente in frantumi. Ma le cose non sembrano stare così: perlomeno non si trovano indizi per questo; da nessuna parte si possono vedere punti di giuntura o di frattura che farebbero supporre un’ipotesi di tal genere; tutto l’insieme appare sì privo di senso, ma, a modo suo, in sé concluso. D’altronde, non si può dire nulla di più preciso a questo proposito, dal momento che Odradek è straordinariamente mobile e non si lascia catturare.
Soggiorna, a turno, in soffitta, per le scale, nei corridoi, nell’ingresso. Talvolta non si fa vedere per mesi; allora, probabilmente, si è trasferito in altre case; tuttavia, immancabilmente, torna a stare nella nostra casa. Talvolta, quando si mette un piede fuori dalla porta e in quel momento lui è appeso alla ringhiera delle scale, viene voglia di rivolgergli la parola. Naturalmente non gli si pongono domande difficili, ma lo si tratta – e le sue dimensioni minuscole invitano a farlo – come un bambino. «Come ti chiami?», gli si domanda. «Odradek», dice lui. «E dove abiti?» «Residenza indefinita», dice e ride, ma è solo una risata quale può essere prodotta da chi è senza polmoni. Suona pressappoco come un fruscio tra foglie cadute. Con questo, per lo più, finisce la conversazione. D’altro canto non è che perfino queste risposte possano essere sempre ottenute; spesso resta a lungo muto, come il legno di cui pare essere fatto.
Invano mi domando quale sarà la sua sorte. Può morire? Tutto ciò che muore ha avuto prima una sorta di obiettivo, di attività e per questo si è fatto a pezzi. Ma ciò non corrisponde a verità nel caso di Odradek. Succederà in futuro, dunque, che ruzzoli ancora per le scale strascicando con sé fili di refe davanti ai piedi dei miei figli e dei figli dei miei figli? Non nuoce a nessuno, questo è evidente; ma l’idea che mi possa sopravvivere mi è quasi dolorosa.

(da: Franz Kafka, Die Sorge des Hausvaters, in: F. Kafka, Ein Landarzt. Kurt Wolff Verlag 1920. Traduzione di Anna Maria Curci)