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Archivi tag: Haiku

Sandra Rebecchi, Perché i giapponesi?

19 mercoledì Ott 2016

Posted by letteremigranti in letture, Romanzi, Sandra L. Rebecchi

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Tag

Banana Yoshimoto, Giappone, Haiku, Haruki Murakami, Kenzaburo Oe, Natsume Soseki, romanzi, Yasunari Kawabata

haiku_kanji

Perché i “giapponesi”?

Seduta sul tappetino della palestra, in attesa dell’istruttrice, leggo qualche pagina di Murakami. Una ragazza, mia compagna di corso, entra e saluta: «Anche a te piacciono i giapponesi?? Io ne vado matta. Li leggo tutti-»
Da quel giorno, ogni volta che ci incontriamo, è un continuo: «Hai visto l’ultimo di … ? Hai letto …?» e ci teniamo aggiornate sulle nostre rispettive scoperte … “giapponesi”.
Sì, ma perché questa specie di invasione sugli scaffali delle librerie e perché questa passione ha preso piede?
Un po’ tutti abbiamo iniziato la nostra esplorazione dell’Oriente con Banana Yoshimoto. All’inizio degli anni novanta, il suo Kitchen ci ha conquistato. Ci siamo appassionati e abbiamo cercato di leggerla tutta: i suoi libri uscivano di frequente e non erano mai pesanti, né come numero di pagine, né come stile.
Cosa c’è in quelle pagine di nuovo?
Intanto una leggerezza diffusa, fatta di scene prese dalla vita di tutti i giorni, stati d’animo sui quali velocemente si sorvola, il femminile: i racconti si susseguono ai racconti e, anche quando i temi trattati sono importanti e drammatici (in Sonno profondo, ad esempio) lei si muove al loro interno senza mai alzare la voce o i toni, innescando nel lettore emozioni forti, ma poco persistenti, emozioni che sembrano non lasciare traccia. Abbandoni, famiglie che si disgregano, la stessa morte diventano temi accessibili in modo spontaneo, tracce di vita che riconosciamo.
Alla fine degli anni novanta, prima Marsilio e poi Neri Pozza (2000) pubblicano Natsume Soseki. Lui ha un grande successo: il suo Sanshiro diventa uno dei romanzi più letti in Giappone e forse lo è ancora. Nelle sue pagine si contrappongono vecchio e nuovo. È più introspettivo di Banana, perciò ha una permanenza più elevata nella mente del lettore.
Cosa stiamo cercando? Perché li leggiamo? Sicuramente siamo alla ricerca di qualcosa di nuovo, di diverso. Ma forse cerchiamo anche senso della misura, proprietà di sintesi associata al dire tutto, tutto quello che è necessario dire. C’è desiderio di “esotico”, di qualcosa di diverso dai nostri grandi? Probabilmente sì: voglia di uscire dai nostri canoni, dal nostro dire.
Parlando degli ultimi trent’anni, cominciano a comparire in Italia i fumetti, i manga: nuove e accattivanti le immagini. Si discute sul significato educativo di questi fumetti e sull’impatto che hanno su bambini e adolescenti. E dopo aver letto i primi haiku, che vengono tradotti in italiano intorno al 1920 pur essendo nati moltissimi anni prima, abbiamo cominciato a scriverne, seguendo le rigide regole metriche[1].
Sicuramente c’è amore per la sintesi efficace, per poche parole, ma talmente secche e puntute da andare a segno. Anche i manga del resto vanno a segno e molti ci si appassionano. Si tratta di nuovi linguaggi che i lettori italiani faticano all’inizio a decodificare; lentamente però li fanno loro fino ad adottarli. Continua a leggere →

Francesca Del Moro, Gli obbedienti

18 sabato Giu 2016

Posted by letteremigranti in Anna Maria Curci, Poesia, Recensioni

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Tag

Anna Maria Curci, Cicorivolta edizioni, Francesca Del Moro, Gli obbedienti, Haiku, lavoro, Monicelli, Poesia, recensioni

gli_obbedienti_cover_fr

Francesca Del Moro, Gli obbedienti. Postfazione di Anna Maria Curci, Cicorivolta edizioni 2016

Una scelta di poesie e un estratto dalla postfazione

IV

transumando
rumore di porte del treno
che fischiano e chiudono
clang clang
scalpiccio di rapidi passi
che pestano pozze
ciaf ciaf
ecco i cappotti gli ombrelli
le borse le ore
tic tac
le ore le ore le ore
che inseguono svelte
le ore che spostano corpi
come lancette

*

XII

Aveva indubbiamente
dentro la testa china
un cervello ribelle.

*

XXI

Prima ancora della morte
l’aperitivo è ’a livella.
Bevete ora tutti insieme
e arditi vi gonfiate il petto,
scherzate pure con i capi
e li sfottete amabilmente.
Siete davvero tutti uguali,
sparate subito sui social
le belle foto conviviali.
L’ultima volta era ieri,
in un bel localino in centro.
Solo lo scorso lunedì
lei se n’è andata via piangendo,
l’invito è giunto martedì.

*

XXV

Ce l’hai fatta per fortuna
ad augurargli la buona notte,
gli hai rimboccato le coperte
e poi hai spento la luce.

“Per te sarà tutto diverso”
gli hai sussurrato prima di andare
come diceva sempre tuo padre.

*

XLI

Haiku-dilemma

Se invece l’arte
fosse l’oppio dell’occhio
che non sopporta?

*

XLVIII

Il saldatore appena assunto
e il muratore in pensione
discutevano in treno
di dignità sul lavoro,
di giustizia e rispetto.

Ed era tutto un proliferare
di prime persone,
plurale il vecchio
e singolare il giovane.

*

LIII

Oh gli indie-gnati
adepti di tuttology
loro lo sanno
cos’è il bello
loro hanno letto
questo e quello
e la cultura
non ce l’hanno
in cuore o in testa
ma al collo o al polso
come un gioiello.
Non hanno piazza
né rappresentanza
né un piccolo sogno,
gli basta darsi un po’
di gomito, lanciare
un’invettiva al giorno
e anticonformarsi
tutti in coro.

*
LXX

Dopo un film di Monicelli, tornando

Quella massa di cafoni
affamata, cenciosa e sporca
sembrava un’enorme famiglia
era capace di una lotta.

Erano quattordici le ore
che pesavano su di loro
mentre voi ne fate nove
anche se in busta sono otto.

Ti torna in mente quella volta
– oh molti anni or sono –
in cui l’impronunciabile parola
ti sfuggì di nascosto.

Quando hai parlato di sciopero
per qualche giorno stranamente
non hai avuto più nessuno
con cui prendere il caffè.

_________________________

Orchestrare le voci nell’era
del precario e dell’abnorme:
Gli obbedienti di Francesca Del Moro

Una colonna sonora attenta a cogliere e a trascrivere la condizione contemporanea, condizione che all’aggettivo ‘umana’ non può non applicare, gogna permanente, un prefisso: dis-umana, sub-umana, trans-umana, con buona dose di probabilità non oltre-umana. Una partitura che riporta, con precisione, tonalità, tempi e velocità di esecuzione, acuti, dissonanze, basso ostinato e pause; una partitura che non esita, inoltre, a manifestarsi in fogge inusuali. Poesia visiva, sonorità e architettura, contenuto scomodo e forma rigorosa che duettano, si completano.
Con questi enunciati proviamo ad avvicinarci a Gli obbedienti di Francesca Del Moro, opera che unisce compattezza e complessità. Si rischia l’osso del collo, nell’era del precario e dell’abnorme, a trattare una materia sfuggente, scivolosa, la sabbia mobile della grande illusione della libertà di espressione e la smisurata menzogna della flessibilità, e a tenere, al contempo, il punto della ‘norma’ metrica, a procedere sulle righe di un pentagramma, divenute oramai funi sottilissime, pressoché invisibili, sulle quali avanzare – ghigno del secolo della rete – senza rete. Francesca Del Moro è ben consapevole di questo rischio, che affronta ricorrendo a una grande varietà di forme e conservando, tuttavia, unitarietà al progetto che ha delineato e che persegue, consapevole dei mezzi espressivi, di tascapane, fardelli, zavorre, di riserve di fiato e, dunque, della temerarietà dell’opera-trasvolata, del libretto-salto in cui si è lanciata. Schiene curve, movimenti a scatti e trascinamenti manovrati, orbite inquietanti nella loro familiarità: ecco che l’espressionismo di Metropolis, il film di Fritz Lang, assume la sua voce ai tempi di “faccia-libro”.

[…]

Alla precisione ritmica va associato il rigore nella resa linguistica, che riproduce e, allo stesso tempo, irride l’uso, quando, come capita con desolante frequenza, esso è prova di colpevole sciatteria e di fraintendimento di fondo di funzione e natura della parola, non logos, ma vaniloquio, esibizione, sfoggio di forestierismi a braccetto con ottusità e ignoranza insormontabili perché non sussiste volontà condivisa di superare l’arretratezza profumata e fasciata di apparenza. La poesia XXII ne rappresenta un esempio di indubbia pregnanza, oltre che di divertente espressività: «Eccole le camicie bianche / giovani rampanti twitteggianti / bicoz ol de uorld lav Itali iu nou / ui ev de rinascimento en de pizza / bat ostriche a cena coi potenti».

[…]

Alla luce della sera di una giornata a ciclo continuo, iniziata nell’alba dal sapore metallico di una stazione per pendolari, proseguita a testa china nell’open space o con il viso fugacemente sottratto al grigio e rivolto al sole in una pausa quasi rubata, alla luce di questa sera, dunque, si delinea, chiaro e insopprimibile, l’intento della parola, gesto meditato, rivolta, testimonianza, strappo, critica, memoria.

Anna Maria Curci, gennaio 2016

Lorenzo Poggi, Haiku scuro

06 domenica Ott 2013

Posted by letteremigranti in Lettere migranti, Poesia

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Tag

Anna Maria Curci, Emil Nolde, Haiku, Lettere migranti, Lorenzo Poggi, Poesia, traduzioni

Emil Nolde

Emil Nolde

HAIKU SCURO

Si va per mare
a cercare fortuna
in onde scure.

DUNKLES HAIKU

Man geht auf Seefahrt
auf der Suche nach Glück
n dunklen Wellen.

Lorenzo Poggi

(traduzione in tedesco di Anna Maria Curci)

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