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Mariastella Eisenberg, Madri vestite di sole

01 martedì Apr 2014

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Anna Maria Curci, interlinea edizioni, Lorenzo Poggi, Madri vestite di sole, Maria Serena Peterlin, Mariastella Eisenberg, Poesia

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Mariastella Eisenberg, Madri vestite di sole (interlinea, 2013)

Nota di lettura di Anna Maria Curci

La cognizione del dolore scritta, incisa, scandita brano per brano, ricostruita brandello per brandello, estratta con la determinazione di chi ha subito il colpo più temuto, strappata al silenzio e portata alla luce: questa è l’essenza di Madri vestite di sole di Mariastella Eisenberg. Laddove attorno a noi ci si affanna a negare il dolore, a ignorare il lutto, a soffocare il grido con la vacuità, la poesia, ben consapevole di non essere salvifica, ma responsabile, non narcotica esaltazione, ma espressione, che si fa corale, di ciò che si vuole soppresso, represso, innaturalmente compresso, «restituisce al mondo il dolore, sperando che altri ci aiutino a sopportarlo, anche senza saperlo, solo leggendo quelle parole che ritorneranno in qualche modo a chi le ha scritte.» (p. 159).
Della fatica, quasi insopportabile, dell’estrazione della parola dall’oblio si fa testimone il verso di Mariastella Eisenberg, brevissimo, composto spesso da una sola parola.
Dello strazio della perdita, la più insopportabile per una madre, la perdita della propria creatura, si fa carico la lingua, che taglia e ricompone, seziona e forma parole nuove a dire l’indicibile, a narrare di madri «sfigliate», «alluttate», di creature «dissemblate», di cuore «impietrato», di universo «sfacelato», di «malvolere» e «abbrividarsi». No, non c’è alcun compiacimento in questo dolore, vivo, nel confronto pieno di tensione con la morte, «donnaccia» di porto, «clandestina», «passeggera senza biglietto» (e davvero viene da pensare all’espressione tedesca per «clandestino»: “blinder Passagier”, “passeggero cieco”) sulla nave traballante dell’esistenza, laddove è esaurita la speranza che mortale possa farsi timoniere a mortale. Dal mito classico (Niobe e, sempre, tra le righe, Demetra), dall’epica antica, dalla tradizione biblica e dalla “madre delle madri”, Maria, Miriam di Nazareth, si leva la voce delle Madri vestite di sole nelle sezioni che compongono la raccolta tra il Prologo e l’Epilogo: Andromaca, non piangere più; Mito. Cronaca. Storia; Ale. La bellezza dell’oltre;L’indicibile; Noi.
Sì, si va oltre il dolore privato, dal quale pure prende le mosse la poesia tutta, tutta la poesia. Viene da chiedersi, leggendo, ad esempio, la seconda sezione: e se la storia e la cronaca, la storia della guerra di Troia, della primavera di Praga, della dittatura sanguinaria in Argentina e di Plaza de Mayo, di Tienanmen, dell’11 settembre, la cronaca dei delitti di mafia, della camorra a Casal di Principe delle catastrofi naturali annunciate – il terremoto a L’Aquila, l’alluvione a Messina – la scrivessero, un giorno, le madri? Come la metteremmo, allora, con la duplice manovra consueta, martellante controcanto alle esistenze degli umani «presuntuosi bipedi», di manipolazione e oblio? Ma la bellezza dell’oltre, l’anelito di chi crede, che cosa diventa nella madre «rimasta/dalla parte sbagliata», mentre la «baraonda/giovane« è stata «spazzata/via»? Il dialogo continua, tra la madre e la sua creatura – «Noi/ parliamo in silenzio, madre e figlia … senza disturbare / il mondo» – perennemente sulla soglia. Non si annacqua, né si nega il dolore, ma, «come Sherazade», si narra «per allontanare la morte», in tenace confronto con la «padrona di / tutto».


Testi

È salita
la Morte
sulla nave:
passeggera non gradita,
per di più
senza biglietto.
Scende
vecchia baldracca ubriacona
ad ogni porto.
Ha bisogno
ogni volta
di merce
da svendere
per pagarsi da bere con i marinai
in attesa d’imbarco.
Meglio
i giovani
che
le vecchie madri
rugose
e
macilente.
Valgono meno.

(p. 14)

Clandestina
della vita
è
la Morte
noi pensiamo
stupidi umani
presuntuosi bipedi.
Signora e padrona di
tutto
illude
semi germoglianti
in ventri rigonfi
di madri orgogliose
alluttate
senza più sale negli occhi.
È
la vita
la vera clandestina
del mondo.
Ella pensa.

(p. 17)
Jan Palach

S’è bruciato
su fornello
da nessuno spento
cibo
buono
di madre premurosa.
Studente modello
questo figlio
– correva il 1969 –
laddove
carri armati
schiacciavano
speranze.
S’è bruciato
su una piazza
piazza San Venceslao
mentre
una madre
aspettava
preparando
cibo
buono.
Quando
seppe
tacque
per sempre
né
cucinò
mai più.
Kladiva
ebbe parole per te
parole della storia
dell’Università
per uno studente bravo.
Tua madre
no
toccare parole per te
le fu impossibile.

(pp. 78-79)

Astianatte

Andromaca
Astianatte
pianse
non
lo stupro
del vincitore
le rincrebbe
non
l’onta
della schiavitù
l’avvilì:
impietrato
divenne
il cuore
per
le piccole ossa
calcinate
al sole
per
gli occhi
cibo
dei rapaci
per
il piccolo sesso
sconciato
dai rovi.
Silente
urlo
lacerava
le viscere
prive
del frutto
d’Ettore
Andromaca
varcava
ogni giorno
il confine.
Tra la notte
e
la luce
moriva
perle piccole mani
all’aria
artigliate.

(pp. 88-89)

La bellezza dell’oltre
cancellata
dalla cattura
che la terra ha fatto di te
continuamente
affiora
sei
soltanto
passata dall’altra parte
dall’altra parte della terra
tu
pensierosa e solare
colmi
il petto e gli occhi
di erbe e fiori
ora
sudario di terra.
Si è capovolto
il mondo,
tutto qui
e
sono rimasta
dalla parte sbagliata.

(p. 107)

Tu
pensi
avrà paura
Tu
dici
non ti preoccupare
Lei
dice
ho paura
Lei
pensa
non guarirò
mai
Tu
racconti
storie
– come Sherazade –
per allontanare la morte.

(p. 148)

 

Mariastella Eisenberg, napoletana, ha dedicato un tempo della sua vita alla scuola come docente e dirigente. Da sempre coltivava la passione per la scrittura, cui sta dedicando questo tempo della sua esistenza. Ha pubblicato due romanzi: un primo, Sara (Guida, Napoli 2005), e un secondo – dalla struttura un po’ anomala – dal titolo Chiedi alle mani (Sovera, Roma 2009). Ha pubblicato inoltre le sillogi poetiche Alfabetando (L’Aperia, Caserta 2010) e Cantico nella parola svelata (La Compagnia dei Trovatori, Napoli 2013). Numerosi racconti e testi poetici sono usciti su riviste e in antologie; collabora saltuariamente con testate giornalistiche. Si occupa nel sociale di volontariato da anni: è membro del Direttivo dell’Associazione Spazio Donna contro la violenza e il femminicidio, del Direttivo del Clabarc (Comitato abbattimento barriere architettoniche), dell’Anf (Ass. Neurofibromatosi) per la ricerca sulle malattie genetiche rare; è stata, inoltre, componente per un triennio della Commissione Pari Opportunità della Provincia di Caserta e collabora con le Piazze del Sapere della città di Caserta.

______________________________________

Nel corso del pomeriggio dedicato a Madri vestite di sole, il 30 marzo 2014 al Villaggio Cultura – Pentatonic (Incontro con Mariastella Eisenberg, introduzione di Plinio Perilli e Anna Maria Curci), Lorenzo Poggi ha scritto e letto questa nota che volentieri riporto qui:

Non sempre è la morte che ci viene a rapire. Spesso è chi muore che ne sfonda la porta arrabbiato. E chi resta? La richiude la porta o la lascia socchiusa per scrutare nello spiraglio, per vedere se l’ombra amata lascia orme seguibili o almeno per salutarla tutte le sere. Lasciare aperta la porta della casa della morte per farci passare le parole, per continuare la vita.

Lorenzo Poggi

Sarà pubblicata a breve una nota di Maria Serena Peterlin sul libro e sulla sua presentazione a Roma.

Maria Serena Peterlin, Andando a capo, in blu. Lettura di Lorenzo Poggi

04 martedì Mar 2014

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Anna Maria Curci, Lorenzo Poggi, Maria Serena Peterlin, Poesia

copertina

Opere cantan, giorni
abbracciano e riannodano
i tuoi testi nel blu.

Ballate e rapsodie
onde smuovono, cercano.
Senso schiudono, il nostro.

(a.m.c.)

Maria Serena Peterlin, Andando a capo, in blu

Lettura di Lorenzo Poggi

La poesia di Maria Serena è come una farfalla che svolazza assaggiando qua e là i fiori della vita. Ma è farfalla con gli occhiali perché le sue poesie  contengono sempre un insegnamento finale. Cioè non può mai Maria Serena scordare che ha insegnato e soprattutto educato generazioni di ragazzi.  Tratta tantissimi temi la poderosa silloge. Ma sono i temi di riflessioni quotidiane sulle cose e sulle idee che suscitano, sui grandi temi filosofici e sulle risposte che siamo in grado di dare, su come affrontare la vita e su come porsi nel quotidiano. Il tutto in una veste poetica multiforme che a volte va a spasso per prati a volte si diverte con le rime. Credo che l’omaggio più grande che si possa fare a Maria Serena sia quello di scorrere come in un film il suo libro, avendo cura di tirarne fuori, poesia per poesia, il senso profondo di quello che scrive. Io ci ho provato. Perdonatemi se a volte non ho capito.

Scrivere andando a capo: Pagine bianche: “il mare lascia detriti di schiume” il cielo ed il mare sono pagine bianche. La vita va avanti ma senza poterci far niente – Il filo: trovare il filo della vita. Non sempre ci si riesce – Analogia di libertà: il vento come invito a seguirlo sulla strada della libertà – La brace: emozioni forti assopite nella brace – A mano: scrivere a mano senza ticchettio di tasti è come disegnare il letto d’un torrente in cui posare parole – Il segno e il senso: parole che come fuoco rivitalizzassero questa umanità scaduta e asservita – Parole per non dire: del tempo che passa e lascia la vita senza voglie – Parole alla luce: luminescenti nel buio dell’insonnia. E che la loro scia tracci il cammino d’una vita – Nello specchio: perché le parole scritte abbiano un senso ricordati di bagnarle prima sulle labbra – Novella: una buona novella in tanto buio non ha prezzo!

In blu e nel tempo: Colori: il colore non è quello che vedi, ma quello che senti – Verranno le stelle: per fortuna dopo il temporale tornano a farsi vedere le stelle – Alba: alla fine degli incubi notturni c’è sempre l’alba – Cielo: è luce per non far morire la speranza – Mattinata prima: Non ti far ingannare dal mondo virtuale.  Ci sono le ginestre sull’orlo degli orti – Mattinata seconda: anche un gatto può servire per restare con i piedi per terra – Alba di Marzo: a volte l’alba non fa il suo mestiere – Nuvole e balene: nuvole come delfini deformati dalla velocità in autostrada.  Ci vuole però una decappottabile per vederli! – Tra spine corre il cielo: alba su un cielo che cerca un senso nella brezza tra le spine d’un nuovo giorno – Racconto notturno: al sopravvenire degli incubi fai ricorso alla ragione – La Ninna: raccontarsi una storia di quando si era piccoli in attesa dell’alba amica che cancellerà il sogno ormai stanco – Nebbia in collina: sbuffi di luce tra la nebbia della collina.  Le giornate d’inverno che non vogliono essere svegliate.

Mesi: Gennaio addio: in attesa d’una alba viola – Rapsodia lunatica di Febbraio: canto alla luna, all’incessante ripetersi del suo corso che segna anche il nostro tempo di vita.  Musicalità leopardiana – Marzo: si mischiano il freddo dell’inverno e i sentori di primavera.  Metafora dei nostri dolori e delle nostre gioie – Gatto d’aprile: al posto del pesce! Come un gatto a caccia di uccellini ma solo per sentir vibrare le ali –  Maggio e la rosa: è tempo di rose, anche ostinate – Giugno: basta un calabrone attratto dal fiore di lavanda per ricordare che la natura esiste – Luglio: basta una foglia di menta tra le mani per scatenar ricordi tra i profumi di un’estate ormai esplosa  – Agosto: riflessioni al canto di cicale – Settembre: ancora un po’ d’estate per favore – Ottobre: tracce d’autunno – Novembre: cadono le foglie ma si preparano nuovi germogli. La cadenza del tempo nel ripetersi delle stagioni – Dicembre: ballata su chi non sa aspettare e come un lupo in gabbia si agita senza saper godere delle pause dell’inverno.

Anime: Anime: le anime si parlano, fanno crocicchi, non fanno caso a noi – Il telaio: non si può tornare indietro. Il filo è ormai tessuto. Le somme alla fine, quando non c’è più strada da percorrere –  Domani o dopo: guardale da lontano le cose perdute. Acquisteranno nuova luce – Fukushima: gli occhi del circo dell’informazione su questa tragedia. Ma come partecipare al dolore per tanto disastro?  – Capire: Vorrei capire se il tanto fatto serva ancora a qualcosa – Da un quadro di Lucia Merli: anche se solo per un momento non ci fosse più nessuno ad ammirare la notte, il fiume che danza, e le stelle che sembrano insufficienti, basterebbe questa gonna fiorita e luminosa, quel gesto abbozzato per rinnovare il miracolo della poesia.

Disubbidienze: Riprendere la parola: riprendersi la parola. Quella chiara, vera. Perché, diceva Moretti, le parole sono importanti – Invidia e sentimento: c’è poco da invidiare chi si perde nel suo iperuranio di poesia senza curarsi del mondo e c’è niente da invidiare a chi non prende mai posizione – Rapsodia in arcobaleno: mai arrendersi alle ingiustizie dei padroni del mondo. Coltivare utopie è l’unico modo per realizzarle – La corazza: per quanto spessa sia la tua corazza ricorda che oltre le apparenze sempre dentro di te devi scavare se vuoi sapere cosa vuoi – Disubbidienza: bisogna sentire il soffio della disubbidienza per uscire dal grigio pantano di questo inaccettabile presente.  

Pedagogia non applicata: Manifesto per Pinocchio: l’anelito alla libertà ed alla liberazione da tutte le norme che c’impongono per quieto vivere – Nonsensando: ogni tanto ci vuole pure qualcosa che renda allegra l’aria con parole senza senso – Rapsodia riflessiva: “sul quieto riposare su certezze obsolete” – Rapsodia en rouge: il tempo ha lasciato avvizzire le idee e i concetti alti, quelli conquistati a fatica. Abbiamo la bocca piena di frasi fatte e di sciocche filastrocche. Ci sono rimaste solo mediocre ore presenti? – Breccia: quello che si annusa e quello che s’intravede da una fessura di ciò che c’è oltre le frasi fatte è già tutto previsto e scontato in quel trallalà ironico di fondo che si tramuta in una ferita aperta – Al futuro: che fare? Rispondere rima per rima all’oltraggio di idee banali e ottuse o attendere in silenzio che la misura sia colma? Ma lo sarà mai colma? Nel frattempo rinchiuditi nei colori della natura a fine estate – Bandiere forse rosse: è tempo di facili indignazioni e di bandiere multicolori sventolate per piccoli egoistici motivi. Che cosa resta della nostra estate colorata di rosse bandiere appassionate? – Rincorrere il tempo: con gli occhi e le palpebre chiusi in attesa del sonno quando ritrovi il tuo tempo nascosto – Pedagogia non applicata: insegnare argomenti e concetti con parole appropriate formando frasi impeccabili di sola logica. Ma è solo un fragile vaso che entra ed esce dai banchi e non attecchisce. Ma è colpa della noia vista qui come ribellione ad imposizioni troppo logiche – L’anello mancante: quando manca un anello s’interrompe la storia. Si riparte da zero, senza radici e si torna indietro – Scuola: insegnare è dare tutta sé stessa; altrimenti son solo parole – Scuola sbagliata: rimpianti d’una scuola etico-minimale rispetto ad una scuola che non sa più che insegnare?

Notte e giorno: Corrispondenza: “Passa la notte leggera come orme di gatto guardingo” e mentre insegui i tuoi sogni scandisce indifferente la vita – Luna e notte: la luna illumina le nostre ombre – Burrasca: tarda molto a passare la burrasca accesa nel cuore – Immagini: una margherita annuncia la fine dell’inverno – Infanzia: canto d’amore per i bambini e per la maternità – In chiave di violino: in punta d’archetto delizioso concerto di sogni bambini – Acque e suoni: anche se mancassero all’improvviso le cose più belle del creato basterebbe una gonna fiorita ed un gesto che ricorda la musica per rientrare in noi. Bellissimo quel “come quei mesti Pierrot che vivono per piangere” – L’altalena: giochi di rime in filastrocca per bimbi – L’aquilone: filastrocca con giochi d’assonanze – Festa per una notte: nella cadenza di settenari scende l’allegria in una notte di festa per i bambini – Attesa: una madre col bimbo in braccio che si lascia cullare in attesa del sonno che arriva – Mongolfiera: leggera e lieve il suo volo accompagna un sogno.

La rondine: Della rondine e del pavone: bella e drammatica. La presenza della madre nelle varie fasi della vita – Addio: ancora la madre: l’addio – Le voci amate: restano i ricordi, le speranze, “mirabili illusioni ancora care” – Domani verrà:  nell’attesa d’un dono che è la vita che rigermoglia sempre – Passato e presente: è inutile rivangare il passato che non può tornare. Gioca ancora i tuoi dadi, la vita va avanti. 

Nipotini: A Maria, la mia principessa: ecco la favola bella con tante rime da sogno per Maria bella – Gli affetti (per Giovanni) e a Giovanni: consigli di vita e mirabile lirica per il nuovo bambino – Maria: dipingere con i fiori significa profumare i colori. Maria è geniale – Filastrocca di parole: sono solo parole ma significano tanto.

Varie non eventuali: Sogno di pane: tornare a sentire l’odore del pane almeno una notte ritrovarsi bambina – Parole plissettate: parole infide, parole piene di trappole e di menzogne – Apologhetto del gatto:  Insegnamento:la democrazia si difende se la organizzi bene altrimenti vince il più forte – Ti racconto: di quando si sapeva bene chi erano i buoni e chi i cattivi (anche se non era vero).

Rami. Foto di Maria Serena Peterlin

Foto di Maria Serena Peterlin

Lorenzo Poggi e le simmetrie del perpetuo presente

28 sabato Dic 2013

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Augusto Benemeglio, Lorenzo Poggi, Poesia, recensioni

Lorenzo Poggi

Lorenzo Poggi

 

 

Lorenzo Poggi e le simmetrie del perpetuo presente 

 A cura di Augusto Benemeglio

1. Il Qoelet

C’è un tempo-orale/pieno di tuoni e fulmini/e c’è un tempo per il silenzio.
C’è anche il tempo dei pianti e dei sorrisi/sulla tela raffazzonata della vita. (Lorenzo Poggi)
Una poesia che sembra presa dal Qoelet, il libro della Bibbia più enigmatico ( e pericoloso) che ci sia. Mi ricorda l’ultima voce di un uomo che con la sua tristezza insanguinò il vento. E allora tutti gli angeli persero la vita. Fuorché uno, ferito, con le ali mozze. E quell’angelo divenne il poeta.

2. Poeta da web

Anche Lorenzo Poggi è un poeta dei nostri tempi, sempre in bilico tra l’ironia, la polemica, e la pietas, un poeta che vive le simmetrie del presente perpetuo nelle sue ossa e nell’anima, in mare aperto

– “Mi piacerebbe/ gettare a mare scialuppe d’ortiche/e lunghe scie/per aprire i sentieri di morte/che lastricano il fondo” .

Poeta da web, con dissonanze lessicali, che cerca vibrazioni liriche mediante la fantasia creativa, ma anche la lacerazione, il caos, l’assurdità, la contrazione, la concisione, insomma la struttura lirica ormai codificata della poesia moderna. E lo fa con tutte le sue interconnessioni, i deliri, le farneticazioni, i palpiti, gli enigmi, gli spazi sovrapposti, la velocità che si fa caduta perpetua, pietà sulle razze erranti di sofferenti cittadini aquilani devastati dal terremoto (“Ci sono macchie verdi/a marcire nel prato,/spazi uggiosi di riposi forzati/e campi al margine /brulicanti di scarpe avariate”).

3. Più reale del corpo che abiti

E poi gli smarrimenti, le solitudini, la goccia di sudore e il pensiero fulmineo che tende un ponte da sé stesso a te stesso, ed ecco il reale che si disfà , e l’irreale, il mediatico che si fa più reale del corpo che abiti, si ferma in mezza alla tua fronte, si fa tuono che percorre la pianura, luce che accende le pietre, sabbia e lago di memorie nude che rifanno il sentiero della tua vita (“Vestito di niente/m’impolvero nel vento/che passa /come sabbia tra le dita”). Lorenzo è uno che va diretto al cuore delle cose quando si tratta di denunciare, sferzare, con una satira dolorosa e amara : “Di vaghi dolori son piene le fosse,/ di pochi avanzi si nutre il destino,/di tutto a puttane son pieni gli spigoli,/di senza schermo non c’è niente di vero,/di voci ataviche è rimasto il colore,/di spot alla moda c’è rigurgito e vomito,/di senza tetto è colma la storia,/d’intelligenze vivaci s’imbellettano specchi,/di parole sprecate s’intrecciano arazzi,/di buona volontà è lastricato l’inferno,/di lingue biforcute ci son gare nei vicoli”.

4. La svolta in un castello romano.

Ma la pietra miliare del suo destino, a cui nessuno può sfuggire: sta in un angolo di strada qualsiasi, in pendio, dove c’è il segno dell’orologio del campanile, il segno della spezzata, il viale dei tigli del silenzio e della dimenticanza, in uno dei castelli romani più vieti, tra “Pizza Vino e Nannì, quando percorri la strada in bicicletta col tuo migliore amico e non sai che sprofondi negli abissi: “Mi aggredisce improvviso il ricordo/e senza difese lo accolgo./ Ritorna prepotente alla mente/la realtà orfana e incompiuta./Dovevamo invecchiare insieme/ con tanti progetti in cantiere./ Il nulla mi afferra di nuovo./ Rivedo il tuo volto sereno e beffardo/ come fosse uno scherzo voluto./Hai beffato la vita e la morte/ non finendo la vita/ non iniziando la morte./ Sei ovunque”.
Fino ad allora la poesia era stato un vago soffio di pagine e inchiostro azzurro, la trama rassegnata e nostalgica del dormiente chiamato ad altre cose da fare, ricordi di un liceale nei campi di girasoli di Roma,- Catullo, Ovidio, Lucrezio, i latini in genere, ma anche dei poeti greci (Pindaro su tutti, ma anche Saffo), tal altra ai moderni, a partire da Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, ai surrealisti, agli ermetici, soprattutto. Senza mai trascurare i poeti dialettali romaneschi classici, il Belli, Trilussa, Pascarella, Zanazzo, perché Lorenzo sente molto la sua romanità e la sua vena popolaresca spesso graffiante, satirica (“Oggi è tutto facile./ Hanno messo le rote puro ar cervello./ Ce s’ammazza pe nun sapè che fa./ Oppure s’ammazza pe nun sapè che fa”).
Ora, dopo la morte dell’amico, la poesia risale dalle radici, come una frattura tra linguaggio e idealità, tra volere e potere, tra aspirazione e fine. La poesia si fa scoglio, naufragio, annegamento, caduta, notte, inanità, tutte forme che stanno ad indicare il fallimento, e tuttavia su questo fallimento Lorenzo può esprimere se stesso e il senso originale della sua poesia che può e vuole toccare il suo tempo perpetuo, come una pagina di cronaca nera, attimo per attimo, respiro per respiro, guardando il tutto dal Grande Osservatorio del suo Cuore.

5. L’architettura dell’abbraccio.

La sua poesia diventa l’architettura dell’abbraccio: “Mi sporgo su rive di secoli/ da sponde fruscianti di girasoli anneriti,/muri incagliati su libri di storia,/prati che trattengono l’eco/ delle grida d’un porto interrato/ e scie ischeletrite di navi al museo”.
La poesia è come la spazio intorno a noi che rabbrividisce come un gran bacio per tutti e per nessuno, che può scaturire dalle tenebre come un enorme ventaglio di pace o di solitudine come disperazione. La poesia ora ritorna come lama brutale, sorriso seppellito, o beffardo, sogno di fumo acre e sterco di colombe, di muse o sirene stonate che ormai ”Aggiustano ombrelli… neri da temporale,/ infilano zeppe per ridare equilibrio,/mettono fine a fiammate improvvise,/ puliscono ugelli che non sanno cantare,/ rattoppano rosa una giornata normale”.
La sentina dell’anima è piena di materiale, poetico e impoetico, di parole brutali e volgari, di lacerazioni, il fiume della memoria trasporto tutto, immondezza, rito, istinto catrame e rischiaramenti, schegge di luce, ineffabile bellezza, distruzione. Tutto si deposita e ne esce trasfigurato. Ma spesso ti rendi conto che non è tua la volontà di guidare l’astronave del pensiero e della fantasia, c’è un altro “inquilino” dentro di te che fa i raccordi, traccia le linee e opera in un concerto di ambiguità espressiva che sfugge talora anche la tua comprensione.

6. L’incubo della storia

Tu sei solo uno strumento, o, peggio, un ciottolo, uno scarto della storia: “Tra i sassi firmati scoloriti dal tempo/s’adagia un percorso battuto dal vento./ Risuonano passi pesanti di storia/ ruote di legno e persone in colonna./ S’alza un canto come un lamento/dalle bocche cucite da fame e da freddo./S’invocano i santi, si accendono fuochi/le facce scavate, le occhiaie ormai secche./ Succedono cose più grosse di noi/ La storia da scrivere, le gesta dei grandi./Non siamo che scarti di pagine vuote/ come silenziosi frastuoni di niente”.
La storia è ancora quell’incubo da cui tutti cerchiamo di risvegliarci. È forse allora che ti accorgi che tutto, – anche l’assoluto – soffre d’isolamento nel mormorio delle sere di malinconia: “Son giunti venti da ovest a bussare sui vetri lacrime di pioggia /in questa stanza desolata./Al centro solo una scatola dalle maniglie dorate./Contiene gli ultimi raggi di sole rubati una sera di maggio,/muri screpolati da gerani e balconi in attesa d’un saluto”.

7. Cacciatore di attualità

Tutto quel che verrà a bussare ai tuoi vetri è occulto, magico luminoso e incerto, tutto diventa una gran parola chiara, un palpito di vocali, ma anche una trappola da cui non potrai più uscire, ormai sei entrato nei crepuscoli dell’inconscio e affronti il bello della diretta, là, in quel mondo mediatico di nodi aggrovigliati di luce, in quella vetrina di raffiche turchesi, topazi e pappagalli coloratissimi in fuga, da un trespolo all’altro, che arrivano al tuo balcone, al tuo profilo, sei taggato, non puoi sfuggire da facebook. Ed eccolo, Lorenzo Poggi, coi lampi dei suoi flashes irrelati scattati con quel suo clic invidiabile di “primo sguardo” di un presente perpetuo, in cui c’è un po’ di tutto, la navigazione su una foglia di fico insieme, la pioggia che non ti bagna, la goccia di fuoco, il mondo che comincia ogni giorno e le radici dello spazio della fantasia che non pesano più dell’alba e dei nostri corpi distesi nell’aria; c’è in lui insomma una distratta leggerezza e una saggezza autorevole, il fanciullo curioso e l’uomo che ha visto molte pianure, mari e monti, ma che continua ancora ad ardere senza bruciarsi.
Lorenzo è una sorta di cacciatore dell’ attualità delle cose, delle voci, dei sussurri e grida che stanno dentro di noi. E molti suoi versi sono basati sull’auscultazione della minima traccia iridescente del reale, sul filo di una tensione e di una partecipazione attiva ai fatti e agli accadimenti quotidiani, che trasfigura con la sua capacità linguistica e timbrica, che assume diversi registri stati d’animo e direzioni, dalla sinestesia alla deformazione, dalla dissonanza all’ossimoro, dall’ironia all’elegia, dalla satira alla malinconia.

8. Le nuvole e la risacca

È uno che sa usare diversi strumenti, ma quando si tratta di affondare il bisturi in una società e in una vita di cui spesso si perde il senso, non si fa di certo pregare, come nella lirica inedita Storie di varia umanità, scritta una sera del 29 aprile 2012 gridando alle stelle… “Scriverò tra lacrime/ di unghie affilate/ per strappare la carne/ dall’osso/ a cerchie d’amici di ventura/ Disorientare è la regola,/ mandare messaggi,/ riguadagnare innocenza/ battendo pirati e ladri di anime.// C’è poi chi grida alle stelle/pensando ai barattoli vuoti/ da prendere a calci/come i nemici,/come sé stesso”.
Quella di Lorenzo è una ricerca di luce frustrata che comunque si fa strada con il cominciamento, il basamento, la semente latente, la parola sulla punta delle dita, inaudita, inaudibile, intera, gravida, inetta, ad annunciare il dramma, la tragedia di un tempo senza sosta di “maree spiaggiate/con cadaveri a bordo”, “cancelli chiusi, ortiche”, da consegnare alla storia e tuttavia anche ad annunciare che la vita comunque è più forte della storia, di qualsiasi storia, ma quale vita? Vita degli agnelli sacrificali d’ogni tempo, vita da streghe bruciate sul rogo. Le foglie degli alberi che assurdamente continuano a rinascere o rimanere sempreverdi, la risacca, i giochi che fa la risacca tra i nostri piedi, e poi le nuvole, nuvole barocche o nuvole di Aristofane che siano, le nuvole sono lo stupore del mondo vanno da un capo all’altro del cielo in nessun punto in nessun luogo e tu sei sequestrato ancora dalla tua ombra e non ti arriva nè suono nè vibrazione, nessuno segnale, nessun commento…tuttavia c’è sempre quel presagio di speranza nella bellezza e nel divino disegno del creato, “una voce che è dentro il rumore del mare,/ il vento che fischia tra dune fiorite,/ le nubi che passano,/ il senso da dare alla vita che scorre,/ un ruscello che cupo diventa torrente,/un lenzuolo sbattuto nel primo mattino,/ grandi occhi sgranati alla ricerca del mondo”.

9. Nessun prodigio, solo sogni e realtà.

Che cos’è l’arte poetica? Guardare il fiume ch’è di tempo e acqua/e ricordare che anche il tempo è un fiume,/ sapere che ci perdiamo come il fiume/ e che passano i volti come l’acqua…convertire l’oltraggio empio degli anni in una musica, un rumore, un simbolo…parola di Jorge Luis Borges. E per Lorenzo Poggi,- nato a Roma il 21 marzo del 1943 e che a Roma tuttora vive, ama, osserva, fuma la pipa, fotografa, vive in transito, con passione, scrivendo liriche le più disparate e diverse per metro, stile, lingua, e non sa bene neppure lui perché, né sa dove vadano a finire; che non seleziona, non sceglie, fa tutto col ritmo del cuore,il tic tac, la diastole e la sistole; che è come un fiume che scorre senza sosta, implacabile, ineluttabile. Che cos’è la poesia? È … tutto, è la sua vita: la poesia lo fascia, lo attraversa, trascorre dentro di lui in una immobilità vertiginosa Ora spiga di fiamme, giardini d’ossa, storia e sculture d’aria, maree di legni erranti e onde luttuose. Così capita che un giorno dica: “Mi sono accorto/ di non sapere della risacca,/ di non sapere della forma delle nuvole/ e neanche dell’anima dei sassi”.
Questo è il poeta, un decifratore dell’anima delle cose, e per un vero poeta ogni cosa ogni fatto, ogni evento si fa poesia. Siamo alla conclusione, siamo alla fine del viaggio, il ritorno alla nostra Itaca. Si narra che Ulisse, stanco di prodigi, pianse d’amore nello scorgere Itaca, verde e umile. (Ora d’Itaca – come sappiamo – è rimasto uno scoglio arido, un cumulo di pietre ). L’arte è anch’essa un’Itaca che promette d’essere sempre verde d’eternità, ma non di prodigi. Di sogni e realtà: “Abbiamo raccolto i panni, / preparato il fagotto e chiuso la stanza,/ la torre d’avorio ingiallita dal tempo, il solito film senza una trama”.

Roma, 24 dicembre 2013
Augusto Benemeglio

Lorenzo Poggi, Haiku scuro

06 domenica Ott 2013

Posted by letteremigranti in Lettere migranti, Poesia

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Anna Maria Curci, Emil Nolde, Haiku, Lettere migranti, Lorenzo Poggi, Poesia, traduzioni

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Si va per mare
a cercare fortuna
in onde scure.

DUNKLES HAIKU

Man geht auf Seefahrt
auf der Suche nach Glück
n dunklen Wellen.

Lorenzo Poggi

(traduzione in tedesco di Anna Maria Curci)

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