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Silvia Gelosi, Dissociazione elementare, Arcipelago itaca 2022

Le 20 ricorrenze del lemma silenzio
di
Norma Stramucci

Non scopriamo nulla, già Leopardi (Zib. 142) ha sostenuto che “Il silenzio è il linguaggio di tutte le forti passioni, dell’amore (anche nei momenti dolci) dell’ira, della meraviglia, del timore”. Ed è proprio il lemma “silenzio” che pervade più di ogni altro il libro di esordio di Silvia Gelosi, Dissociazione elementare, Arcipelago Itaca 2022, facendone una delle chiavi di lettura.
Ce ne rendiamo conto sin dal primo testo che leggiamo, (p. 13): compaiono qui delle altre costanti, il senso di una minaccia che sovrasta ad esempio, ma anche la possibilità della salvezza perché le parole illuminano la notte, ma attorno alle parole incombe e preme il buio; la constatazione che dal dolore, purché scritto, può nascere qualcosa di bello, tanto che sul muro può aprirsi una finestra. Ecco però che tutto questo accade nel silenzio che ha un suo primo attributo: la precisione, ed è un silenzio che ha un’altra prerogativa, non è solo esterno ma anche interiore. Si tratta di un’interiorità talmente forte che la stessa poeta può poi identificarvisi, definendosi tu silenzio scuro (p. 20). Ciò non significa abbandonarne una visione più tradizionale: quel leggero silenzio a fine tempesta (p. 26), ma la dimensione interiore con cui il silenzio è vissuto è quasi sempre dominante: a p. 28 sente tutto il peso del silenzio.
A p. 30 scrive: Mi consegno al silenzio mentre a p. 31: ti rimbalza / addosso il verso smisurato del silenzio. Qui l’aggettivo usato è smisurato, ma con una variante che fa dell’io, nel primo caso, il soggetto che compie l’azione, nel secondo l’azione invece è subita poiché sta inseguendo tutt’altro, la voce, la parola, non il silenzio. Potremmo anche parlare di disperazione calma: Precipito / in silenzio come neve (p. 36).
Ci imbattiamo quindi in un testo emblematico (p.38): [Sospesa sul cedere ancora / lascio in piedi il silenzio / in millimetri addosso ogni giorno, / guardo caderci / perderci il vero / quel tempo perfetto, / l’unico giorno che venga a salvarci.] Dunque: il silenzio è lasciato in piedi e c’è una intenzionalità in questo, avrebbe potuto interromperlo ma non lo ha fatto perché è in quel silenzio che cade il vero. Di questo vero c’è una definizione: è il tempo perfetto, l’unico giorno che dà salvezza non solo all’io poetante ma a tutti. Se la poesia fosse solo logica io non mi accontenterei di tale spiegazione. Qui si dà a mio avviso qualcosa di inspiegabile tramite una parafrasi e a cui ciascun lettore deve dare la propria interpretazione; ciascuno ha, probabilmente, un proprio metro di giudizio per valutare cosa sia o non sia il vero. Silvia non ha che il suo, non l’assoluto. Al suo vero lei tende, certamente, – ma non dimentichiamo il titolo del libro -, in una costante dissociazione, come, scrive splendidamente, il sale con lo zucchero nello stesso impasto. (p. 39).
Tra parentesi troviamo chiuso il silenzio a p. 40: (il silenzio), occupando da solo un verso. Qui il silenzio rappresenta la mancata risposta a una cruda domanda esistenziale, espressa con una meravigliosa leggerezza, che la poeta pone a sé stessa. Ma Silvia Gelosi sa bene che quella risposta non può averla, tanto che poi scrive (p. 44): tutto cade come sempre / nel silenzio della polvere.
Se alle 5 di mattina (p. 45), il silenzio s’allunga, a p. 46 il silenzio ci rimanda a una condizione di vita: L’arte di stare e non ripartire- / saperlo fare in silenzio – e un po’ ci fa pensare alla Lina di Saba, quando il poeta ne parla paragonandola a una rondine che però non riparte.
Pare poi (p. 55), proprio attraverso l’uso che Silvia Gelosi fa della parola silenzio, che qualcosa sia cambiato: il silenzio lo mettevo tra le cose mentre oggi / è veleno che ritorna senza morso. Versi molto amari ma c’è comunque quella determinazione temporale: oggi, a mitigarne la drammaticità: forse questa è la condizione di un giorno, ci auguriamo leggendo, e abbiamo ragione perché, successivamente tornano immagini tranquille: piove il silenzio (p.56) e il silenzio della campagna (p. 60). Ma soprattutto torna la dimensione interiore e calma: Mi scrivo / mi mischio alle cose in silenzio (p.66); Mi aggrappo così ad un silenzio alla volta (p.75), anche se le cose, (p. 76), vivono di vita propria e a volte anche urlano: addomesticandoti in silenzio / tra l’urlo delle cose.
Non è certo un caso che il silenzio signoreggi anche nell’ultima lirica (p.79): Resto dove cado, dove invento l’antidoto per il veleno / Il senso di una fotografia, la promessa mai chiesta. / E mentre fingo la mia cancellazione / tutto torna terra per ricominciare / per imparare il silenzio a mani aperte / portare il mio respiro di nuovo a casa. Non è un discorso chiuso quindi: Silvia Gelosi attende ancora lezioni dal silenzio quasi nell’illusione che la promessa che la lirica non svela possa in esso finalmente inverarsi.
Una delle risposte che mi sono data a giustificare tale frequenza del lemma silenzio risiede, a mio parere, in una altra, inconsapevole, eppure nel libro a suo modo confessata, dissociazione: Silvia Gelosi è indubbiamente poeta e come tale ha tutta l’urgenza della parola, di infrangere dunque il silenzio. Il fatto è che, seppure a torto, si sente inadeguata: Sono solo appunti di guerra questi (p. 15); Non avevo le scarpe buone per il salto io (p.16); Non lo so se riuscirò […] non so dire […] io annaspo (p. 19); cadi –ogni volta- / sulla stessa scala (p 20); Sono / l’immagine ferma che sta in disparte (p.22); sono pietra rotta (p. 23); non mi sono mai sentita grande per davvero (p. 25); per vedermi cancellata (p.28); sono rimasta la gamba storpia (p. 33) e altri ancora. La dissociazione è dunque nella necessità di, da un lato affermare sé stessa con la forza dei propri versi, dall’altro il continuo, seppure ribadisco immotivato, non sentirsene quasi degna. È da ciò che deriva la fascinazione del silenzio, un’attrazione continua nei suoi confronti. Me ne sono convinta anche leggendo i versi seguenti (p. 64): Qui / è una distanza una sporgenza / l’abitudine in vena che sottopelle / rifiuta il silenzio sulla metà del ponte.  È sottopelle dunque, e questa è l’interpretazione che mi piace dare, che Silvia Gelosi sente e vive la Poesia e in suo nome non può che rigettare, rifiutare il silenzio.

Norma Stramucci