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Mariastella Eisenberg, Madri vestite di sole

01 martedì Apr 2014

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Anna Maria Curci, interlinea edizioni, Lorenzo Poggi, Madri vestite di sole, Maria Serena Peterlin, Mariastella Eisenberg, Poesia

Eisenberg_Madri_vestite_di_sole

Mariastella Eisenberg, Madri vestite di sole (interlinea, 2013)

Nota di lettura di Anna Maria Curci

La cognizione del dolore scritta, incisa, scandita brano per brano, ricostruita brandello per brandello, estratta con la determinazione di chi ha subito il colpo più temuto, strappata al silenzio e portata alla luce: questa è l’essenza di Madri vestite di sole di Mariastella Eisenberg. Laddove attorno a noi ci si affanna a negare il dolore, a ignorare il lutto, a soffocare il grido con la vacuità, la poesia, ben consapevole di non essere salvifica, ma responsabile, non narcotica esaltazione, ma espressione, che si fa corale, di ciò che si vuole soppresso, represso, innaturalmente compresso, «restituisce al mondo il dolore, sperando che altri ci aiutino a sopportarlo, anche senza saperlo, solo leggendo quelle parole che ritorneranno in qualche modo a chi le ha scritte.» (p. 159).
Della fatica, quasi insopportabile, dell’estrazione della parola dall’oblio si fa testimone il verso di Mariastella Eisenberg, brevissimo, composto spesso da una sola parola.
Dello strazio della perdita, la più insopportabile per una madre, la perdita della propria creatura, si fa carico la lingua, che taglia e ricompone, seziona e forma parole nuove a dire l’indicibile, a narrare di madri «sfigliate», «alluttate», di creature «dissemblate», di cuore «impietrato», di universo «sfacelato», di «malvolere» e «abbrividarsi». No, non c’è alcun compiacimento in questo dolore, vivo, nel confronto pieno di tensione con la morte, «donnaccia» di porto, «clandestina», «passeggera senza biglietto» (e davvero viene da pensare all’espressione tedesca per «clandestino»: “blinder Passagier”, “passeggero cieco”) sulla nave traballante dell’esistenza, laddove è esaurita la speranza che mortale possa farsi timoniere a mortale. Dal mito classico (Niobe e, sempre, tra le righe, Demetra), dall’epica antica, dalla tradizione biblica e dalla “madre delle madri”, Maria, Miriam di Nazareth, si leva la voce delle Madri vestite di sole nelle sezioni che compongono la raccolta tra il Prologo e l’Epilogo: Andromaca, non piangere più; Mito. Cronaca. Storia; Ale. La bellezza dell’oltre;L’indicibile; Noi.
Sì, si va oltre il dolore privato, dal quale pure prende le mosse la poesia tutta, tutta la poesia. Viene da chiedersi, leggendo, ad esempio, la seconda sezione: e se la storia e la cronaca, la storia della guerra di Troia, della primavera di Praga, della dittatura sanguinaria in Argentina e di Plaza de Mayo, di Tienanmen, dell’11 settembre, la cronaca dei delitti di mafia, della camorra a Casal di Principe delle catastrofi naturali annunciate – il terremoto a L’Aquila, l’alluvione a Messina – la scrivessero, un giorno, le madri? Come la metteremmo, allora, con la duplice manovra consueta, martellante controcanto alle esistenze degli umani «presuntuosi bipedi», di manipolazione e oblio? Ma la bellezza dell’oltre, l’anelito di chi crede, che cosa diventa nella madre «rimasta/dalla parte sbagliata», mentre la «baraonda/giovane« è stata «spazzata/via»? Il dialogo continua, tra la madre e la sua creatura – «Noi/ parliamo in silenzio, madre e figlia … senza disturbare / il mondo» – perennemente sulla soglia. Non si annacqua, né si nega il dolore, ma, «come Sherazade», si narra «per allontanare la morte», in tenace confronto con la «padrona di / tutto».


Testi

È salita
la Morte
sulla nave:
passeggera non gradita,
per di più
senza biglietto.
Scende
vecchia baldracca ubriacona
ad ogni porto.
Ha bisogno
ogni volta
di merce
da svendere
per pagarsi da bere con i marinai
in attesa d’imbarco.
Meglio
i giovani
che
le vecchie madri
rugose
e
macilente.
Valgono meno.

(p. 14)

Clandestina
della vita
è
la Morte
noi pensiamo
stupidi umani
presuntuosi bipedi.
Signora e padrona di
tutto
illude
semi germoglianti
in ventri rigonfi
di madri orgogliose
alluttate
senza più sale negli occhi.
È
la vita
la vera clandestina
del mondo.
Ella pensa.

(p. 17)
Jan Palach

S’è bruciato
su fornello
da nessuno spento
cibo
buono
di madre premurosa.
Studente modello
questo figlio
– correva il 1969 –
laddove
carri armati
schiacciavano
speranze.
S’è bruciato
su una piazza
piazza San Venceslao
mentre
una madre
aspettava
preparando
cibo
buono.
Quando
seppe
tacque
per sempre
né
cucinò
mai più.
Kladiva
ebbe parole per te
parole della storia
dell’Università
per uno studente bravo.
Tua madre
no
toccare parole per te
le fu impossibile.

(pp. 78-79)

Astianatte

Andromaca
Astianatte
pianse
non
lo stupro
del vincitore
le rincrebbe
non
l’onta
della schiavitù
l’avvilì:
impietrato
divenne
il cuore
per
le piccole ossa
calcinate
al sole
per
gli occhi
cibo
dei rapaci
per
il piccolo sesso
sconciato
dai rovi.
Silente
urlo
lacerava
le viscere
prive
del frutto
d’Ettore
Andromaca
varcava
ogni giorno
il confine.
Tra la notte
e
la luce
moriva
perle piccole mani
all’aria
artigliate.

(pp. 88-89)

La bellezza dell’oltre
cancellata
dalla cattura
che la terra ha fatto di te
continuamente
affiora
sei
soltanto
passata dall’altra parte
dall’altra parte della terra
tu
pensierosa e solare
colmi
il petto e gli occhi
di erbe e fiori
ora
sudario di terra.
Si è capovolto
il mondo,
tutto qui
e
sono rimasta
dalla parte sbagliata.

(p. 107)

Tu
pensi
avrà paura
Tu
dici
non ti preoccupare
Lei
dice
ho paura
Lei
pensa
non guarirò
mai
Tu
racconti
storie
– come Sherazade –
per allontanare la morte.

(p. 148)

 

Mariastella Eisenberg, napoletana, ha dedicato un tempo della sua vita alla scuola come docente e dirigente. Da sempre coltivava la passione per la scrittura, cui sta dedicando questo tempo della sua esistenza. Ha pubblicato due romanzi: un primo, Sara (Guida, Napoli 2005), e un secondo – dalla struttura un po’ anomala – dal titolo Chiedi alle mani (Sovera, Roma 2009). Ha pubblicato inoltre le sillogi poetiche Alfabetando (L’Aperia, Caserta 2010) e Cantico nella parola svelata (La Compagnia dei Trovatori, Napoli 2013). Numerosi racconti e testi poetici sono usciti su riviste e in antologie; collabora saltuariamente con testate giornalistiche. Si occupa nel sociale di volontariato da anni: è membro del Direttivo dell’Associazione Spazio Donna contro la violenza e il femminicidio, del Direttivo del Clabarc (Comitato abbattimento barriere architettoniche), dell’Anf (Ass. Neurofibromatosi) per la ricerca sulle malattie genetiche rare; è stata, inoltre, componente per un triennio della Commissione Pari Opportunità della Provincia di Caserta e collabora con le Piazze del Sapere della città di Caserta.

______________________________________

Nel corso del pomeriggio dedicato a Madri vestite di sole, il 30 marzo 2014 al Villaggio Cultura – Pentatonic (Incontro con Mariastella Eisenberg, introduzione di Plinio Perilli e Anna Maria Curci), Lorenzo Poggi ha scritto e letto questa nota che volentieri riporto qui:

Non sempre è la morte che ci viene a rapire. Spesso è chi muore che ne sfonda la porta arrabbiato. E chi resta? La richiude la porta o la lascia socchiusa per scrutare nello spiraglio, per vedere se l’ombra amata lascia orme seguibili o almeno per salutarla tutte le sere. Lasciare aperta la porta della casa della morte per farci passare le parole, per continuare la vita.

Lorenzo Poggi

Sarà pubblicata a breve una nota di Maria Serena Peterlin sul libro e sulla sua presentazione a Roma.

Maria Serena Peterlin, Andando a capo, in blu. Lettura di Lorenzo Poggi

04 martedì Mar 2014

Posted by letteremigranti in Poesia, Recensioni

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Anna Maria Curci, Lorenzo Poggi, Maria Serena Peterlin, Poesia

copertina

Opere cantan, giorni
abbracciano e riannodano
i tuoi testi nel blu.

Ballate e rapsodie
onde smuovono, cercano.
Senso schiudono, il nostro.

(a.m.c.)

Maria Serena Peterlin, Andando a capo, in blu

Lettura di Lorenzo Poggi

La poesia di Maria Serena è come una farfalla che svolazza assaggiando qua e là i fiori della vita. Ma è farfalla con gli occhiali perché le sue poesie  contengono sempre un insegnamento finale. Cioè non può mai Maria Serena scordare che ha insegnato e soprattutto educato generazioni di ragazzi.  Tratta tantissimi temi la poderosa silloge. Ma sono i temi di riflessioni quotidiane sulle cose e sulle idee che suscitano, sui grandi temi filosofici e sulle risposte che siamo in grado di dare, su come affrontare la vita e su come porsi nel quotidiano. Il tutto in una veste poetica multiforme che a volte va a spasso per prati a volte si diverte con le rime. Credo che l’omaggio più grande che si possa fare a Maria Serena sia quello di scorrere come in un film il suo libro, avendo cura di tirarne fuori, poesia per poesia, il senso profondo di quello che scrive. Io ci ho provato. Perdonatemi se a volte non ho capito.

Scrivere andando a capo: Pagine bianche: “il mare lascia detriti di schiume” il cielo ed il mare sono pagine bianche. La vita va avanti ma senza poterci far niente – Il filo: trovare il filo della vita. Non sempre ci si riesce – Analogia di libertà: il vento come invito a seguirlo sulla strada della libertà – La brace: emozioni forti assopite nella brace – A mano: scrivere a mano senza ticchettio di tasti è come disegnare il letto d’un torrente in cui posare parole – Il segno e il senso: parole che come fuoco rivitalizzassero questa umanità scaduta e asservita – Parole per non dire: del tempo che passa e lascia la vita senza voglie – Parole alla luce: luminescenti nel buio dell’insonnia. E che la loro scia tracci il cammino d’una vita – Nello specchio: perché le parole scritte abbiano un senso ricordati di bagnarle prima sulle labbra – Novella: una buona novella in tanto buio non ha prezzo!

In blu e nel tempo: Colori: il colore non è quello che vedi, ma quello che senti – Verranno le stelle: per fortuna dopo il temporale tornano a farsi vedere le stelle – Alba: alla fine degli incubi notturni c’è sempre l’alba – Cielo: è luce per non far morire la speranza – Mattinata prima: Non ti far ingannare dal mondo virtuale.  Ci sono le ginestre sull’orlo degli orti – Mattinata seconda: anche un gatto può servire per restare con i piedi per terra – Alba di Marzo: a volte l’alba non fa il suo mestiere – Nuvole e balene: nuvole come delfini deformati dalla velocità in autostrada.  Ci vuole però una decappottabile per vederli! – Tra spine corre il cielo: alba su un cielo che cerca un senso nella brezza tra le spine d’un nuovo giorno – Racconto notturno: al sopravvenire degli incubi fai ricorso alla ragione – La Ninna: raccontarsi una storia di quando si era piccoli in attesa dell’alba amica che cancellerà il sogno ormai stanco – Nebbia in collina: sbuffi di luce tra la nebbia della collina.  Le giornate d’inverno che non vogliono essere svegliate.

Mesi: Gennaio addio: in attesa d’una alba viola – Rapsodia lunatica di Febbraio: canto alla luna, all’incessante ripetersi del suo corso che segna anche il nostro tempo di vita.  Musicalità leopardiana – Marzo: si mischiano il freddo dell’inverno e i sentori di primavera.  Metafora dei nostri dolori e delle nostre gioie – Gatto d’aprile: al posto del pesce! Come un gatto a caccia di uccellini ma solo per sentir vibrare le ali –  Maggio e la rosa: è tempo di rose, anche ostinate – Giugno: basta un calabrone attratto dal fiore di lavanda per ricordare che la natura esiste – Luglio: basta una foglia di menta tra le mani per scatenar ricordi tra i profumi di un’estate ormai esplosa  – Agosto: riflessioni al canto di cicale – Settembre: ancora un po’ d’estate per favore – Ottobre: tracce d’autunno – Novembre: cadono le foglie ma si preparano nuovi germogli. La cadenza del tempo nel ripetersi delle stagioni – Dicembre: ballata su chi non sa aspettare e come un lupo in gabbia si agita senza saper godere delle pause dell’inverno.

Anime: Anime: le anime si parlano, fanno crocicchi, non fanno caso a noi – Il telaio: non si può tornare indietro. Il filo è ormai tessuto. Le somme alla fine, quando non c’è più strada da percorrere –  Domani o dopo: guardale da lontano le cose perdute. Acquisteranno nuova luce – Fukushima: gli occhi del circo dell’informazione su questa tragedia. Ma come partecipare al dolore per tanto disastro?  – Capire: Vorrei capire se il tanto fatto serva ancora a qualcosa – Da un quadro di Lucia Merli: anche se solo per un momento non ci fosse più nessuno ad ammirare la notte, il fiume che danza, e le stelle che sembrano insufficienti, basterebbe questa gonna fiorita e luminosa, quel gesto abbozzato per rinnovare il miracolo della poesia.

Disubbidienze: Riprendere la parola: riprendersi la parola. Quella chiara, vera. Perché, diceva Moretti, le parole sono importanti – Invidia e sentimento: c’è poco da invidiare chi si perde nel suo iperuranio di poesia senza curarsi del mondo e c’è niente da invidiare a chi non prende mai posizione – Rapsodia in arcobaleno: mai arrendersi alle ingiustizie dei padroni del mondo. Coltivare utopie è l’unico modo per realizzarle – La corazza: per quanto spessa sia la tua corazza ricorda che oltre le apparenze sempre dentro di te devi scavare se vuoi sapere cosa vuoi – Disubbidienza: bisogna sentire il soffio della disubbidienza per uscire dal grigio pantano di questo inaccettabile presente.  

Pedagogia non applicata: Manifesto per Pinocchio: l’anelito alla libertà ed alla liberazione da tutte le norme che c’impongono per quieto vivere – Nonsensando: ogni tanto ci vuole pure qualcosa che renda allegra l’aria con parole senza senso – Rapsodia riflessiva: “sul quieto riposare su certezze obsolete” – Rapsodia en rouge: il tempo ha lasciato avvizzire le idee e i concetti alti, quelli conquistati a fatica. Abbiamo la bocca piena di frasi fatte e di sciocche filastrocche. Ci sono rimaste solo mediocre ore presenti? – Breccia: quello che si annusa e quello che s’intravede da una fessura di ciò che c’è oltre le frasi fatte è già tutto previsto e scontato in quel trallalà ironico di fondo che si tramuta in una ferita aperta – Al futuro: che fare? Rispondere rima per rima all’oltraggio di idee banali e ottuse o attendere in silenzio che la misura sia colma? Ma lo sarà mai colma? Nel frattempo rinchiuditi nei colori della natura a fine estate – Bandiere forse rosse: è tempo di facili indignazioni e di bandiere multicolori sventolate per piccoli egoistici motivi. Che cosa resta della nostra estate colorata di rosse bandiere appassionate? – Rincorrere il tempo: con gli occhi e le palpebre chiusi in attesa del sonno quando ritrovi il tuo tempo nascosto – Pedagogia non applicata: insegnare argomenti e concetti con parole appropriate formando frasi impeccabili di sola logica. Ma è solo un fragile vaso che entra ed esce dai banchi e non attecchisce. Ma è colpa della noia vista qui come ribellione ad imposizioni troppo logiche – L’anello mancante: quando manca un anello s’interrompe la storia. Si riparte da zero, senza radici e si torna indietro – Scuola: insegnare è dare tutta sé stessa; altrimenti son solo parole – Scuola sbagliata: rimpianti d’una scuola etico-minimale rispetto ad una scuola che non sa più che insegnare?

Notte e giorno: Corrispondenza: “Passa la notte leggera come orme di gatto guardingo” e mentre insegui i tuoi sogni scandisce indifferente la vita – Luna e notte: la luna illumina le nostre ombre – Burrasca: tarda molto a passare la burrasca accesa nel cuore – Immagini: una margherita annuncia la fine dell’inverno – Infanzia: canto d’amore per i bambini e per la maternità – In chiave di violino: in punta d’archetto delizioso concerto di sogni bambini – Acque e suoni: anche se mancassero all’improvviso le cose più belle del creato basterebbe una gonna fiorita ed un gesto che ricorda la musica per rientrare in noi. Bellissimo quel “come quei mesti Pierrot che vivono per piangere” – L’altalena: giochi di rime in filastrocca per bimbi – L’aquilone: filastrocca con giochi d’assonanze – Festa per una notte: nella cadenza di settenari scende l’allegria in una notte di festa per i bambini – Attesa: una madre col bimbo in braccio che si lascia cullare in attesa del sonno che arriva – Mongolfiera: leggera e lieve il suo volo accompagna un sogno.

La rondine: Della rondine e del pavone: bella e drammatica. La presenza della madre nelle varie fasi della vita – Addio: ancora la madre: l’addio – Le voci amate: restano i ricordi, le speranze, “mirabili illusioni ancora care” – Domani verrà:  nell’attesa d’un dono che è la vita che rigermoglia sempre – Passato e presente: è inutile rivangare il passato che non può tornare. Gioca ancora i tuoi dadi, la vita va avanti. 

Nipotini: A Maria, la mia principessa: ecco la favola bella con tante rime da sogno per Maria bella – Gli affetti (per Giovanni) e a Giovanni: consigli di vita e mirabile lirica per il nuovo bambino – Maria: dipingere con i fiori significa profumare i colori. Maria è geniale – Filastrocca di parole: sono solo parole ma significano tanto.

Varie non eventuali: Sogno di pane: tornare a sentire l’odore del pane almeno una notte ritrovarsi bambina – Parole plissettate: parole infide, parole piene di trappole e di menzogne – Apologhetto del gatto:  Insegnamento:la democrazia si difende se la organizzi bene altrimenti vince il più forte – Ti racconto: di quando si sapeva bene chi erano i buoni e chi i cattivi (anche se non era vero).

Rami. Foto di Maria Serena Peterlin

Foto di Maria Serena Peterlin

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