Tag

, , , , , , , , , , , , , ,

Maria Lenti, Beatrice e le altre: a Dante, con uno scritto di Loredana Magazzeni e una stampa di Susanna Galeotti,  Vivarte, Urbino, 2022  – plaquette d’arte –

Brevità, perché la poesia ha da essere breve; immagini e musicalità, perché la poesia è pittura e musica; sostanza ed emozioni, perché la poesia è cuore e cervello. Non vuole essere un canone poetico né una critica alla poesia in genere: il mio è il riconoscimento per una poetessa che spazia dal dialetto alla lingua e sa essere ironica, arguta e seria quando è opportuno.
Per chi la conosce come scrittrice sa che già in Elena Ecuba e le altre (2019) Maria Lenti rovescia non solo il punto di vista dell’agire umano e le sue conseguenze, ma anche ribadisce la necessità di ri-leggere la storia e l’arte dopo secoli e secoli di dominio maschile. Non si tratta di ribaltare riaffermando una diversa supremazia, ma piuttosto esprimere il primato dell’ascolto – troppo a lungo sminuito – e dell’accettazione della diversità, come premessa e conseguenza di quest’ascolto.
Lo stesso Dante, uomo del suo tempo, sommo poeta, scivola in una visione “di parte” sulle vicende umane, sui sentimenti e sul pensiero. “Cornice, la tua visione della donna, quasi ectoplasma”, Beatrice non usa mezzi termini, ma neanche la violenza verbale: la nettezza di un desiderio espresso con “potenza” femminile (“Io sono io e l’altro è l’altro che desidero non fermato sulla mia forma ma autonomo nei suoi filamenti esistenziali…”). Lei rivendica un’autonomia che riconosce parimenti all’uomo: c’è nella visione tradizionale della donna  una sorta di obbligo ad essere dipendenti l’uno dall’altra, in bene e in male, a realizzarsi solo con l’altrui o del tutto senza l’altrui.
   Francesca dichiara la propria innocenza e verità e soprattutto la verità dell’amore: “Con Paolo ho imparato l’amore, quello che inizia con lo sguardo che cerca l’anima, quello che s’apre ad un incontro-incanto non inusuale…che condivide parole nuove”. Ben altro che lussuria e peccato e il “libro galeotto” è solo “conferma o sconferma del proprio vibrare in conoscenza”.
Pia de’ Tolomei rinuncia alla vendetta per la probabile sua uccisione da parte del marito, non  per accettazione del proprio destino, che la rende inutile, ma a causa della “limpidezza della propria interiorità” per il “dolce quieto vivere pur nella costrizione”. Ed è questo che suscita il sospetto, e che non viene compreso.
   Piccarda Donati, pur posta da Dante nel Paradiso, sente la necessità di “correggere”  la narrazione della sua vicenda da parte del Poeta – nel contesto del disegno divino la sua scelta e la violenza subìta – dichiarando la sua libertà – in libera mente – che scatena la paura degli uomini e il suo coraggio che viene punito, anziché celebrato come accade spesso per quello maschile.
  Cunizza da Romano risponde alla domanda “mi vinse amore?” in modo schietto e diretto: “Rivolto il detto e ne traggo il succo. Non ho negato le mie vene…Ho preso la mia vita nelle mie mani” e sorride e ride dello scandalo e del paradosso che altri le attribuiscono; ma nello stesso tempo si affranca dalla denuncia storico-politica che Dante le attribuisce, a scapito della sua vicenda umana.
Verso lungo, a tratti prosa poetica: la lucida, libera urgenza del dire chiede cesure, più che versi.
E concludo come nella mia lettura di Elena, Ecuba e le altre: “Bene ha fatto, attraverso la Poesia, Maria Lenti con il ritmo, il canto, l’immagine che Lei conosce ed usa, nella scrittura attenta e originale, non priva di intelligente ironia: la sua Poesia è alchimia che scioglie le sinapsi della mente, ricrea le connessioni tra emisfero destro e sinistro, rende agile, riplasmandolo, il pensiero”.

©Maurizio Rossi

Pubblicità