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La forza della verità in Autobiografia del silenzio. L’orco e la bambina  (La Vita Felice, 2022) di Cinzia Marulli

“La poesia ha questo compito sublime
di prendere tutto il dolore che ci spumeggia
e ci romba nell’anima e di placarlo,
di trasfigurarlo nella suprema calma dell’arte,
così come sfociano i fiumi nella vastità celeste del mare”.
(Antonia Pozzi)

 

Dopo aver letto il nuovo libro di Cinzia Marulli Autobiografia del silenzio sono stata colta da una duplice, fortissima emozione. La prima, più immediata, dovuta al racconto, in versi e in prosa alternati, dell’atroce esperienza vissuta nell’infanzia. Mi è venuto spontaneo immedesimarmi nelle sensazioni di quella bambina, nella paura e nel ribrezzo suscitate in lei dall’atto abominevole di quell’ “orco”. Sarebbero di certo state le mie, ho pensato, se mi fossi trovata al suo posto; e sarebbe toccato anche a me, com’è stato per lei, vivere per tanto tempo col sordo malessere di quel ricordo, acuito dal non averlo saputo confessare al momento. Ma l’altra e altrettanto grande emozione l’ho provata davanti a una scrittura che ha saputo affidare alla parola l’evocazione di una vicenda autobiografica così intima e dolentissima, ma anche, insieme, di importante valore sociale. Una parola, quella di Cinzia, profondamente poetica e di tale misurata drammaticità da riuscire a comunicare un doppio messaggio: la sua avvenuta guarigione, innanzitutto; il superamento di un malessere dell’anima a lungo sopportato. Ma anche, al tempo stesso, un esempio di come la parola della poesia, che Cinzia coltiva con preziosa chiarezza, sia stata essa stessa parte della cura, lenimento di quelle ferite: “La bambola dimenticherà quelle mani sporche…ognuno trova poi il suo riparo/ quel luogo sicuro e sacro dove non sentire”.
Ecco, tutti questi pensieri e queste emozioni acutissime sono affiorati in me sin dalle prime pagine di questo libro “difficile”, difficile sia per chi con coraggio lo ha scritto, sia per chi vorrà leggerlo e farsene carico. Inevitabile, credo, provare una profonda immedesimazione con l’autrice, una donna che, ormai divenuta adulta e madre, è riuscita a mettere a nudo l’anima propria graffiata dalla crudeltà di un “orco”. Un’empatia, nel mio caso – e non perché le sia amica da tempo, pur avendo ignorato a lungo questi suoi dolorosi trascorsi – che scaturisce, oltre che da un sentimento di profonda solidarietà femminile e umana, anche dall’ammirazione per uno stile poetico di limpida apertura sui recessi più riposti della propria interiorità, ai quali Cinzia permette di accedere con apparente semplicità, con ciò dimostrando di non aver smarrito, nonostante tutto, o almeno di essere riuscita a riconquistare una convinta fiducia nel prossimo, negli altri; in quell’umanità tra cui pure sempre si nascondono chissà quanti altri “orchi”  pronti ad aggredire vittime deboli e  innocenti. Ma dimostra anche, con le sue poesie, di aver (ri)trovato fiducia nel vigore dell’amore: in quello accudito nel “grembo”, che ha “il volto meraviglioso del bene”; in quello del padre: “forse sono loro la ragione e il senso della vita”. Fiducia nell’amore ma anche nel perdono, che da quello discende: “Quello che è stato è stato, il male è indietro”, entrambi capaci di richiamare a sé la vita, messa allora in pericolo ma, dopo tanto tempo e tanto lavoro su se stessa, riguadagnata. Di qui la potenza che si sente nei suoi versi: asciutti, efficaci, autentici e intensi.
È la forza della verità, una verità che commuove perché frutto di un sentimento di amore per la vita che, al di là del dolore provato, ha finito per vincere e convincere anche tutti noi che vale la pena di combattere per essa, bene assoluto e inalienabile.


Sonia Giovannetti

 

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