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Incontri con Stig Dagerman – di Giovanna Amato e Anna Maria Curci

Su Autunno tedesco di Stig Dagerman e Stig Dagerman. Il cuore intelligente di Ilaria Rossetti

Dal titolo del primo degli articoli raccolti nel 1946 e pubblicati nel 1947, scaturisce Tysk Höst, Autunno tedesco nella traduzione di Massimo Ciaravolo, di Stig Dagerman. Il giovane autore svedese, allora ventitreenne, si trovava nella Germania occupata, come inviato del quotidiano “Expressen”.
Lo sguardo di Dagermann è acuto e ampio, la sua narrazione colpisce per la precisione e l’assoluta mancanza di retorica. D’altro canto, una visione storico-politica chiara, quella di un intellettuale anarchico avvezzo a smascherare interessi e motivazioni dietro l’agire umano – e, in questa consuetudine, geniale – illumina i reportage negli scenari urbani e rurali. Berlino, Amburgo, Monaco di Baviera si alternano a villaggi lungo le rive dei fiumi o al limitare dei boschi con una storia antichissima di sacralità, recente di eccidi, rapida nel “leccarsi le ferite”, mentre le piaghe restano aperte e altre vengono scavate.
La nuova guerra – la guerra fredda -, la fame, l’assenza di una casa o anche solo di un riparo, le farse dei testimoni nelle Spruchkammern, vale a dire nei tribunali per la denazificazione, la sofferenza analizzata a distanza dal letterato classicista che si sfama con le macchine da scrivere e i libri venduti: tutto questo, analizza lucidamente Dagerman, non pacifica, bensì alimenta il rancore, il risentimento, l’astio nazionalista.
L’acutezza dello sguardo, la lucidità dell’analisi non è disgiunta, tuttavia, da un sentimento di vera comprensione e cognizione del dolore.

Anna Maria Curci

Si pretendeva da chi stava patendo questo autunno tedesco di imparare dalla propria disgrazia. Non si pensava che la fame è una pessima maestra. Chi ha davvero fame ed è privo di mezzi non accusa se stesso per la sua fame, bensì quelli da cui crede di potersi aspettare aiuto. La fame non favorisce certo la ricerca delle cause, e chi è permanentemente affamato non riesce a stabilire alcun’altra relazione che la più immediata, per cui in questo caso accuserà chi ha rovesciato il regime che prima provvedeva al suo mantenimento, sostituendolo con un trattamento peggiore di quello a cui era abituato. (Stig Dagerman, Autunno tedesco, p. 20)

Il mio incontro con Stig Dagerman, invece, è stato seduta alla scrivania, mentre dal tavolo virtuale di un magnifico incontro di lettura un’amica ha detto queste sue parole: «Se la letteratura è un gioco di società, me ne andrò nel crepuscolo con i piedi sporchi di terra a farmi amici i serpenti e il piccolo ratto grigio delle sabbie. Ma se la poesia è una necessità vitale per qualcuno, non dimenticare a casa i sandali, guardati dai mucchi di pietre! Adesso i serpenti mi insidiano il calcagno, adesso mi disgusta il ratto delle sabbie». Vengono da Lo scrittore e la coscienza: Ilaria Rossetti le cita in breve dialogo a margine di un suo libricino miracoloso, Stig Dagerman, Il cuore intelligente, edito da FVE nel dicembre del 2021. Il libro apre, con il volume su Franco Loi a cura di Rudy Toffanetti, la collana Animula Vagula Blandula, che la casa editrice milanese dedica all’“amorosa avventura” del racconto di uno scrittore da parte di un altro scrittore che l’ha caro.
L’incontro di Ilaria Rossetti con l’autore svedese è stato invece all’insegna di Autunno tedesco, nella sala di una biblioteca popolata da lettori di quotidiani. Entrambe abbiamo avuto la simile impressione di sfrigolio, «il presagio di un senso prima intravisto appena e poi evidente». Entrambe sappiamo dare un luogo a questa comparizione. Io devo aver mosso la mano come per afferrare qualcosa, piano piano, perché la sua voce mi sembrava una chiamata a qualcosa di bellissimo, una scelta definitiva e stupenda, arrotondata da un linguaggio che era estraneo a ogni forma di retorica, ma leggero e biblico, come di piuma.
Di questo riconoscimento, e di questa riconoscenza, Ilaria Rossetti parla affiancando con gentilezza ricordi (la lunga preparazione del gioco dell’infanzia che appaga più del gioco stesso, la colazione di nebbia al bar prima di una serrata), facendo di impressione e carne, e non solo di ragionamento e idea, i brani di Dagerman che cita, i racconti della sua vita complessa e della sua biografia intellettuale, e il suo esito che, chiarisce, non è il suicidio (che non è il «risultato della sua biografia») ma la capacità di «tenere la posizione, nonostante tutto». Tra le varie parole chiave che possono occorrere a disegnare questo scrittore dalla scrittura esattissima e la lucidità rigorosa, una è “conflitto”: fin dall’incontro con la narrazione imperterrita del dolore dei vinti in Autunno tedesco, lì dove Dagerman ha rifiutato la visuale comune post-bellica di spezzare sotto il tacco un popolo colpevole, mai nell’autore svedese è mancata la fermezza di sguardo di comprendere, con la sua penna, quella che Walter Siti, citato da Rossetti, indica come necessità del libro: essere luogo in cui «ogni asserzione può essere rovesciata». Il “conflitto” non è allora il motore di una trama, come direbbe McKee, ma una capacità di visione, l’accoglienza di un pensiero discrepante, la disposizione a seguire un ragionamento imprevisto, una forma viva e ospitale di ogni lato, anche il più insospettabile e crudo, della realtà.
«Il giornalismo è l’arte di arrivare troppo tardi il più in fretta possibile», cita ancora Rossetti da Autunno tedesco. Il punto, e Dagerman riesce, e Rossetti ci ricorda con questo libro splendido, è costruire su quel troppo tardi qualcosa che permane.

Giovanna Amato

Stig Dagerman, Autunno tedesco (tit. orig. Tysk höst), traduzione di  Massimo Ciaravolo, cura di Fulvio Ferrari. Con un saggio di Giorgio Fontana (“L’autunno di Stig”), Iperborea 2018

Ilaria Rossetti, Stig Dagerman, Il cuore intelligente, FVE 2021