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Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé

La Biblioteca di Repubblica, Roma, 2011

Capita di riprendere in mano uno scritto di Virginia Woolf. Anche se sono passati molti anni dal liceo, siamo consapevoli che allora, da adolescenti, la lettura di Gita al Faro o di La signora Dalloway non è stata scelta spontanea, né attività leggera.

Da adulti si sa già cosa aspettarsi, si è preparati: eppure la lettura di Una stanza tutta per sé sorprende.

La storia delle donne è una storia di lente e faticosissime conquiste, pagate in tutti i modi possibili, è una storia di crescita culturale e sociale e di faticoso raggiungimento di autonomie. Non è una storia finita, peraltro: anche se la strada fatta dalle più attempate di noi è stata lunga, ancora oggi alcuni condizionamenti e preconcetti non sono stati sconfitti e occorre non distrarsi, perché potrebbe persino capitare di andare a ritroso.

Il libro è stato scritto nel 1929 e contiene il materiale per due conferenze che la Woolf aveva tenuto presso l’università di Cambridge. Il tema è rispondere alla domanda classica: perché non esiste uno Shakespeare donna?

La risposta della Woolf è nel titolo del libro: una donna per poter scrivere deve avere soldi e una stanza tutta per sé. La risposta è semplice, ci può sembrare persino ovvia, ma il testo del saggio racconta la rabbia delle molte povertà delle donne all’inizio del ‘900, non solo quella economica: Virginia non può camminare sui prati dell’Università, privilegio dei soli maschi e non può recarsi in biblioteca se non accompagnata da un membro del college. Virginia sa bene che molte donne sono o sono state così occupate a crescere figli, a portare avanti una famiglia, da non poter nemmeno pensare di svolgere una qualsiasi altra attività o carriera.

E perché poi la letteratura maschile è piena di livore nei confronti delle donne?

Le parole di Virginia sono sassi aguzzi:

“… è così importante per un patriarca, il quale deve conquistare, il quale deve governare, la possibilità di sentire che moltissime persone, la metà della razza umana infatti, sono per natura inferiori a lui. Anzi deve essere questa una delle fonti principali del suo potere …. Per secoli le donne sono state gli specchi magici e deliziosi in cui si rifletteva la figura dell’uomo, raddoppiata …. questi specchi sono indispensabili ad ogni azione violenta ed eroica …. se la donna comincia a dire la verità, la figura nello specchio rimpicciolisce: l’uomo diventa meno adatto alla vita.”

Per secoli gli uomini hanno risucchiato alle donne quanto bastava per consolidare la loro sicurezza e la loro fiducia in se stessi, vedendosi nello specchio delle loro donne almeno due volte più grandi di quanto fossero. E quando si è trattato di personaggi di potere le conseguenze sono state dirompenti: basti pensare a Napoleone o a Mussolini.

Di femminilità e di donne scrittrici ci parla poi Virginia, di Mary Shelley, di George Sand, di George Eliot, delle sorelle Brontë e di altre e delle loro lotte, del loro sentirsi impedite nell’essere artiste proprio dal fatto di essere donne, nell’essere comunque condizionate da una società che non le accetta.

Meraviglia la lucidità della Woolf, la pacatezza e la passione con cui esprime le sue idee, l’attualità del tutto, dopo che anni di movimento femminista dovrebbero aver fatto da battistrada. Oggi sappiamo anche che la sua lucidità dolorosa diventerà disperazione suicida e questo ci fa percepire e provare la sua stessa rabbia.

© Sandra Luigia Rebecchi