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Bobrowski_Schattenland

 

Der Wanderer 

Abends,
der Strom ertönt,
der schwere Atem der Wälder,
Himmel, beflogen
von schreienden Vögeln, Küsten
der Finsternis, alt,
darüber die Feuer der Sterne.

Menschlich hab ich gelebt,
zu zählen vergessen die Tore,
die offenen. An die verschlossnen
hab ich gepocht.
Jedes Tor ist offen.
Der Rufer steht mit gebreitenen
Armen. So tritt an den Tisch.
Rede: die Wälder tönen,
den eratmenden Strom
durchfliegen die Fische, der Himmel
zittert von Feuern.

Il viandante

Di sera,
risuona il torrente,
il respiro pesante dei boschi,
cielo, solcato in volo
da uccelli urlanti, lidi
delle tenebre, antichi,
su questi il fuoco delle stelle.

Da essere umano ho vissuto,
le porte ho dimenticato di contare,
quelle aperte. A quelle sbarrate
ho bussato.
Ogni porta è aperta.
Chi chiama sta a braccia
distese. Quindi accostati alla tavola.
Parla: i boschi risuonano,
i pesci attraversano in volo
il torrente che respira, il cielo
trema di fuochi.

Johannes Bobrowski, dalla raccolta Schattenland, Ströme (1962)
(traduzione di Anna Maria Curci)

Paesaggio amato, quello della natia Prussia orientale e dimensione umana – quasi un bilancio scritto dall’autore allora quarantacinquenne – richiamano l’uno l’altra in questa poesia di Bobrowski, che sceglie un tema caro ai Romantici tedeschi e lo declina con le parole, le presenze, i versi e i ritmi che caratterizzano la sua produzione lirica. Oggi, 2 settembre 2015, a cinquant’anni dalla sua morte avvenuta a Berlino (allora Berlino Est, nel quartiere di Friedrichshagen), la mia traduzione è un piccolo omaggio a un poeta che merita di essere letto e tradotto. Le traduzioni in volume apparse in Italia sono di Roberto Fertonani (1969) e di Davide Racca (2013).