Rita, Maris, Temi, Sira
– Grazie, Rita.
La signora le allungò una banconota da cinquanta euro.
Rita allungò due dita della mano sinistra. Nella destra aveva mezzo pacco di ovatta con il quale tentava di rimuovere il trucco da clown. Giulia era già a letto. Rita aveva impiegato diverso tempo a riordinare il soggiorno dopo l’invasione degli amichetti di Giulia. Pesti viziate, era l’unica cosa che le veniva in mente.
– Però, Rita, sa, volevo dirle… ha visto che faccino aveva Giulia? È proprio sicura che i bambini si siano divertiti? E ha controllato che Veronica non facesse la prepotente? L’ultima cosa che desidero dopo una giornata come questa è una telefonata di quell’esaltata della madre. Non le ha requisito mica il cellulare, eh? Dico a Veronica, sa? Lo so che cosa pensa, Rita. Veronica ha solo otto anni, come Giulia. Non dovrebbe avere il cellulare e, dico io, non dovrebbe averlo sempre acceso. Ma guai a dirlo alla madre. No, no: le crociate le faccia lei, che non famiglia, non ha responsabilità.
Rita continuava a struccarsi. Sorrideva gentile, come sempre. Rita Sommefo aveva un bel sorriso da sfinge.
Se la signora, in piena inondazione verbale, avesse alzato lo sguardo verso lo specchio del bagno, avrebbe potuto cogliere un guizzo negli occhi di Rita. Rita stava ripensando agli occhioni sgranati di bambola della mamma di Veronica. Provò qualcosa di simile alla gioia dei bambini che ridono a crepapelle quando vedono punito il cattivo di turno. Un po’ le dispiaceva per Giulia, ma anche lei, ormai, stava diventando come Veronica, e tutte e due si avvicinavano a grandi passi ai trionfanti modelli materni.
Aveva ragione, la signora. Lei, Rita Sommefo, non aveva famiglia, non aveva responsabilità. Ma aveva ricordi, tanti. Maris Metofo, ballerina di avanspettacolo, scomparsa nei camerini dell’Ambra Jovinelli nell’ottobre 1943. L’impresario aveva l’abitudine di segnalare i casi sospetti alle autorità. Insomma, quelli che abitavano dalle parti del portico d’Ottavia.
Il ricordo di Temi Amorfos andava molto più indietro nel tempo. Temi abitava ad Atene. Non se ne era saputo più nulla dopo la vicenda di Stephanos, lo straniero che era riuscito a fuggire in tempo. Stavano per arrestarlo, era sospettato di omicidio. Poco male. Qualche tempo dopo si era scoperto che il vero omicida era tra coloro che preparavano l’arresto di Stephanos, a casa di Georgios. Temi aveva versato da bere agli ospiti di Georgios.
Rita aveva finito di struccarsi. Nello specchio vide riflessa l’immagine di una donna giovane, con i capelli e gli occhi scuri. Vide Rita, Maris, Temi. Vide anche Sira, Sira O’ Femmot. Sembrava salutarla, Sira, dublinese trapiantata a Berlino. Zona est, Deponie. Servizio ai tavoli. Locale alla moda per chi giocava a fare l’alternativo.
Qualcosa da fare ci sarebbe stato anche lì.
Lasciò la banconota sul ripiano del lavabo. Prima di uscire, spense la luce.
Anna Maria Curci
17 dicembre 2009
Il racconto è pubblicato in: AA.VV., Oltre le nazioni, CFR, Rende 2011, 19-20